Soffiano venti guerra sulle consultazioni quirinalizie per dare forma alla prossima maggioranza. Un impetuoso vento che spira da Washington, coinvolge Gran Bretagna e Francia, e dirige verso la Siria per sottrarla al protettorato di Mosca e Teheran. Il nostro guaio è che la tempestosa traiettoria intercetta l’Italia, con le sue basi Nato, con il suo governo uscente che disbriga gli affari correnti, con le sue Commissioni speciali in via di formazione, con i vincitori e i vinti del 4 marzo impegnati ad almanaccare intorno a ogni ipotesi possibile, implausibile o meno che sia. E con il presidente della Repubblica che non per caso ha stabilito di dare un’accelerazione al secondo giro di colloqui con le forze politiche. Decisione che coincide con un sopraggiunto tramestio a Palazzo Chigi, dove Paolo Gentiloni è alle prese con una serie di visite più o meno ufficiali dall’ambasciata americana.
Il nostro guaio è che la tempestosa traiettoria intercetta l’Italia, con le sue basi Nato, con il suo governo uscente che disbriga gli affari correnti, con le sue Commissioni speciali in via di formazione, con i vincitori e i vinti del 4 marzo impegnati ad almanaccare intorno a ogni ipotesi possibile, implausibile o meno che sia
Sta cambiando il quadro di riferimento, la cornice in cui collocare i patti e i mezzi patti che finora hanno tenuto Lega e Cinque stelle al centro della scena in una danza di corteggiamento aggressiva e ambigua. Come ci dice un parlamentare di area sovranista, con una punta d’ironia acre: se dovessi scommettere il mio vitalizio, punterei su una maggioranza a stelle e strisce formata da Cinque stelle con il Partito democratico e con Forza Italia a far da complemento in Senato per colmare i vuoti che mancano ai primi due partiti. Possibile?
Si racconta di pressioni transatlantiche per avere da parte dell’Italia, nel più breve tempo possibile, un governo nel pieno possesso delle proprie facoltà deliberanti e totalmente allineato alla Nato nella sfida alla Russia di Vladimir Putin. Non una bella musica alle orecchie di Matteo Salvini, il quale ieri ha esternato un malessere improvviso, da forza minoritaria nello scacchiere di Palazzo: “Chiedo al presidente Gentiloni una presa di posizione netta dell’Italia contro ogni ulteriore e disastroso intervento militare in Siria”. Sulle stesse posizioni sono i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Quanto al Cavaliere: affidabile up to a point agli occhi di Washington, figura di potenziale mediazione fra Trump e Putin, ma non abbastanza forte in Parlamento per assegnare a lui le chiavi di casa dell’alleanza con Roma.
All’ex segretario dem potrebbe toccare in sorte il compito di una virata a 180 gradi: dall’opposizione purchessia alla responsabilità di garantire l’occidente con un esecutivo che somigli più a un gabinetto di guerra che al prodotto di larghe intese
Dunque il Pd renziano? Bel problema. Il Nazareno ha rapporti azzerati con la Casa Bianca ma dialoga fittamente con Parigi, dove il presidente Macron si è ritagliato un ruolo da capobranco nell’assalto agli interessi della Siria assadista. L’interventismo dell’Eliseo in medioriente e in Nord Africa è ormai un tratto consolidato sin dalla presidenza di Nicolas Sarkozy, come insegnano le così dette primavere arabe che sono all’origine dei tanti pasticci contemporanei. La fascinazione dei renziani nei confronti di Macron o, volendo infierire, la loro subalternità, è evidentissima. All’ex segretario dem potrebbe toccare in sorte il compito di una virata a 180 gradi: dall’opposizione purchessia alla responsabilità di garantire l’occidente con un esecutivo che somigli più a un gabinetto di guerra che al prodotto di larghe intese. Perfino accanto ai grillini? A costo di rafforzare le minoranze interne che il dialogo coi pentastellati lo invocavano già, e non certo per ragioni di politica estera? “Quando la mamma chiama, il picciotto risponde”, sussurrano velenosamente alcuni ex amici di Renzi.
Fatte salve le dovute riserve, a cominciare da quelle sulle reali intenzioni trumpiane di assecondare l’umanitarismo bellicoso dei francesi e dei britannici, diventa più facilmente comprensibile l’uscita in apparenza incongrua del capo pentastellato dopo il primo colloquio con Sergio Mattarella: «Con noi al governo l’Italia manterrà gli impegni internazionali già assunti. Resterà alleata dell’occidente, resterà nella Nato, nell’Unione europea e nell’unione monetaria». Era un modo per rassicurare i mercati, o anche una dichiarazione di fedeltà richiesta dagli Stati Uniti in vista del conflitto siriano? Le successive dichiarazioni di Di Maio a Porta a Porta mantengono i toni di un moderato pacifismo pur nella fedeltà atlantica.
Intanto, dall’ambasciata di via Veneto a Roma e dal Consolato di Milano (la città di Davide Casaleggio…) partono ogni giorno report a raffica sul paesaggio politico di una nazione tornata strategica negli equilibri mondiali. Sintesi di un anonimo diplomatico: non faranno la guerra in Siria pur d’impedire a Salvini di governare, ma cercheranno d’impedire a Salvini di governare se saranno impegnati in una guerra contro Putin. Chissà.