Luigi di Maio tende la mano alla Lega e conferma il veto a Silvio Berlusconi. Al termine di un’incredibile giornata di incontri e trattative, il leader dei Cinque Stelle annuncia la disponibilità a siglare un patto di governo con il Carroccio, ma chiude ancora una volta la porta al centrodestra. A Forza Italia e Fratelli d’Italia viene concessa solo la possibilità di un appoggio esterno. Senza neppure il diritto di presenza al tavolo attorno cui scrivere il programma di governo. Sono trascorse ormai sei settimane dalle elezioni, ma la difficile fase di stallo politico non accenna a sbloccarsi. Intanto le trattative per formare un nuovo esecutivo ripartono da una possibile intesa tra i grillini e la Lega. Proprio quando il dialogo tra le due forze uscite vittoriose dalle urne sembrava definitivamente arenato, il confronto riparte. Per poi fermarsi nuovamente in serata. La partita si arricchisce di colpi di scena. Per tutto il giorno Salvini e Di Maio si mandano messaggi a distanza, aperture e ultimatum. A un certo punto sembra quasi che l’accordo sia a un passo. «Oggi finalmente si può partire» esulta il segretario del Carroccio. Ma bastano poche ore per capire che non è ancora il momento di festeggiare.
Dopo qualche giorno, i due leader tornano a confrontarsi. È una lunga telefonata al mattino che riapre la trattativa. Il tentativo di avvicinamento tra Di Maio e Salvini avviene poche ore prima di incontrare la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, nel secondo giorno di consultazioni a Palazzo Giustiniani. Insieme tracciano il perimetro di un possibile accordo. Prende corpo l’ipotesi di un esecutivo: un progetto da costruire attorno a proposte condivise e da sottoscrivere nero su bianco. È il contratto di governo “alla tedesca” di cui parlano da tempo i grillini. Piano piano la prospettiva sembra acquisire concretezza. Tra i due giovani politici, del resto, c’è sintonia. In queste settimane si sono già accordati sui nomi dei presidenti di Camera e Senato. Hanno scelto i parlamentari alla guida delle commissioni speciali di Montecitorio e Palazzo Madama e condiviso la necessità di iniziare a discutere i primi temi in agenda. Non ultima l’istruttoria a Montecitorio sui vitalizi. Durante la telefonata si parla anche del ruolo di Silvio Berlusconi. I Cinque Stelle hanno sempre posto un veto sul Cavaliere, respingendo al mittente ogni tentativo di dialogo. Eppure per la prima volta si cerca di trovare un punto di intesa. Si ragiona sulla presenza nel nuovo esecutivo di ministri d’area: magari scelti da Forza Italia, anche se non direttamente legati al Cavaliere. Lo scenario di un governo sostenuto da centrodestra e Cinque Stelle, che sembrava superato dagli eventi, improvvisamente si riapre.
Proprio quando il dialogo tra le due forze uscite vittoriose dalle urne sembrava definitivamente arenato, il confronto riparte. Per poi fermarsi nuovamente in serata. La partita si arricchisce di colpi di scena. Per tutto il giorno Salvini e Di Maio si mandano messaggi a distanza, aperture e ultimatum. A un certo punto sembra quasi che l’accordo sia a un passo. Ma bastano poche ore per capire che non è ancora il momento di festeggiare
A quel punto qualcosa cambia. La delegazione grillina dovrebbe incontrare la presidente Casellati alle 17.30, ma si decide di posticipare l’incontro. Passa un’ora. La notizia di una possibile convergenza con il centrodestra si diffonde, nel Movimento Cinque Stelle evidentemente non tutti sono d’accordo. C’è il rischio che la base non capisca, la tenuta dei gruppi parlamentari resta un’incognita. E così arriva la frenata, brusca. In serata il capo politico dei pentastellati detta le sue condizioni in diretta tv. Davanti ai giornalisti conferma le aperture alla Lega, ma blocca sul nascere ogni trattativa con Forza Italia. Assicura di essere pronto a firmare un contratto di governo con Salvini, ma solo con lui. «Se mi si chiede di sedermi a un tavolo con Berlusconi e Meloni per concordare un programma, è molto complicato per noi digerire questo scenario». La novità, semmai, riguarda l’ipotetico sostegno esterno di Forza Italia. «Siamo disposti ad accettare l’idea che quel contratto e quel governo possano essere sostenuti da Fi e FdI» insiste Di Maio. «Ma oltre delimitati limiti non possiamo andare». Seppure ammorbidito nella forma, il veto nei confronti del Cavaliere resta in piedi. Tanto basta per scatenare la reazione del centrodestra. Disposto a fare un passo di lato, Berlusconi non può accettare l’umiliazione delle condizioni poste dal grillino. Una nota ufficiale di Forza Italia denuncia con toni durissimi «l’ennesima prova di immaturità consumata a danno degli italiani».
Sullo sfondo resta uno dei punti più difficile dell’intesa: il ruolo di presidente del Consiglio. Altro nodo da sciogliere nella trattativa tra Lega e Cinque Stelle. Da tempo Salvini si è detto disponibile a dimenticare Palazzo Chigi, ma il grillino Di Maio non sembra dello stesso avviso. L’esponente dei Cinque Stelle non vuole rinunciare alla premiership. L’ipotesi di una sua partecipazione al governo con un ruolo da ministro, affiancato da esponenti di centrodestra, viene respinta al mitente. Su questo il grillino non tratta. È un aspetto su cui il tentativo di dialogo rischia di infrangersi definitivamente. Le reazioni ai paletti posti dal Movimento sono tutt’altro che diplomatiche. È ormai sera quando da Isernia, dove è impegnato in alcuni comizi elettorali, Salvini replica a distanza al grillino. «Non mi interessano logiche politiche: o c’è un tavolo tra centrodestra e Cinque Stelle per discutere di problemi reali, oppure non ho più tempo da perdere». Il segretario leghista arriva minacciare un colpo di scena, dicendosi pronto a ricevere un preincarico dal Quirinale: «Io ci proverò fino alla fine, E se serve scendo in campo direttamente, o la va o la spacca».
È ormai sera quando da Isernia, dove è impegnato in alcuni comizi elettorali, Salvini certifica lo stallo della trattativa. Il segretario leghista arriva minacciare un colpo di scena, dicendosi pronto a ricevere un preincarico dal Quirinale: «Io ci proverò fino alla fine, E se serve scendo in campo direttamente, o la va o la spacca»
Salvini assicura fedeltà agli alleati di Forza Italia. Ma i rapporti all’interno della coalizione rappresentano l’altra incognita della vicenda. Il destino del prossimo governo passa anche dagli equilibri del centrodestra. Di fronte all’ennesimo veto dei grillini, per ora il leghista preferisce non strappare. L’intesa tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia resiste. È una scelta meditata, evidentemente. Il segretario leghista punta a radicare la sua leadership sull’intera coalizione. Rompere adesso non avrebbe senso. Ma per quanto tempo ancora ci riuscirà? Il lungo braccio di ferro con i Cinque Stelle sta mettendo a dura prova la tenuta dell’alleanza. Intanto il fallimento della trattativa riapre i veleni tra Salvini e il Cavaliere, che ormai sono tornati a guardarsi con sospetto. Non è un mistero che, se non fosse per il leghista, Berlusconi avrebbe già avviato un tentativo di dialogo con il Partito democratico.
Come in un gioco di società, si torna alla casella di partenza. Mentre la partita per il governo si fa più complicata, la parola è ancora al Quirinale. Esaurito il tempo che le è stato concesso, in queste ore la presidente Alberti Casellati informerà il presidente della Repubblica sugli esiti del suo mandato esplorativo. Il tentativo di aprire un fronte tra Cinque stelle e centrodestra non è definitivamente chiuso, spiegano i bene informati. Gli spiragli aperti nelle ultime ore potrebbero convincere Sergio Mattarella a insistere su questa strada. «Nulla è perduto, noi ce la stiamo mettendo tutta» spiega Di Maio in serata. Ma il tempo stringe. Il presidente sarà disposto a concedere qualche altro giorno? Tra i corridoi del Palazzo, adesso c’è chi è pronto a scommettere su una nuova mossa di Mattarella. Magari un secondo mandato esplorativo, che stavolta potrebbe essere affidato al presidente di Montecitorio Roberto Fico. Non è escluso nemmeno lo scenario di un preincarico ai Cinque Stelle. Ulteriore tentativo del presidente per togliere ogni alibi ai presunti vincitori delle elezioni.