Il femminismo va di moda. Letteralmente. Prima è toccato a Che Guevara, Bob Marley e alla linguaccia dei Rolling Stones, ora sulle T-shirt appese in vetrina spopolano frasi come “Be A Feminist”, “Girl Power”, “Girls Can Do Anything”. Dai grandi magazzini alle sfilate delle griffe, l’industria della moda ha capito che il femminismo è un brand che va sfruttato. Soprattutto dopo l’ondata di denunce per molestie e l’ascesa del movimento americano #MeToo. Altro che sciopero dell’8 marzo, cartelloni e reggiseni da bruciare, gli slogan della rivoluzione femminile ora si possono comprare per pochi euro e indossare ogni giorno sopra un bel push-up.
La moda, tempio del sessismo e della bellezza magra a tutti i costi, si redime dai suoi peccati e celebra l’“empowerment” rosa. Sull’onda del #MeToo, nell’ultima settimana della moda newyorchese, le passerellevsi sono popolate di magliette e camicie stringate che recitavano frasi come “We Will Not Be Silenced” o “The Future Is Female”.
Uno dei primi marchi a sfruttare l’onda è stato Dior nel 2017 con la T-shirt “We All Should Be Feminist”, disegnata da Maria Grazia Chiuri. In pochi giorni la maglietta bianca è comparsa sui profili Instagram di celebrity e influencer, da Rihanna a Chiara Ferragni (che ha sua volta poi ha creato la sua maglietta “Feminist”). Prezzo di vendita: oltre 540 euro. E lo stesso fece lo stilista Prabal Gurung, portando sulle passerelle newyorchesi la frase usatissima dalle femministe degli anni Settanta “The Future Is Female”, stampata su una maglietta bianca vestita a pennello da Bella Hadid. Senza dimenticare la gonna vedo-non vedo completamente tempestata con la parola “Feminist” indossata da Olivia Wilde durante una puntata di Watch What Happens Live with Andy Cohen su BravoTv. O la maglia da 400 dollari “Poverty is sexist”, scelta da Connie Britton per la serata dei Golden Globes.
Dai vip ai grandi magazzini, poi, il passo è stato breve. H&M ha prodotto la sua t-shirt “The Revolution Is Female”. Zara è anadata più sull’introspettivo con “Feeling Good About Yourself”. Primark ha proposto la stampa “WMN PWR” (Women Power). Sottotitolo: “Never Underestimate My Power”. Tutto a soli 8 euro. Chiunque può sentirsi femminista.
Il femminismo diventa così un prodotto di consumo depoliticizzato, da indossare quando si fa la spesa o si va a correre. È quella che gli esperti di marketing chiamano “commodification of feminism”, ovvero la mercificazione del femminismo. Basta poco: si prende un simbolo o una parola, e si addomestica per vendere un prodotto. Gli slogan non sono urlati più nelle piazze, ma si indossano nella vita di tutti i giorni su magliette o gonne a cui nessuno fa più caso. Niente ascelle poco depilate e donne arrabbiate. Il neofemminismo è stylish e parla a voce bassa.
Nel libro We Were Feminists Once: From Riot Grrrl to CoverGirl, the Buying and Selling of a Political Movement, Andi Zeisler, cofondatrice di Bitch Media, racconta come il femminismo si sia trasformato da messaggio politico rivoluzionario disturbante in una nuova identità commerciale “cool e divertente”.
Che ovviamente non dimentica un buon make up. Perché essere neofemministe impone anche di avere sempre il trucco in ordine e niente pori dilatati, mostrandosi allo stesso tempo come donne forti, in forma e in carriera. Fino ad arrivare a estreme trovate commerciali. Dopo che l’hashtag #MeToo ha cominciato a diventare virale in Rete, il marchio di cosmetica Hard Candy ha azzardato a un bel rossetto rosso con l’hashtag stampato sopra, facendo esplodere una valanga di proteste.
Ma il lipstick non basta. Per essere una femminista migliore e più impegnata delle altre, c’è un intero mercato là fuori che vi aspetta: mutande femministe (con scritto “I love my vagina”), copertine da divano femministe (per stare al caldo anche senza un uomo), soprammobili femministi (per ricordarsi sempre quanto si è empowered). Senza dimenticare l’infinito elenco di oggetti a forma di vagina, dagli orecchini alle tazze. Fino alle caramelle.