Con l’arresto di Carles Puigdemont si infiamma lo scontro tra Barcellona e Madrid, ma quello del governo centrale potrebbe rivelarsi un gesto miope, se non proprio autolesionista. La fuga dell’ex presidente, che durava da cinque mesi dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza, arriva al capolinea: il mandato di detenzione europeo emesso dal Tribunale Costituzionale spagnolo è stato ritenuto efficace da parte dell’autorità tedesca, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Il presidente della autoproclamata repubblica catalana è stato così fermato in Germania durante il viaggio di ritorno da Helsinki a Bruxelles. La sua macchina nascondeva un geo-localizzatore: fermato, “il fuggitivo” è comparso per la prima volta davanti al Tribunale amministrativo di Schleswig-Holstein.
Nel frattempo Roger Torrent, presidente del parlamento catalano, ha convocato per mercoledì 28 marzo una assemblea nella quale si discuterà il diritto di Puigdemont di diventare, ancora una volta, presidente della Generalitat. Altra benzina sul fuoco, che se da un lato indebolisce le ragioni del fronte indipendentista, in patria e soprattutto nel consesso internazionale, dall’altro serve ad alzare la posta con Madrid. Il governo centrale infatti, ora che il suo principale avversario ha subito un grave colpo, potrebbe cercare di spacciare per “normalizzazione” la sua vittoria di fatto. Con l’escalation diplomatica che il parlamento catalano pare intenzionato ad avviare, questo non dovrebbe essere possibile. Anzi, il governo centrale spagnolo verrebbe messo nella posizione di dover trattare – e quindi concedere qualcosa – per ottenere la pace, oppure farsi carico della prosecuzione (e deterioramento) della crisi. Al momento pare più probabile la seconda scelta: il presidente del Consiglio Mariano Rajoy non sembra intenzionato a cedere di un centimetro, e anche gli altri partiti nazionali sono in sostanza sulla stessa linea.
Ma, al di là delle dichiarazioni, come si diceva sembra mancare la volontà di immaginare un progetto di lungo periodo. I vincitori vogliono incassare la vittoria senza nulla concedere agli sconfitti. Non si vede uno sforzo da parte del governo centrale di riassorbire la crisi catalana, ma questo è il regalo più grande di Madrid alle frange estreme degli indipendentisti
“Manteniamo un basso profilo, ma in Spagna nessuno può vantarsi di essere impunito davanti alla legge”, ha detto Rajoy a margine di una riunione del suo partito, il Partido Popular. “Adesso possiamo recuperare un futuro di pace in Catalogna”. “È finita la parabola del golpista”, gli fa eco Albert Rivera, segretario di Ciudadanos, “La legge finalmente può fare il suo corso con chi ha provato a distruggere l’Europa”. Toni più morbidi, ma lo stesso contenuto, per Pedro Sanchez, segretario del Partito socialista spagnolo (PSOE), secondo cui “Viviamo in uno stato democratico e di diritto, bisogna rispettare le decisioni dei giudici e fare politica all’interno del dettato costituzionale”.
Unico a cantare fuori dal coro Pablo Iglesias, segretario di Podemos: “Non si trovano le soluzioni con il carcere e la giurisdizione politica. La via è quella della democrazia, dell’empatia e del dialogo. Quello che è stato fatto non serve a nulla per la soluzione in Catalogna”.
Ma, al di là delle dichiarazioni, come si diceva sembra mancare la volontà di immaginare un progetto di lungo periodo. I vincitori vogliono incassare la vittoria senza nulla concedere agli sconfitti. Non si vede uno sforzo da parte del governo centrale di riassorbire la crisi catalana, ma questo è il regalo più grande di Madrid alle frange estreme degli indipendentisti. Che infatti negli ultimi giorni hanno tenuto il centro della scena nella vita politica spagnola. Dopo le dichiarazioni del capo del governo centrale, che ha richiamato alla pace nella regione ribelle, gli indipendentisti hanno indetto due grosse manifestazioni a sostegno dell’ex presidente e degli altri leader secessionisti arrestati o latitanti in Europa. Venerdì e domenica la piazza di Barcellona è stata accesa da proteste alle quali hanno partecipato oltre 70 mila persone. Sono seguiti scontri con la polizia ed arresti. Le simpatie di chi, indipendentista, un facinoroso non è, non potendo andare a un governo centrale che non propone niente, sono andate spesso ai violenti. Alle manifestazioni di Barcellona ne sono seguite altre parallele in tutta la Catalogna.
In questo contesto l’arresto di Puigdemont più che una pietra tombale sul discorso indipendentista sembra l’ennesimo regalo di Madrid a chi in Catalogna spera di portare quante più persone possibile dietro le bandiere dello scontro frontale
La più grave colpa di Mariano Rajoy resta dunque quella di non aver saputo (o non aver voluto) trovare un abbozzo di soluzione politica al macro-tema spagnolo degli ultimi anni e, peggio ancora, di non aver nemmeno provato a fare una sintesi tra tutte le proposte che gli sono arrivate dal Parlamento, sia da chi lo sostiene sia da chi gli fa opposizione. Al di là dei soliti richiami alla costituzione, all’ordine pubblico e all’unità dello Stato centrale, un sostanziale passo in avanti nei confronti della sfida indipendentista non è ancora mai stato fatto. Né sembra ci sia l’intenzione di farlo. In questo contesto l’arresto di Puigdemont più che una pietra tombale sul discorso indipendentista sembra l’ennesimo regalo di Madrid a chi in Catalogna spera di portare quante più persone possibile dietro le bandiere dello scontro frontale.