Lettera apertaAll’Italia non serve un referendum sull’Europa

La crisi istituzionale in corso cela un rischio enorme: che tutto il dibattito si polarizzi attorno alla permanenza o meno dell’Italia nell’Euro. Mentre i problemi del nostro Paese sono altrove. Una lettera-appello

La fermezza del Presidente della Repubblica e l’asprezza dei toni delle forze che hanno fallito nella formazione del Governo consegnano i cittadini italiani a una nuova fase di incertezza e preoccupazione, persino peggiore della precedente. Lo abbiamo respirato subito, stamattina, sui luoghi di lavoro, nelle strade, negli spazi di confronto offerti dalla rete. Non è necessariamente un male. Un popolo maturo ha il dovere di interrogarsi nei momenti difficili, senza cedere all’esaltazione o all’ira. Ma ci sono due pericoli che non dobbiamo correre.

Il primo è quello di delegittimare la figura del Presidente della Repubblica. Nei momenti più difficili, come quello che stiamo attraversando, ai politici è richiesta più responsabilità e meno opportunismo: rispettare le decisioni di chi garantisce la Costituzione è interesse primario di tutte le parti in causa. Attaccare il Capo dello Stato prelude a una campagna elettorale pericolosa, in cui lo scontro politico si confonderà con quello istituzionale e internazionale. Non ne abbiamo alcun bisogno.

Il secondo rischio è che le elezioni si trasformino in una scelta dissennata tra la permanenza nell’Euro e l’uscita dalla moneta unica. Conosciamo troppo bene il risultato della semplificazione brutale delle scelte democratiche: guardate al dibattito sulla Brexit, nel quale un percorso complesso e articolato è stato colpevolmente trasformato in uno scontro tra IN e OUT; guardate a quello sul referendum costituzionale, nel quale un lavoro di rinnovamento del nostro testo fondativo è stato trasformato in un televoto su Renzi. Quando la complessità viene negata e falsificata, trasformandola in scelta tra bianco e nero, vince sempre l’opzione peggiore.

Non possiamo permettere che la prossima corsa elettorale sia un referendum farlocco su un tema che non rappresenta in nulla le priorità dell’Italia e degli italiani. L’Europa e l’Euro non si discutono, ma se qualche forza politica ha intenzione di farlo, lo dica chiaramente in campagna elettorale a differenza di quel che ha fatto nella precedente. A noi tutti il compito di evitare che la riflessione si trasformi in slogan.

Ci dispiace per i manichei e i banalizzatori seriali: il futuro dell’Italia si deciderà su scelte diverse e più articolate, prima tra tutte quella tra lavoro e povertà. Sia il primo, sia la seconda poco hanno a che fare con la valuta

Ci dispiace per i manichei e i banalizzatori seriali: il futuro dell’Italia si deciderà su scelte diverse e più articolate, prima tra tutte quella tra lavoro e povertà. Sia il primo, sia la seconda poco hanno a che fare con la valuta. Questa è la dimensione nella quale dovremo muoverci nei prossimi mesi. Il faro che ci guida ci porta su una rotta che non prevede scorciatoie. Scorciatoie come quella che pretende di mettere nello stesso calderone detassazione spinta e assistenzialismo sfrenato, senza una visione chiara su come rimettere in moto le forze profonde e produttive della Repubblica “fondata sul lavoro“.

È su questi temi che il prossimo confronto elettorale dovrebbe svilupparsi. Gli italiani hanno bisogno di progettare insieme il loro futuro: non è più tempo di panacee miracolose, né di nemici esterni cui addossare colpe che sono anche nostre. Serve riflettere su lavoro e conoscenza, valore della diversità, futuro dei nostri figli, solidarietà, apertura e nuove insicurezze.

Se così sarà, se tutte le forze in campo sapranno vivere in pieno questo momento, allora davvero inizierà la Terza Repubblica e avrà i cittadini al centro. Se invece prevarrà l’opportunismo e la ricerca del nemico più facile, i cittadini europei si preparino: una nuova brexit, più rovinosa, è alle porte.

*Al Lavoro mette insieme italiani di diversa estrazione: policy makers, imprenditori, giornalisti, economisti, giuristi, rappresentanti sindacali e datoriali, appartenenti a diverse matrici di pensiero ma accomunati dall’idea di mettere al centro del dibattito il tema del lavoro come fattore di crescita economica e civile.

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