Vietato scopare: ecco perché nei videoclip indie siamo un Paese di asessuali

Da Motta a i Thegiornalisti, da Coez a Calcutta e Lo Stato Sociale, tutti parlano d'amore ma nessuno lo fa vedere. Il 'maschio indie' è una fotografia (tragicomica) che funziona solo a fare views su Youtube

Poche cose descrivono una generazione più dei video delle canzoni ascoltate da quella generazione. Ci sono ragazzine cresciute vedendo Ricky Martin tirare pacche sul culo a Nina Moric vivendo la vida loca (salvo poi scoprire che la situazione fosse stata falsata ad hoc, il che rimane comunque nella memoria collettiva un buon primo assaggio del fatto che la vita di una donna eterosessuale sia piena di stenti e privazioni). Quasi una decade dopo arrivò Adam Levine che nel video della prima hit dei suoi Maroon 5, This Love, si rotolava tra le lenzuola con una supermodella ancora prima di cominciare ad intonare il verso d’esordio del pezzo. Questione di priorità.
Oggi, che ormai dalla vida loca di Ricky Martin di anni ne sono passati una ventina, le views di YouTube, nell’ordine di decine di milioni di utenti, ci dicono che, almeno sul fronte italiano, gli artisti uomini più quotati siano i cantautori indie, praticamente un esercito di Barbetta (anche quando il cantante della band non possiede una barba, si percepisce la bramosia con cui sta aspettando che gli ricresca) che, per come ci si presentano, alla tensione sessuale hanno detto sayonara. Così come molti esemplari di maschi contemporanei che ci sono toccati in sorte a questo giro di walzer: non sanno, non dicono, ma soprattutto non fanno.

Sembrava quasi bello e sicuramente innocuo, all’inizio. Ovvero quando l’indie nostrano si teneva stretto il (de)merito di aver riportato in auge il trend delle camicie a quadrettoni da boscaiolo e lì si esauriva la sua sfera di influenza. Ora che indie non è più ma si chiama ItPop (come un vecchio disco di Alex Britti) e invece di stare sbronzo male al Magnolia di Segrate riempie i palazzetti quando quasi non espugna l’ingessatissimo Festival di Sanremo, ha deciso di avere un messaggio più importante da dare: l’amore è una battaglia persa, il sesso una vera e propria perdita di tempo. Va bene, ragazzi, ridateci le camicie a quadrettoni da boscaiolo. In fondo non erano così male.

Innesco social(e) o fotografia di un tempo terribilmente attuale che sia, l’immagine del maschio che esce da queste canzoni è disperante. Somiglia di più, per intenderci, a una quindicenne alle prese con la prima poderosa cotta.

Veniamo ai fatti partendo dalle origini del Male: Completamente, The Giornalisti. Quindici milioni di views.

Qui il Barbetta Tommaso (Paradiso) si strugge d’amore per una ragazza che non lo corrisponde (più). Suona con gli amici, si fa un giro sul vespino da solo, nella sua peggior camicia rosa, canta contro un muro dentro a un locale vuoto. Più che un “pazzo che ti vuole”, pare uno con un principio d’Asperger. Alla fine lei arriva, o meglio appare come un’epifania, sugli scogli in un soleggiato pomeriggio estivo. È il momento della dichiarazione, dopo ore, giornate, notti che non finisco all’alba nella via, finalmente il Barbetta Tommaso le può dire tutto, ogni cosa. Invece il video finisce con il nostro che si siede di fianco alla sua amata, non la degna nemmeno di un’occhiatina furtiva e insieme, cioè tangenzialmente per caso nello stesso posto, guardano il mare, lei annoiata, lui con l’occhietto trigliesco preso in prestito da Bambi.

L’immagine del maschio che esce da queste canzoni è disperante. Somiglia di più, per intenderci, a una quindicenne alle prese con la prima poderosa cotta

Tutto qui? Tutto qui.

Neanche un ciao? Neanche un ciao.

La sensazione che manchi un pezzo è forte. Però potrebbe essere una scelta stilistica, diciamo, una virata poetica, volendo. Lo sarebbe se non fosse che la maggior parte dei video del catalogo indie-itpop ripropongano la stessa, tragicomica inconsistenza.

Ci sono quelli come Coez (La musica non c’è) e i Canova (Manzarek) intenti a miagolare nenie melense all’indirizzo di una ragazza che, in buona sostanza, se ne frega e vive la sua vita: salta, balla, corre, si lava i denti, si smalta le unghie senza pensare nemmeno per un secondo al povero innamorato che si strugge per lei. Il capostipite di questo sottogenere è sicuramente Oroscopo di Calcutta. Intendiamoci, l’idea di avere qualcuno disposto a perdere pure l’ultimo scampolo di dignità per sussurrare dolci parole alla nostra gelida indifferenza è affascinante. Una specie di versione 2.0 della Shania Twain di That don’t impress me much. Affascinante, sì, ma il rischio è di finire in un gioco senza vincitori: lui non ha il coraggio di dire, nel video nemmeno c’è, e lei in buona sostanza balla da sola. Contenti loro, per carità.

Surreale ma vero, in Sei la mia città di Cosmo, ballad d’amore (oltretutto corrisposto), non c’è neanche una femmina ma solo il Barbetta di turno che se la spassa con gli amici. “Nemmeno all’inferno vorrei averti lontano”, dice, va bene, però nell’inquadratura, mi spiace, proprio non ci stavi. Siamo sul paradossale invece con Motta che in “Sei bella davvero” si ritrova solo, in compagnia del suo fedele chitarrino, in un locale completamente vuoto dove, di quando in quando, compaiono fanciulle bellissime e ammiccanti. Non ne approccia manco una, nemmeno per sbaglio. Roba che l’anziano barista che si beve una birra al bancone gli ride dietro malcelatamente. E ha ragione. La verosimiglianza di questa situazione, in un mondo giusto, farebbe rimpiangere le gesta dello Gnomo armato di ascia ai gloriosi tempi di Mistero.

Quella del maschio indie che non ce la fa (in generale, nella vita, come motto programmatico) è una fotografia che funziona, un’immagine vincente verrebbe da dire stando a vendite, views e sold out. Finché si tratta di finzione scenica o di tre minuti di canzone, in effetti, ci può stare. È un’esperienza, fa folklore. Nella vita vera, però, questi soggetti esistono sul serio e se hanno bisogno di qualcosa non è certo di un incoraggiamento a non chiamare, non citofonare, non dire, fare, baciare, lettera e testamento

Per non parlare di “Niente di Speciale”, forse unica vera hit de Lo Stato Sociale prima della sanremese Una vita in vacanza, quella che oggi canta pure vostra nonna sognando di diventare un giorno la “vecchia che balla” vista sul primo canale. “Niente di Speciale”, dicevamo, è una canzone che, a giudicare dalle parole, è già un film. Però nel video passano le immagini della trionfale data al Forum di Assago della band. Con buona pace di quel “Sai dirmi che mi ami ma solo finché non si esce dall’ascensore”, non si intravede nemmeno un montacarichi. Figuriamoci due che si guardano prima che le porte si riaprano e ritornino alle loro vite forse dimenticandosi, forse no. Una scena che nell’immaginario per esperienza o sentito dire abbiamo più o meno tutti in mente (l’ascensore di chi scrive, nello specifico, era rosso). Però almeno i ragazzi della band restano in vita fino alla fine, a differenza del clip di “Amarsi Male” in cui una fanciulla-manga dà loro appuntamento al solo fine di farli fuori nei modi più fantasiosi e disparati. Perché è così che fanno le femmine, no? Non proprio, non sempre, insomma, no.

Quando invece un contatto fisico effettivamente c’è (e non è letale), la situazione non migliora: in “Irene” dei Pinguini Tattici Nucleari (sì, esistono veramente e facciamo poco gli spavaldi che magari il prossimo anno ci sbancano pure loro il Festivàl) i due protagonisti del video si baciano, è vero. Ma hanno una tale allure da sfigati senza appello né possibilità di ripartire dal via che quella non ha l’aria di una scena di cui chi guarda da casa vorrebbe essere protagonista. Stesso discorso per “Orgasmo” di Calcutta: qui, visto il titolo del pezzo, una sgambettata dovevano metterla per forza. E infatti c’è. Tristanzuola, buttata lì, tanto per, tra due persone che vorrebbero essere con qualcun altro ma la cosa, purtroppo, per ragioni che non sapremo e forse non sapranno mai nemmeno loro, non si è potuta fare. E allora via di Tinder solo per scoprire che sarebbe stato meglio Netflix.

Quella del maschio indie che non ce la fa (in generale, nella vita, come motto programmatico) è una fotografia che funziona, un’immagine vincente verrebbe da dire stando a vendite, views e sold out. Finché si tratta di finzione scenica o di tre minuti di canzone, in effetti, ci può stare. È un’esperienza, fa folklore. Nella vita vera, però, questi soggetti esistono sul serio e se hanno bisogno di qualcosa non è certo di un incoraggiamento a non chiamare, non citofonare, non dire, fare, baciare, lettera e testamento. Quindi, per favore, meno poesie e più telefonate, meno intenzioni e più limoni. Va bene anche con le camicie da boscaiolo a quadrettoni, siamo d’accordo, è già stato chiarito.

Barbetta d’Italia, pensateci, riunitevi tutti nella stessa stanza e non uscite da lì fino a che non vi viene in mente un’alternativa possibile. Che qua, fuor di metafora, trovarsi un maschio propriamente detto è già durissima pure senza il vostro aiuto. Inoltre, e questo lo diciamo squisitamente per voi, proprio quasi da amici con tanto di pacca sulla spalla, se insistete su questa passiva e annoiata astinenza fine a se stessa, ritrovarsi condivisi sul profilo Facebook di Mario Adinolfi è un attimo.

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