Un’altra settimana di attesa. Il capo dello Stato sembra deciso a concedere ancora sette giorni a Partito democratico e Cinque Stelle. Ieri pomeriggio, nel suo studio al Quirinale, Sergio Mattarella ha ascoltato attentamente il presidente della Camera. Dopo il secondo giro di consultazioni, Roberto Fico ha illustrato i risultati raggiunti, assicurando di aver individuato le premesse per l’avvio di una trattativa. Non è dato sapere se l’avvicinamento di questi giorni porterà a un’intesa. La strada sembra ancora tutta in salita. Ma adesso il prossimo passo spetta a Pd e M5S. Basta tatticismi. Dovranno essere i diretti interessati a fornire al Colle chiare indicazioni sulle proprie intenzioni.
Intanto nel calendario della crisi spunta una nuova scadenza. Il prossimo 3 maggio il Pd convocherà la direzione del partito: in quella sede deciderà se sedersi al tavolo delle trattative con i pentastellati. La situazione resta difficile. Eppure il presidente Fico saluta con soddisfazione la novità. «Il mandato esplorativo ha avuto esito positivo» racconta ai giornalisti prima di lasciare il Quirinale. «Tra M5S e Partito democratico il dialogo è avviato. Credo sia importante, ragionevole e responsabile rimanere sui temi e sui programmi». Al netto dell’ottimismo, il percorso verso il nuovo esecutivo è ricco di incognite. I dubbi si insinuano nelle parole pronunciate dal presidente della Camera. Un accordo di governo può partire solo dai contenuti. Già, ma quali? Diversi esponenti del Nazareno considerano il programma elettorale del Pd l’unico punto di partenza. Le distanze con i Cinque Stelle sono enormi. È impossibile non notare come alcune delle proposte grilline siano in evidente antitesi con quel progetto. Ancora ieri il leader pentastellato Luigi Di Maio proponeva di intervenire per modificare la legge Fornero, la Buona Scuola, il Jobs Act. E che ne sarà del reddito di cittadinanza tanto sbandierato dai 5 Stelle? Non è tutto. Il Partito democratico affronta la difficile fase dilaniato da dubbi e sospetti interni. Al Nazareno l’ipotesi di dialogo con i grillini ha spaccato il gruppo dirigente. Da una parte i renziani, convinti che non ci sia alcuno spazio per aprire una trattativa. Dall’altra il segretario reggente Maurizio Martina, consapevole delle difficoltà ma deciso a cercare un confronto. Un’opinione condivisa, tra gli altri, dal ministro Dario Franceschini e dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti. E mentre Matteo Renzi valuta se mantenere la porta chiusa, il clima si scalda. L’appuntamento del 3 maggio rischia di trasformarsi in una resa dei conti. Qualcuno teme che il possibile dialogo con i Cinque Stelle sia in realtà solo un pretesto per consumare vecchie vendette. Anche se, numeri alla mano, la sfida sembra già segnata. La maggior parte dei componenti della direzione è dichiaratamente renziana. A scanso di novità – per esempio il convolgimento diretto dell’ex premier – la trattativa con i grillini può fermarsi prima ancora di cominciare.
Al Nazareno considerano il programma elettorale del Pd l’unico punto di partenza per avviare le trattative. Ma ancora ieri il leader pentastellato Luigi Di Maio proponeva di intervenire per modificare la legge Fornero, la Buona Scuola, il Jobs Act. Le distanze con i Cinque Stelle sono ovviamente enormi. E che ne sarà del reddito di cittadinanza tanto sbandierato dai grillini?
La nascita di un esecutivo Pd-M5S è complessa, forse impossibile. A rendere tutto più complicato ci sono le legittime preoccupazioni di militanti e attivisti. Una campagna elettorale dai toni particolarmente aspri ha scavato una distanza difficilmente colmabile. Ecco perché, mentre cercano di aprire un difficile negoziato, i dirigenti di entrambi gli schieramenti sono costretti a prendere continuamente le distanze per rassicurare la base. Un gioco da equilibristi dall’esito tutt’altro che scontato. «Non si tratta di negare le divergenze e le profonde differenze che ci sono» mette le mani avanti Di Maio. «Io capisco chi tra i nostri dice “Mai con il Pd” e capisco chi tra loro dice “Mai con il M5S”». Sono gli stessi dubbi che coinvolgono gran parte dei gruppi parlamentari, peraltro. Ecco un altro aspetto delicato. Quanti deputati e senatori potrebbero prendere le distanze da un’intesa, senza mettere a rischio la tenuta del governo? Anche a ranghi compatti, una maggioranza composta da Pd e Cinque Stelle partirebbe già con pochi margini. A Palazzo Madama, in particolare, sarebbe appesa una manciata di voti. Forse troppo pochi per essere ottimisti.
Resta tutta da chiarire, poi, la questione relativa alla premiership. In queste ore Pd e Cinque Stelle hanno accuratamente evitato di affrontare l’argomento. Ma il nodo resta. Luigi Di Maio non sembra disposto a rinunciare a Palazzo Chigi. Eppure il suo passo indietro potrebbe essere una delle prime richieste dei democrat. I dubbi aumentano. ll Partito democratico aveva posto come condizione necessaria per l’avvio di ogni intesa la chiusura del dialogo tra i grillini e la Lega. Ma c’è chi teme che il confronto tra Di Maio e Salvini sia ancora aperto. Ufficialmente il leader Cinque Stelle nega ogni trattativa. «Dopo 50 giorni il forno della Lega è chiuso, noi abbiamo una dignità», spiega. Non tutti sono convinti. Domenica si vota in Friuli: una vittoria alle Regionali potrebbe rafforzare il ruolo del segretario leghista all’interno del centrodestra. Sono in molti a credere che a quel punto potrebbe riaprire un dialogo con i Cinque Stelle (scenario che Salvini, peraltro, non ha mai smentito). Tanto per rendere più complicata la vicenda, ieri pomeriggio i grillini hanno rispolverato un vecchio cavallo di battaglia del centrosinistra: il conflitto di interessi. Parlando di un possibile contratto di governo con il Pd, Di Maio ha spiegato: «Dovremmo lavorare sulla Rai, ma anche sulle tv private. Fa specie che Berlusconi, con le sue tv, stia mandando delle velate minacce a Salvini e alla Lega. Mettiamo mano a questo conflitto che c’è nell’informazione italiana». È un messaggio indirizzato ai dem, per rendere digeribile l’accordo? Oppure, come hanno interpretato i più maliziosi, l’ennesima apertura al leader del Carroccio?
Se il Pd accetterà il confronto, la strada verso il nuovo esecutivo potrebbe improvvisamente aprirsi. In caso di insuccesso, il Quirinale dovrà prendere atto dell’ennesimo passo falso. Con una certezza. Nonostante tutti si dichiarino pronti a nuove elezioni, i tempi per un voto anticipato in estate sembrano ormai chiusi. Semmai se ne riparlerà in autunno
Ancora una settimana, poi la crisi politica prenderà una direzione. Se il Pd accetterà il confronto, la strada verso il nuovo esecutivo potrebbe improvvisamente aprirsi. In caso di insuccesso, invece, il Quirinale dovrà prendere atto dell’ennesimo passo falso. Con una certezza. Nonostante tutti si dichiarino pronti a nuove elezioni, i tempi per un voto anticipato in estate sembrano ormai chiusi. Semmai se ne riparlerà in autunno. È una soluzione che il presidente Mattarella vuole evitare in ogni modo. Anche perché prima di tornare alle urne restano due nodi da sciogliere. Il primo riguarda la legge di bilancio, che dovrà essere approvata entro ottobre. Il secondo interessa la riforma elettorale. Senza mettere mano al sistema di voto, chi garantisce che la prossima volta non ci si troverà davanti alla stessa situazione di stallo?