Fintech e blockchain: la rivoluzione che sta cambiando il mondo (e che in Italia fatica ad arrivare)

Questa tecnologia sta cambiano il modo di gestire le informazioni. Negli Stati Uniti e in molti Paesi asiatici è una vera e propria rivoluzione. Ma l'Italia, sempre indietro a livello normativo, rischia di non cavalcare l'onda del rinnovamento

«Il treno sta passando e l’Italia, senza un adeguamento legislativo, rischia di rimanere indietro». Il grido d’allarme arriva dal primo Italian Fintech Forum: «È un mondo totalmente nuovo e quello che vogliamo fare – racconta Gianluca Massini Rosati, fondatore e Ceo di Xriba e ideatore dell’evento – è creare una community nel mondo del fintech. L’obiettivo dell’evento di oggi (che sarà seguito da altre iniziative analoghe in diverse città italiane, ndr) è fare in modo di non perdere questa grandissima opportunità di lavoro per tantissime persone e tantissime azienda». All’hotel Melià, dove si è svolto il forum, la metafora più citata è quella con ciò che significò l’avvento di internet vent’anni fa, tale è la portata potenziale di questa novità. «L’Italia – continua Rosati – non può rimanere indietro e deve cogliere le opportunità che il fintech sta portando con sé».

Blockchain non è solo bitcoin, come il mainstream mediatico sta comunicando. Gli ambiti applicativi della “catena di nodi” sono illimitati. Il concetto base e veramente rivoluzionario è che questa tecnologia sta cambiando il modo di gestire e archiviare le informazioni, che non saranno più trattate localmente da parte di intermediari ma condivise in migliaia e migliaia di nodi o di blocchi in tutto il mondo.«L’accesso a queste informazioni – spiega l’organizzatore dell’incontro – sarà più democratico e più libero. Dalle banche ai notai, una svariata gamma di intermediari potrebbero non servire più, o servire comunque di meno. Per capirci, se due persone fanno una transazione immobiliare e la scrivono in blockchain, questa vale come una scrittura catastale. Per non parlare delle potenzialità che potrebbe avere come strumento per combattere l’evasione fiscale, a partire dalla cancellazione delle fatture false».

Blockchain non è solo bitcoin, come il mainstream mediatico sta comunicando. Gli ambiti applicativi della “catena di nodi” sono illimitati. Il concetto base e veramente rivoluzionario è che questa tecnologia sta cambiando il modo di gestire e archiviare le informazioni

Dove si posizione l’Italia in questo processo? «L’Italia sta perdendo tantissimi cervelli che stanno scegliendo di sviluppare progetti all’estero. La burocrazia che dobbiamo sopportare non consente di far partire start up in questo campo, serve uno sforzo straordinario a livello istituzionale e legislativo». Per ora, infatti, questa rivoluzione la stanno cavalcando gli Stati Uniti, altri Paesi europei e soprattutto l’est asiatico, dall’India alla Cina, dalle Filippine alla Tailandia. I tempi per essere protagonisti ci sono ancora ma bisogna sbrigarsi. «L’Italia – ci spiega Stefano Tresca, fintech e ICO advisor investor – non ha gli strumenti giuridici necessari, semplicemente perché, anche se in molti non lo sanno, il codice civile italiano è più vecchio della Costituzione, fatto sotto il fascismo», periodo in cui non si pensava propriamente a investimenti di tipo capitalistico-tecnolgico.

Secondo Tresca, sarebbero due gli aspetti a cui il legislatore deve mettere mano in fretta. «Il primo è avere normative precise. Gli americani dicono che alcune cose non si possono fare, altri Paesi come Gibilterra dicono che alcune cose si possono fare, in Italia non si sa cosa si può fare. I business vivono anche in normative difficili ma non possono vivere nell’incertezza. La Svizzera, per esempio, ha fatto delle regole ben fatte, anche rigide, che potrebbero essere copiate». E poi mettere mano alle normeche regolano il mondo del lavoro: «Dovrebbe essere molto più facile assumere lavoratori italiani da parte di aziende straniere, che potrebbero continuare a lavorare in Italia, portare ricchezza in Italia e magari un giorno fare impresa qui. Abbiamo un alto numero di programmatori bravi, che potrebbero lavorare per migliaia di aziende straniere. In Italia però gli imprenditori hanno il terrore di assumere perché significa essere sottoposti al diritto del lavoro italiano, che è anti-lavoratore e anti-imprenditore: il lavoratore guadagna poco ma all’imprenditore costa tanto, e dovrebbe essere il contrario».

In attesa che le cose a livello legislativo si sistemino, la parola blockchain, specie tra i giovani imprenditori presenti al forum, continua a suscitare l’idea di fare soldi facilmente. Un concetto su cui però molti dei relatori hanno invitato ad andare con i piedi di piombo. «Preparatevi ai fallimenti – avverte lo svizzero Nicolas Steiner, uno dei massimi esperti a livello europeo di blockchain – perché se volete fare impresa ne avrete tanti e saranno la migliore palestra per imparare». «Se qualcuno vuole lavorare in questo campo – gli fa eco Roman Kaufman, fondatore di HoQu – lo deve conoscere, e anche bene. Non ci si improvvisa». E infine, c’è chi invita ad un approccio addirittura filosofico, come Davide Baldi, co-fondatore di Luxochain: «Se il vostro unico pensiero è fare soldi, non li farete mai. Quello che vi serve è una strategia di vita e la mia strategia di vita è la libertà».

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