In un’Italia in cui non dovresti fare il ministro se hai rifiutato di partecipare a un convegno con l’ambasciatore di un Paese di cui non condividi le strategie, le questioni di politica estera dovrebbero essere oggetto di dibattito quotidiano. Soprattutto in campagna elettorale. Invece non se ne importa nessuno. Anche se dal 5 marzo torneremo inevitabilmente a fare i conti con un mondo che ci circonda e imporrà le sue priorità al futuro Governo, qualunque esso sia. Giusto per portarci avanti, eccone alcune delle più impellenti.
1. Rapporti con l’Europa – In questi anni siamo stati un po’ il gioppino della Ue. Più su della Grecia ma così presi dalle nostre frivolezze da ritrovarci poi a mendicare un po’ di tolleranza sui bilanci in cambio di … tutto il resto. A cominciare dalla croce di quel Trattato di Dublino che ci ha inchiodati alla questione migranti (vedi 4), con tutti gli altri pronti a sbarrare il passo anche a qualche centinaio di richiedenti asilo. Se c’è un po’ di ripresa economica, e se davvero si sono estinte le pericolose illusioni sull’uscita dall’euro, dovremmo approfittarne per gestire più seriamente i nostri conti e quindi battere un po’ i pugni in Europa. Nella Ue dove ogni cosa va decisa all’unanimità, tutti in realtà fanno più o meno ciò che vogliono. Abbiamo l’arma della non approvazione del bilancio comunitario, usiamola. Non se ne può più del protagonismo egoistico dei Paesi dell’ex Est, dalla Polonia che ingurgita fondi strutturali e rifiuta qualunque disciplina comunitaria agli altri che conducono una politica di dumping dei costi e incentivano la delocalizzazione delle attività produttive da Ovest verso Est. Patti chiari e amicizia lunga non è la nostra specialità ma al confronto facciamo un figurone. È ora che qualcosa cambi, soprattutto mentre si annuncia un ulteriore allargamento della Ue.
2. Rapporti con la Russia – Al netto delle illusioni, il tema dell’interesse nazionale (vedi 1) è tornato a essere fondamentale e non possiamo abbandonarlo alle rozzezze della Lega Nord e delle destre profonde. Si riconosca, quindi, che non è interesse dell’Italia partecipare alla guerra per procura che gli Usa e la Russia si fanno in Ucraina. Le sanzioni anti-russe decise dalla Ue ci fanno perdere un sacco di soldi e non risulta che gli Usa abbiano previsto alcun indennizzato per le mancate esportazioni italiane verso la Russia e i mancati investimenti russi in Italia. In più, nessuno vuole davvero che l’Ucraina entri nella Ue. Anche perché, se lo facesse, sarebbe un’altra Romania, Repubblica Ceca, Polonia o Baltico (vedi 1), ovvero uno dei Paesi che prendono i soldi a Bruxelles e gli ordini a Washington. Usciamo quindi da questo schema che ci fa danno, non intimidisce la Russia e non aiuta l’Ucraina. La Russia, inoltre, ha ormai un ruolo troppo importante in aree cruciali per l’Italia come il Medio Oriente e il Nord Africa (vedi 3 e 4) per essere trattata come un qualunque “Paese canaglia”. Anche chi giudica Vladimir Putin solo un autocrate può mettersi il cuore in pace: basta che osservi con quanti altri autocrati intratteniamo cordiali e proficui rapporti.
In un’Italia in cui non dovresti fare il ministro se hai rifiutato di partecipare a un convegno con l’ambasciatore di un Paese di cui non condividi le strategie, le questioni di politica estera dovrebbero essere oggetto di dibattito quotidiano. Soprattutto in campagna elettorale. Invece non se ne importa nessuno
3. Siria e Medio Oriente – L’Italia può fare qualcosa per una regione così tormentata ma anche così importante (vedi 4) per la nostra collocazione mediterranea? Almeno due cose, per cominciare. La prima è uscire dalla strategia della “esportazione della democrazia” che in Medio Oriente ha solo contribuito a far crescere le tensioni, le guerre, i massacri di civili e anche i regimi autoritari o dittatoriali. Siamo amici degli Usa e loro fedeli alleati ma non è obbligatorio partecipare a tutti i loro disastri. La strategia del caos potrà anche convenire a Washington, certo non conviene a noi (vedi 4). La seconda cosa che possiamo fare subito è ridurre l’esportazione di armi verso i Paesi della regione. Anche qui, non facciamoci illusioni. Tutto e subito no, ma battere un colpo riducendo il commercio darebbe un bel segnale. Certo, c’è da rimetterci qualche miliardo. Ma le petromonarchie non smetteranno per questo di investire in Italia e i soldi che non incasseremo lì li potremo recuperare altrove (vedi 2). E per la Siria, perché non pensare a un’iniziativa di pace italiana? Il problema, laggiù, è che si occupano della pace solo quelli (Russia, Usa, Turchia, Arabia Saudita, Iran…) che intanto fanno la guerra. L’Italia è in buoni rapporti con tutti i contendenti, tutti sanno che non abbiamo ambizioni di influenza politica (come invece hanno Francia e Regno Unito) e ci stima o quel tanto che basta per provare a farci ascoltare. Perché non provarci?
4. Denatalità e migrazioni – Le due questioni sono collegate e formano un problema planetario. Un’Europa ricca (sì, ok, c’è la crisi, ma la Ue produce tuttora il 20% delle transazioni commerciali di tutto il mondo) e afflitta da una forte denatalità (in Italia l’età media è 45 anni, in Germania 46) ha bisogno di ripopolarsi e comunque non può pensare di essere al riparo da flussi migratori che partono da regioni e continenti disastrati da guerre assurde e dalla povertà, molto popolosi e pieni di giovani (in Africa l’età media è di 28 anni, in Medio Oriente il 30% della popolazione ha meno di 30 anni). E il tutto, come sappiamo, investe in primo luogo l’Italia, Paese-ponte tra l’Europa e quegli altri mondi. Accogliamoli tutti e respingiamoli tutti sono posizioni parimenti insensate: abbiamo bisogno di gente nuova ma non di chiunque; è giusto accogliere quanti possono inserirsi ma non molti di più. Per l’Italia, quindi, la prima cosa da fare è abolire la legge Bossi-Fini e ripristinare vie legali di immigrazione nel nostro Paese. Dopo di che, per quanto sembri brutto a dirsi, occorre esercitare un serio controllo sugli accessi illegali. Meglio (per loro e per noi) dieci migranti bene inseriti che cento a mendicare per strada. Allo stesso tempo e allo stesso scopo vanno incentivate le politiche di accordo bilaterale (tipo Libia) e quelle di cooperazione europea allo sviluppo con i Paesi da cui i migranti partono. E sempre per la vecchia questione dell’interesse nazionale (vedi 1 e 2), l’Italia non deve avere paura di essere presente nelle aree in cui si producono fenomeni destinati a investirla in modo importante. Anche con le tanto contestate missioni militari che, fino a prova contraria, sono la maniera più concreta e diretta, anche dal punto di vista umanitario, di cui lo Stato italiano dispone per manifestare all’estero la propria esistenza in vita. Se il pacifico e progressista Canada è uno dei Paesi più impegnati in questo genere di attività, perché non possiamo esserlo anche noi?