Terribile a dirsi, ma in Italia siamo, temo, all’anno zero dei principi minimi di laicità. Tra Luigi Di Maio che, convinto, bacia con aria da fedele sottomesso la teca contenente il sangue di San Gennaro e Matteo Salvini che, ai comizi, innalza solenne, come categorie assolute, rosario e Vangelo, si potrà ben dire che la regressione culturale procede davvero in modo supersonico, a mach-2, fra di noi? Manca soltanto l’ossequio penitente con previa lettura della squadra di governo davanti alla teca di Padre Pio laggiù a San Giovanni Rotondo e il cerchio, il cappio, potrebbe chiudersi.
E non sarà certo sufficiente aggiungere, magari per sdrammatizzare lo sprezzo manifestato – appunto, per ogni laicità – che si tratti di semplice friggitoria elettorale, espedienti, anzi, stuzzichini ultrapop utili a conquistare un consenso tra i semplici, i timorati, i terziari, perfino nel senso francescano del termine, un po’ come altrove citare le prerogative delle fattucchiere lucane per portare a sé i paurosi, soprattutto se è vero che siamo pur sempre il paese che, non molti decenni addietro, ha dato lavoro all’etnologo Ernesto De Martino, lui che in “Sud e magia” ha spiegato che se supportati dai santi, almeno nello Stivale, ogni consenso è possibile, siamo pur sempre terra di miracoli e di credenze, lo mostra anche Rossellini in “La macchina ammazzacattivi”.
Insomma, nell’ideale teca della politica più recente, in assenza d’ogni sinistra possibile, troviamo, nell’ordine, ora la reliquia benedetta ora il Libro. Mi direte: i libri. No, scherzi?, un unico libro di testo. Possibilmente sacro, meglio se “con approvazione ecclesiastica”. Un pensiero che non contempla ovviamente l’esistenza delle minoranze religiose, ebrei o valdesi, per non parlare degli atei e degli agnostici. E qui, perdonate lo sfoggio di cultura, torna alla memoria, sia pure in dissolvenza incrociata tra lo spadone di Alberto da Giussano e il berretto di Casaleggio padre, riappare il ricordo di Giovan Battista Conti, illustratore di catechismi tra le due guerre, dove la via del peccato ha un corrimano di spine acuminate e il figliol (non) prodigo ha la cravatta e la giacca slacciate.
Sembra che vogliano riportarci ad abitare dentro un’acquasantiera. Quasi che la risposta naturale allo spettro dell’islamizzazione ventilato dai signori della Lega sia appunto il ritorno all’antico tepore del credo cattolico
Dunque, la friggitoria politica occasionale odierna mostra, o comunque suggerisce, il precipizio d’ogni ragion laica, illuministica, soprattutto agli occhi di chi riteneva che l’antico tanfo da refettorio religioso, accompagnato dal suono dei peti del priore e dalla celebre filastrocca della penitenza che anticipa l’assoluzione, fosse acqua benedetta passata, e invece? Qui sembra che vogliano riportarci ad abitare dentro un’acquasantiera. Quasi che la risposta naturale allo spettro dell’islamizzazione ventilato dai signori della Lega sia appunto il ritorno all’antico tepore del credo cattolico, d’altronde non l’ha forse detto anche Benedetto Croce che «non possiamo non dirci cristiani»? Dunque, senza bisogno di ricorrere ai grandi testi che hanno spalancato le porte del dubbio sul divino, come il “Testamento” dell’abate Meslier, sarà il caso di aggiungere che a nulla nel cammino di modernizzazione del pensiero sembra essere servito né il Cobra di Rettore, né l’immagine dei ragazzi nudi al Parco Lambro al tempo della contestazione, altro che atto di dolore e atto di contrizione. Quanto all’abate appena citato, si trattava di un irreprensibile curato francese che alla sua morte, nel 1724, farà invece dono al mondo del libero pensiero di un testo atto a confutare tutte “le menzogne della religione” (sic), perfino in ambito di costumi sessuali. A Jean Meslier, addirittura Virgilio Savona, sì, proprio lui del Quartetto Cetra, dedicherà una canzone apologetica. Lo sapranno Luigi e Matteo?
E ora? È bastato vedere dapprima Di Maio davanti alla teca contenente il sangue di San Gennaro e poi Salvini sollevare ora il Vangelo ora un rosario, come a dire è qui l’origine d’ogni mondo, per riflettere sulla miseria culturale e perfino interiore degli attuali premiati alle urne, voi adesso mi direte che pure il “comunista” Antonio Bassolino baciava la teca di Gennaro, ed è vero, ma quel suo gesto, nelle opere quotidiane dell’ex sindaco veniva subito dopo laicamente contraddetto, metti, dalla visita a un circolo nautico a Santa Lucia, con Totonno lì a sfoggiare la cravatta con i colori sociale del club, e non c’è partita con quegli altri.
È bastato vedere dapprima Di Maio davanti alla teca contenente il sangue di San Gennaro e poi Salvini sollevare ora il Vangelo ora un rosario, come a dire è qui l’origine d’ogni mondo, per riflettere sulla miseria culturale e perfino interiore degli attuali premiati alle urne
Non vorrei adesso avocare a me ogni merito, infatti lo spunto per questa riflessione, devo ammetterlo, mi è giunto da Bobo Craxi, che nei giorni scorsi, su Twitter, ha coraggiosamente cannoneggiato: «S’avanza un mostro a due teste, l’uno bacia le teche del sangue dei santi, l’altro come i crociati giura sul Vangelo. Semm’a post».
Ora, lui, Bobo può permettersi di dire così, viene dalla tradizione socialista, fieramente anticlericale, massonica nel senso della Carboneria risorgimentale, di giornali come “L’Asino” di Podrecca e Galantara, fantasie che invece non mai avrai dai comunisti. Figuratevi che Berlinguer, da giovane dirigente, indicava Maria Goretti, santa di Nettuno, come esempio di probità da seguire… Già che ci siamo, ne racconto un’altra accaduta proprio a me: sarà stato il 1972, militavo nel Pci, e, con Nino Crisafi, il segretario di sezione, andammo a distribuire una “Lettera aperta ai cattolici”, davanti al sagrato di una parrocchia, era il giorno delle prime comunioni, e così beccai uno schiaffo da un rispettabile padre di famiglia, non prima di avermi strappato di mano i volantini. Per dire che l’idea del simbolo riunito del Sangue del santo e del Rosario, quasi a formare un nuovo contrassegno “bicicletta”, mi appare come un incubo, segno di un impoverimento progressivo delle conquiste che sappiamo, mi fa bruciare ancora la guancia.
Di sicuro però il sanfedismo da grigliata elettorale non promette nulla di esaltante né sotto il profilo culturale e ancor meno erotico, in molti temevano che il peggio in agguato riguardasse l’arrivo dei rettiliani e dei razzisti da baretto di baita, nessuno immaginava invece che, per avere il perdono o anche il reddito di cittadinanza, volessero imporre a una società secolarizzata, come recita il celebre, spietato, adagio popolare, di «ben tirate ‘sto cordone». Anche perché, come chiosa il seguito del componimento: «Sor priore, non son orba, questo è cazzo, non è corda!»