A circa settanta giorni dal voto, mentre tutti si interrogano su cosa faranno i partiti politici, vale la pena soffermarsi a riflettere sugli elettori e su quello che possiamo dedurre dalle loro scelte. È evidente infatti che sia il voto che la partecipazione rappresentano la maggiore o minore soddisfazione verso le proposte avanzate e l’interesse nei confronti del dibattito pubblico. Il graduale allontanamento degli elettori verso la cosiddetta destra e sinistra in alcuni casi è stato spiegato con proposte politiche poco coerenti con le rispettive matrici ideologiche, in altri e in maniera antitetica, proprio con l’incapacità di abbandonare vecchi schemi teorici. La modernità, intesa come l’insieme della globalizzazione economica e culturale e delle innovazioni tecnologiche, ha posto delle questioni nei confronti delle quali i partiti tradizionali non sono stati all’altezza di fornire chiavi interpretative efficaci.
Come abbracciare l’innovazione senza intaccare i diritti dei lavoratori, come conciliare società aperte con la garanzia di sicurezza sono soltanto alcune delle domande rimaste inevase. Tale tendenza è ravvisabile in più Paesi dove è infatti possibile riscontrare la comparsa e l’affermazione di formazioni politiche populiste non appartenenti alle tradizionali famiglie politiche. Lo scorso marzo fa Jan- Werner Müller osservò che molti ritengono che i socialdemocratici europei stiano affrontando una crisi inarrestabile, ma in realtà è anche la destra ad attraversare una fase tribolata. I socialdemocratici infatti, con la “Terza Via” vengono spesso ritenuti colpevoli di aver tradito gli ideali socialisti e devono riconquistare la loro credibilità. Invece il principale dilemma dei partiti di centro-destra è decidere se adattarsi o meno al populismo. Molti conservatori hanno pensato di poterlo contenere, includendo i partiti populisti nel governo o attingendo selettivamente dal loro programma, farlo tuttavia, conferisce a queste politiche rispettabilità agli occhi degli elettori centristi e li rende più forti. Anche in Italia, qualora dovesse formarsi il cosiddetto governo giallo-verde, guiderebbero da soli l’esecutivo quelli che vengono considerati i partiti populisti nostrani con il placet di Forza Italia.
L’insieme della globalizzazione economica e culturale e delle innovazioni tecnologiche, ha posto delle questioni nei confronti delle quali i partiti tradizionali non sono stati all’altezza di fornire chiavi interpretative efficaci. Come abbracciare l’innovazione senza intaccare i diritti dei lavoratori? Come conciliare società aperte con la garanzia di sicurezza?
Ma cosa ha spinto gli elettori a fidarsi delle loro proposte? Cosa possiamo dedurre dal voto? Andrea Maccagno ha analizzato le caratteristiche delle basi elettorali di Lega e M5S per YouTrend e, tra le altre cose, ha riscontrato che l’elettorato della Lega intercetta diverse classi di età ed è forte in particolare tra coloro che hanno dai 18 ai 24 anni (19%) ma soprattutto tra chi ha un’età compresa tra 55 e 64 anni (22%). Il M5S invece ha conquistato il 41% dei giovani tra 18 e 24 anni e solo il 3% di chi ha tra 45 e 54 anni. A votare M5S è stato inoltre, il 36% di chi possiede il diploma di scuola media superiore, a votare Lega invece, è stato il 19,6% di chi ha la licenza elementare e il 13,2% di chi ha conseguito una laurea. Il partito guidato da Matteo Salvini ha ottenuto la fiducia del 16% dei lavoratori autonomi e del 20% dei dipendenti pubblici mentre il Movimento 5 Stelle ha raccolto consensi in maniera trasversale dal punto di vista occupazionale, con il 19% delle preferenze tra i pensionati e addirittura il 46% tra le casalinghe e il 47% tra i disoccupati. Età, residenza, lavoro o livello di istruzione forniscono molte informazioni utili per capire che un partito per guadagnare consensi deve essere popolare, in altre parole deve saper parlare alle persone in maniera trasversale.
Solo il tempo dirà se proposte politiche in grado di raccogliere il consenso di categorie così diverse tra loro sono efficaci o rischiano di diventare generiche. Questo passaggio rientra nella gestione del potere ed è una fase successiva, ma quella antecedente, in cui si chiede fiducia facendosi interpreti dell’elettorato acquisito o potenziale, è altrettanto significativa. Davanti alla globalizzazione, alla presenza crescente della tecnologia, ai fenomeni migratori e ai precari equilibri geopolitici, le persone vogliono sapere che c’è qualcuno che si preoccupa per loro e che non si limita ad annunciare riforme ma a fornire una cornice di senso coerente intesa come chiave interpretativa dei fenomeni che ci circondano. Il rischio altrimenti è quello di dare l’impressione di non avere una visione di medio-lungo periodo e di non sapere come affrontare le sfide incalzanti della nostra epoca. A volte sembra quasi che l’elettorato spaesato e spaventato preferisca un ritorno al passato piuttosto che un fumoso e incerto cammino verso il futuro. Il “make America great again” è stato lo slogan con cui Trump ha promesso di tornare ad un non ben precisato ma rassicurante passato e la stessa vittoria del leave al referendum del Regno Unito sembra vagheggiare un ritorno a prima del 1973. Se non viene fornita una interpretazione dei fenomeni propedeutica a una qualsivoglia proposta di riforma, chi propone un ritorno al passato e risposte semplici a problemi complessi avrà sempre la meglio.