Anche le generazioni, ormai lo sappiamo, possono essere divise tra vincenti e perdenti.
Vi è quella “mitica” di chi aveva 20 anni negli anni ’70, che ha vissuto la crescita economica, ha trovato lavoro nell’epoca del posto garantito e sta andando in pensione, o lo ha appena fatto, con trattamenti ancora più che vantaggiosi.
E poi vi sono coloro che sono nati dagli anni ‘’70-’80 in poi, con molte meno garanzie, a maggior rischio di precariato, destinati a una pensione tarda e magra.
Non bastasse questa, sta emergendo anche un’altra divisione: più sottile, ancora poco evidente, all’interno dell’ultima generazione.
Della ripresa stanno beneficiando, in modo asimmetrico e diseguale, quasi solo i giovanissimi. Lo vediamo dai dati Eurostat, che prendono in considerazione i 20-34enni dividendoli tra coloro che hanno finito da poco gli studi, da 3 anni o meno e chi li ha terminati ormai da più tempo, più di 5.
Ebbene, per i primi tra il 2014 e il 2016 vi è stato un aumento dell’occupazione del 7,6%, per i secondi solo dello 0,3%.
Ovvero i neo-laureati o neo-diplomati del 2016 hanno trovato molto più lavoro rispetto a quelli del 2014, mentre tra coloro che erano usciti dall’università o dalle scuole superiori nel 2008/09 o prima o nel 2010/11 non vi erano significative differenze.
La differenza è ancora più accentuata proprio per chi possiede una laurea. Per i giovani laureati da più tempo vi è stato addirittura un calo dell’occupazione del 2,5%, contro un +8,1% per le nuove leve.
Dati Eurostat
È una tendenza che viene confermata anche per chi supera di poco i 34 anni. Per i 35-39enni è la stessa solfa, solo un +0,7% di occupazione, e un zero tondo per i laureati. E un +1,2% per i 40-44enni.
In Europa non sta accadendo nulla di simile. Al netto delle grandi variazioni per chi si è fermato alle elementari e alle medie, tuttavia numericamente pochissimi tra i 20enni e i 30enni, non vi sono analoghe differenze tra le due categorie di giovani.
In Francia addirittura chi ha finito gli studi da pochissimo risulta più svantaggiato rispetto a chi li ha terminati da più di 5 anni.
In Spagna la situazione si avvicina di più a quella italiana, ma si tratta di meno di un paio di punti di percentuali di distanza tra le due crescite di occupazione, non di più di sette, come nel nostro Paese.
Dati Eurostat
Nella stessa Spagna l’occupazione dei 35-39enni e dei 40-44enni, sempre secondo Eurostat cresce rispettivamente del 4% e del 5%, in linea con quella dei più giovani.
Solo in Italia vi è questo squilibrio.
Che, bisogna dirlo, ha le proprie radici nel costante svantaggio dei più giovani nel mondo del lavoro.
L’occupazione dei neo-diplomati o neo-laureati nel nostro Paese è sempre stata decisamente più bassa di quella di chi aveva pochi anni in più, con un gap più ampio di quello presente in Europa.
Dati Eurostat
Ora le cose stanno cambiando in modo rapido in Italia.
La distanza tra i tassi di occupazione di nuovi e vecchi laureati e diplomati è crollata, da più del 30% del 2014 al 19,7% per chi è uscito dall’università, al 22,8% per chi lo ha fatto dalle scuole superiori.
Dati Eurostat
Ci stiamo avvicinando alle medie europee. Evidentemente per gli incentivi all’assunzione di giovani, le decontribuzioni, la maggiore flessibilità del lavoro, per il fatto che un imprenditore potendo scegliere per un nuovo progetto chi assumere, preferisce un 25enne a un 35enne, soprattutto se, come spesso accade in Italia, si tratta di mansioni non ad alto valore aggiunto.
E poi perché appunto partivamo da livelli effettivamente molto bassi. Sembrerebbe una buona notizia, dunque.
E in parte lo è. Il punto è che, come in altre occasioni, non si riesce ad avere un equilibrio, un beneficio che possa essere spalmato tra tutti.
Se la crescita dell’occupazione tra i chi ha meno di 30 anni rassicura e rappresenta un punto di svolta, è quella curva piatta tra chi ne ha di più, e anzi, raggiunge e supera i 40 anni, che preoccupa.
D’altronde parliamo di tassi d’occupazione già ai minimi. Nel 2014 del 13% minori che nella UE, nel 2016 del 15%. Non si tratta certo di ambiti in cui si è ormai raggiunto un tetto oltre il quale non si può andare oltre.
In Italia nel lavoro, come in altre occasioni, non si riesce ad avere un equilibrio, un beneficio che possa essere spalmato tra tutti
Se in Europa riesce a crescere il lavoro sia per i 20enni che per i 30/40enni, come si vede benissimo dai dati Eurostat, perchè la ripresa italiana, proprio come la precedente recessione, deve essere così squilibrata?
C’è più lavoro, sì, ma solo se hai più di 50 anni, o meno di 30.
L’inversione di tendenza nel lavoro dei più giovani, quanto mai benvenuta, sarà l’inizio di un ennesimo apartheid lavorativo? Che colpirà doppiamente quella generazione nata tra gli anni ‘70 e ‘80, già troppo giovane quando erano i più anziani a essere più protetti e privilegiati, e troppo vecchia ora che tutto, le nuove leggi e la mentalità delle aziende, spinge per favorire i neo-diplomati e i neo-laureati sopra gli altri.