Fra le tante manifestazioni di ingenuità di questa campagna elettorale c’è l’ossessivo riferimento all’ingovernabilità dei numeri e l’allarmismo del “non ci sarà maggioranza per nessun governo” rilanciato dai sondaggi di ieri, gli ultimi prima del black out imposto dalla legge. Sono decenni che quei numeri non ci sono e che le maggioranze non escono dalle urne ma da accordi successivi alle elezioni. Sono decenni che i governi italiani si sostengono con operazioni politiche post-voto, talvolta ambigue e oggettivamente trasformistiche, talvolta spericolate e persino ammirevoli per audacia.
Probabilmente manca solo il nome – responsabili, patrioti, lealisti, sono stati già tutti usati e si dovrà fare uno sforzo di fantasia – ma la prospettiva è chiara: nella diciottesima legislatura, così come in tutte le precedenti almeno dalla tredicesima in poi, a puntellare i numeri dell’esecutivo ci sarà un gruppo di responsabili, patrioti, governisti, ritagliato dalle liste dei partiti che sono in lizza in questi giorni. E’ possibile che la base di partenza siano i dieci/dodici grillini fatti fuori dal loro partito per le irregolarità dei rimborsi. E’ possibile che ad essi si aggiungano in corso d’opera deputati e senatori all’ultimo giro, vuoi per limiti d’età vuoi per limiti di mandati parlamentari. Troveranno un loro leader, come nella tornata precedente trovarono Denis Verdini, e si metteranno a disposizione “per evitare la catastrofe”.
A titolo di ripasso. XIII legislatura: gran casino, cade Prodi e per far nascere il primo governo di Massimo D’Alema sorgono due gruppi parlamentari nuovi di zecca: l’Udr di Francesco Cossiga e il PdCI di Armando Cossutta. XV legislatura, Romano Prodi ha guai coi numeri: Marco Follini e Riccardo Conti si inventano l’Italia di Mezzo e i numeri tornano a posto. XVI legislatura: il Cavaliere traballa, nasce Iniziativa Responsabile (poi Popolo e Territorio) di Razzi e Scilipoti, un mix reclutato sotto tutte le bandiere che arriverà al ragguardevole traguardo di 29 deputati e terrà a lungo in piedi l’esecutivo. XVII legislatura, la storia di ieri: Enrico Letta vede sfumare la quota-fiducia e si costituisce il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano con i suoi 26 lealisti; Renzi ha lo stesso problema e arriva Ala, Alleanza Liberalpopolare-Autonomie, che draga centristi e destra fino a mettere a posto il pallottoliere.
Probabilmente manca solo il nome – responsabili, patrioti, lealisti, sono stati già tutti usati e si dovrà fare uno sforzo di fantasia – ma la prospettiva è chiara: nella diciottesima legislatura, così come in tutte le precedenti almeno dalla tredicesima in poi, a puntellare i numeri dell’esecutivo ci sarà un gruppo di responsabili, patrioti, governisti, ritagliato dalle liste dei partiti che sono in lizza in questi giorni
Talvolta i numeri sono stati risicatissimi e trovati in extremis per “spingere” un voto di fiducia, ma in tante altre abbiamo visto forze a due cifre costituite con preveggente anticipo, appena letti i risultati elettorali: il gruppo Gal (Grandi Autonomie e Libertà) di Mario Ferrara e Giovanni Mauro, per dirne una, si costituisce appena due giorni dopo l’insediamento della scorsa legislatura. Cotto e mangiato. Associa eletti di destra e di centro. Arriva alla ragguardevole cifra di 18 senatori e 21 deputati . Sostiene un po’ Letta, un po’ Renzi, cambia nome sei volte in due anni in nome di indecifrabili alchimie politiche, poi sparisce nel niente una volta ultimata la missione.
Non tutto questo taglia e cuci può essere rubricato sotto la voce “opportunismo”, e di sicuro c’è una profonda differenza fra gli intenti politici di uno come Cossiga e la pesca delle occasioni di uno come Razzi, e però è la storia a dirci che la frase “non ci sono i numeri” in Italia risulta piuttosto insensata. Quando i numeri non ci sono – cioè quasi sempre – si cercano e si trovano. Talvolta ne bastano un paio, ma all’occorrenza è possibile reperirne anche decine per raggiungere la fatidica quota 316. Secondo i sondaggi dell’ultimo giorno, all’alleanza Fi-Lega-Fdi, attualmente, all’alleanza Fi-Lega-Fdi mancherebbero 22/24 seggi e alle larghe intese FI/Pd circa 24. Non è una missione impossibile in nessuno dei due schemi.
Sarà la politica come sempre a decidere quale delle opzioni risulterà più solida e più praticabile, e scopriremo presto chi si intesterà la guida dei responsabili-patrioti-lealisti prossimi venturi, con tutte le conseguenti lacerazioni, anche queste già viste: chi griderà al trasformismo dei voltagabbana, chi risponderà elogiando il valore della stabilità e i rischi di consegnare il Paese al salto nel buio dell’ingovernabilità e di nuove elezioni. E’ l’Italia, carissimi, e da tanto tempo funziona così.