Il governo del cambiamento non è nemmeno partito e già si è fermato

Il grande intoppo. Sembrava tutto pronto e invece tra i due leader manca l’accordo su premiership e programma. Chiesto e ottenuto altro tempo dal Quirinale. Ma i dubbi di Salvini alimentano i pensieri di chi crede che il leader leghista sia pronto allo strappo

Lega e Cinque Stelle avevano assicurato che l’accordo era quasi chiuso. Dopo due giorni di incontri, avevano confermato che l’intesa di governo era davvero a un passo. Invece la realtà è molto diversa. Improvvisamente emergono diverse incompatibilità sul programma. Manca ancora il nome del presidente del Consiglio. Soprattutto, nessuno è più convinto che il nuovo esecutivo possa partire in tempi brevi. Prima Luigi Di Maio, poi Matteo Salvini, salgono al Quirinale e chiedono più tempo per provare a ridurre le distanze. Nei prossimi giorni si continuerà a trattare. Intanto si rimanda ogni decisione di almeno una settimana, dopo che i rispettivi elettorati saranno consultati sul contratto di programma. Adesso la sfida pare molto più impegnativa di quanto fatto trapelare nei giorni scorsi. Chi si aspettava di veder nascere un governo in tempi rapidi è costretto a ricredersi. «Pensavamo di aver lanciato un gatto selvatico sulla spiaggia, invece era solo una balena arenata». Era il 1944 quando Winston Churchill commentò con queste parole i primi insuccessi dell’operazione Shingle, dopo lo sbarco ad Anzio delle forze alleate. Una metafora che torna sorprendentemente d’attualità nella crisi politica italiana.

L’intesa è sempre più fragile. Le prime difficoltà per Lega e Cinque Stelle riguardano il nome del presidente del Consiglio. Quella che doveva essere la veloce ricerca di un premier terzo è diventata una disperata caccia all’uomo. Ufficialmente il tema non è all’ordine del giorno. «Per il momento non si fanno nomi», assicurano Salvini e Di Maio. La sensazione, però, è che proprio l’identità del successore di Paolo Gentiloni sia uno dei principali nodi da sciogliere. È un tema complesso, che in questi giorni ha coinvolto una lunga serie di aspiranti. Tutti rigorosamente bruciati dalle indiscrezioni. Fino a lunedì mattina sembravano certe le candidature dell’economista Giulio Sapelli e dell’accademico Giuseppe Conte. Il Quirinale era stato già avvertito, poi è successo qualcosa. Secondo alcuni retroscena i due leader non hanno trovato una sintesi sulla figura prescelta. Ma c’è anche chi tira in ballo i possibili dubbi del presidente della Repubblica, forse poco entusiasta delle indicazioni ricevute. In questa fase, del resto, Sergio Mattarella non ha alcuna voglia di assumere un mero ruolo notarile. La Costituzione gli attribuisce il compito di nominare il presidente del Consiglio e, su sua indicazione, anche la squadra di ministri. È una prerogativa che il capo dello Stato ha ben chiara. Ovviamente il Colle non ha alcun interesse a rallentare l’iniziativa di Salvini e Di Maio. Tutt’altro. Ecco perché, davanti alla richiesta di ulteriore tempo, si è detto disposto a concedere altri giorni. Certo, c’è l’irritazione di chi deve gestire da 70 giorni una crisi senza troppi precedenti. Talvolta affrontando veti e personalismi di leader politici non sempre rispettosi. Ma di fronte alle esigenze di Salvini e Di Maio, il presidente della Repubblica ha già assicurato la propria disponibilità.

Lega e Cinque Stelle avevano assicurato che l’accordo era quasi chiuso. Dopo due giorni di incontri, avevano confermato che l’intesa di governo era davvero a un passo. Invece la realtà è molto diversa. Improvvisamente emergono diverse incompatibilità sul programma. Manca ancora il nome del presidente del Consiglio. Soprattutto, nessuno è più convinto che il nuovo esecutivo possa partire in tempi brevi

Il tema di fondo resta proprio l’accordo di governo. Dopo il nome del premier, c’è il programma. Nel fine settimana si pensava che l’intesa sul contratto – formato da 25/30 punti – fosse ormai a un passo. Così lasciavano intendere i messaggi trapelati da leghisti e pentastellati. Ora invece si scopre che resistono diverse incompatibilità. Il segretario del Carroccio Matteo Salvini, palesemente scuro in volto, lo conferma in maniera esplicita parlando con i giornalisti nel salone alla Vetrata, subito dopo il colloquio con Mattarella. «L’ultima cosa che vogliamo fare – racconta – è prendere in giro il presidente e gli italiani dicendo che c’è condivisione su tutto». l toni sono poco concilianti, qualcuno mette in dubbio persino il buon esito delle trattative. «Il governo parte se può fare le cose – spiega ancora Salvini – Altrimenti non cominciamo neanche». Tra Lega e Cinque Stelle manca un’intesa sulla giustizia, in particolare sulla durata dei processi. Il leader leghista cita differenze programmatiche su infrastrutture e grandi opere. E poi c’è il tema più delicato, la riformulazione dei trattati europei e dei vincoli di bilancio. Non è ancora tutto. «Sull’immigrazione le nostre posizioni partono da notevole distanza» prosegue Salvini. «Su questo argomento la Lega deve avere la mano libera». Si fatica a raggiungere un’intesa sulle politiche dei rimpatri. Così come su un altro tema identitario per il Carroccio: la sicurezza e la legittima difesa. Gli sherpa impegnati nelle trattative ammettono che, effettivamente, su alcuni punti bisogna ancora lavorare. Nonostante l’ottimismo di Di Maio, anche tra i Cinque Stelle qualcuno si lamenta. Si racconta che la delegazione grillina avrebbe chiesto, senza successo, di inserire nel programma un robusto taglio agli stipendi dei parlamentari.

Sulla strada che porta a Palazzo Chigi restano diversi ostacoli, ormai non lo negano neppure i diretti interessati. Non si spiegano altrimenti i continui attestati di lealtà al centrodestra che Salvini ripete durante l’intervento al Quirinale. Sta già pensando a un passo indietro? È un particolare che fa crescere la tensione nei Cinque Stelle, preoccupati di venire presto scaricati dal leghista. Ma la partita è tutta da giocare. Va letta in quest’ottica la decisione di Lega e M5S, che durante il fine settimana coinvolgeranno direttamente il proprio elettorato. È un modo per prendere tempo nella lunga trattativa di governo. Utile per sopire il malcontento che inizia ad emergere, soprattutto tra i grillini. Ma, in caso, potrà diventare anche un pretesto per chiudere ogni trattativa. Il Movimento assicura che il contratto di governo sarà messo in votazione sulla piattaforma Rousseau prima del weekend. Il Carroccio, invece, allestirà una serie di gazebo per improvvisare nelle piazze un referendum aperto a tutti gli interessati. Intanto in confronto prosegue serrato. «Siamo consapevoli delle scadenze internazionali – conferma Di Maio al Colle – Ma chiediamo qualche altro giorno perché si sta scrivendo un programma di governo per cinque anni». L’obiettivo è ambizioso. Viste le premesse, forse troppo.