Ecco perché in Italia il reddito di cittadinanza non può (ancora) funzionare

Non è vero che il sussidio ai disoccupati sia un regalo per chi non vuole lavorare. Ma in Italia ci sono pochi posti vacanti, 250 mila, rispetto ai quasi tre milioni di disoccupati ufficiali. Inoltre lo Stato oggi non riuscirebbe a garantirlo

Se c’è un fenomeno che tutto il rumore mediatico sul reddito di cittadinanza ha reso evidente è l’importanza in Italia dello straw man argument. Ovvero della tecnica dell’esagerare, a volte falsificare, le posizioni dell’avversario per poterlo così criticare, spesso ridicolizzare, meglio.

Perchè effettivamente non è vero che il RdC, come immaginato dal Movimento 5 Stelle, sia una regalia generalizzata a chi non ha non ha voglia di lavorare, 780€ dati a chiunque, certo più convenienti di un’occupazione spesso remunerata con una cifra molto simile. Nella proposta reale è evidente la condizionalità, ovvero la richiesta al beneficiario dell’impegno a ricercare lavoro, il diritto a ricevere tre proposte e a non rifiutarle tutte. E qui però sta il problema, al di là di ogni caricatura.

L’Italia è uno di quei Paesi in cui i posti vacanti, quelli disponibili a essere occupati, sono di meno. Eurostat elenca quanti sono in percentuale su quelli già attivi, e per il nostro Paese si raggiunge l’1%, decisamente meno rispetto a quanto accade in quegli Stati dove vige la piena occupazione, come la Germania, (con il 2,7%) o la Repubblica Ceca (4,7%) dove c’è effettivamente un problema opposto al nostro: quello di carenza di personale.

È vero, nel periodo più nero della crisi, tra 2012 e 2013 si era scesi al 0,4%, quindi meno della metà. Una ripresa c’è stata. Ma non è minimamente sufficiente. Oggi in valore assoluto i posti vacanti sono poco più di 200-250 mila per trimestre (considerando qui tutte le aziende). I disoccupati a gennaio 2018 erano poco meno di 2,9 milioni di persone. Solo in Spagna sono di più.

E’ utopico pensare di poter offrire a ognuno di loro tre occasioni di occupazione se non in 2-3 anni. E nel frattempo? Il RdC dovrebbe essere garantito anche per un lustro, con un esborso insostenibile da parte dello Stato, cercando di ottemperare a una promessa fatta al disoccupato.

Sempre immaginando che lo Stato oggi possa fare qualcosa di simile. Lo stesso Di Maio ha fatto capire che è questo l’ostacolo maggiore. Secondo dati del 2016 dell’ISFOL solo il 3,4% degli italiani trova lavoro con i centri per l’impiego pubblico. Una goccia nel mare. Ci vorrebbero anni e grandi spese per adeguarli alle esigenze volute. E non basterebbe.

Perchè non è neanche questo il punto principale. Ma quanto questa mancanza di occupazione pesa sul lavoro che già c’è. Perchè è evidente che per poter mantenere chi non lavora c’è bisogno del maggior numero possibile di persone un posto invece ce l’hanno. È una sorta di paradosso, se non economico, certo politico. Per poter rendere possibile una forma di assistenza, chiamiamola sussidio di disoccupazione più largo, esteso anche a chi non ha mai lavorato e non solo a chi il posto l’ha perso (come la Naspi), chiamiamola Reddito di Cittadinanza, dovremmo aspettare che sia meno urgente e percepito come meno necessario.

Perchè solo quando l’occupazione sarà salita ai livelli tedeschi e nordeuropei, quel 70% e oltre di lavoratori potrà mantenere una minoranza di disoccupati, esattamente come avviene in quelle lande. Non può farcela il 58% di occupati attuali sul totale degli attivi, percentuale ottenuta comprendendo anche partite IVA che fatturano briciole, precari, lavoratori in cooperativa, in somministrazione, ecc.

E’ l’esiguo numero di occupati l’ostacolo maggiore. Neanche quei 2,9 milioni di disoccupati, un numero di per sè non altissimo, ma cui si deve aggiungere quello enorme di scoraggiati, di coloro che secondo la definizione ufficiale sono disponibili a lavorare ma non cercano. In gran parte non hanno mai lavorato, oggi non hanno alcun diritto a un sussidio tra quelli esistenti, non vi è un interesse immediato nel dimostrare di cercare un lavoro, ma in caso di RdC, non è difficile o fazioso immaginarlo, si precipiterebbero a dichiararsi disoccupati e in cerca, rendendo allora, ora sì, il numero di senza lavoro il più alto d’Europa, maggiore di quello spagnolo, con una proporzione sull’ammontare degli occupati decisamente poco sostenibile.

Nel 2016, infatti, su un numero totale di scoraggiati europei poco minore di 8,8 milioni quelli italiani erano circa 3,2. Di gran lunga era il gruppo più numeroso. Sono il 7,1% della popolazione totale, e addirittura il 12,6% della popolazione attiva. Con una concentrazione più che tripla rispetto a quella media europea.

Sommati ai disoccupati ufficiali si arriverebbe ora a oltre 6,1 milioni di persone. Che dovrebbero essere assistite e mantenute da 23 milioni di occupati, molti dei quali in condizioni anche peggiori di quelle promesse dal Reddito di Cittadinanza, ovvero con un introito mensile di meno di 780€ mensili. Per la cronaca nel caso tedesco, sempre secondo i dati Eurostat, si parla di circa 2,1 milioni di persone tra disoccupati e scoraggiati a fronte di 44,2 milioni di occupati. Da un rapporto di 1 a 3,8 (6,1 milioni su 23 milioni) in Italia si passa a quello di 1 a 21 in Germania.

Forse potremo riparlare di redditi di cittadinanza e simili quando questo rapporto si sarà moltiplicato per 2 o per 3, e perchè accada vi è solo la strada di una maggiore occupazione. Solo con meno inoccupati potremo dedicarci in modo più completo e giusto di quelli che rimarranno. Può apparire paradossale, ma non è così.

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