Le mani dei sovranisti sull’Italia, dal governo al Quirinale

Se il governo Conte prenderà il largo, presto Lega e 5 Stelle metteranno le mani sulle poltrone che contano davvero. Dai nuovi manager di Stato (fra cui il Cda Rai), ai vertici dei servizi di sicurezza. Ma anche il futuro commissario Ue e il successore di Mattarella al Quirinale. Nel 2022

Le mani dei sovranisti sull’Italia. Ancora non è chiaro se il nuovo governo gialloverde riuscirà a superare le prime prove. A partire dal braccio di ferro con il Quirinale sulla nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia. Ma se davvero l’esecutivo guidato dal professor Giuseppe Conte prenderà il largo, Lega e Cinque Stelle sono pronti a stringere la presa sul Paese. Non solo Palazzo Chigi, Montecitorio e il Senato. In palio ci sono alcune tra le poltrone più ambite d’Italia. Nomine strategiche, grandi aziende di Stato, amministrazioni locali, incarichi europei, persino il Quirinale. La data spartiacque, dicono in molti, è fissata per la fine dell’anno. Se il governo legastellato riuscirà a superare quel traguardo, allora è possibile che arrivi indenne fino al termine della legislatura. E in quel caso sarà l’attuale Parlamento a eleggere il successore di Sergio Mattarella.

Prima la politica. Nei palazzi romani leghisti e pentastellati si apprestano a occupare gli uffici che spettano alla maggioranza. I ministeri, ovviamente, con relativi incarichi ai sottosegretari. Senza dimenticare le presidenze delle commissioni di Camera e Senato, quasi tutte appannaggio dei due partiti di governo. La lista delle caselle da occupare è lunga. Nei prossimi mesi saranno nominati otto membri del Consiglio Superiore della Magistratura, che il Parlamento voterà in autunno, e i vertici dell’autorità Antitrust. Gli occhi di molti però puntano altrove. Le scadenze più attese riguardano il rinnovo dei cda della Cassa depositi e prestiti e della Rai, entro fine giugno. Nel caso di Cdp – da sempre al centro degli interessi pentastallati – sarà fondamentale il ruolo del prossimo ministro dell’Economia. Ma c’è grande attenzione anche sui vertici di viale Mazzini. Chi saranno i prossimi presidente e direttore generale? Il tema è centrale, perché da sempre queste scelte riflettono i rapporti di forza in Parlamento. Interessando a cascata anche le nomine dei direttori di rete e dei telegiornali. E chissà se Di Maio e Salvini confermeranno davvero il recente proposito di slegare la gestione della radiotelevisione pubblica dalla politica. Tra i Cinque Stelle, l’uomo chiave per trattare il delicato dossier dovrebbe essere l’ex conduttore Gianluigi Paragone, un tempo in Rai in quota Lega e ora senatore grillino. Si vedrà. In generale c’è chi ha contato fino a 350 poltrone da assegnare. Posizioni ambite, utili a ridisegnare la mappa del potere italiano e il peso delle nuove leadership nell’apparato pubblico. L’elenco è corposo. «Guardando avanti fino al 2020 – scriveva Repubblica pochi giorni fa – il menù diventa stellare: Fincantieri, Snam, Terna, Leonardo, Poste, Eni, Enel». Non solo. Presto il nuovo governo dovrà gestire gli avvicendamenti del capo della Polizia e dei vertici dei servizi, anche se per ora il governo uscente di Paolo Gentiloni ha optato per prudenti proroghe. Non è un caso, comunque, che si sia cercato fino all’ultimo di spacchettare le due competenze, per non lasciare troppo potere in mano a chi guiderà il Viminale.

Se davvero l’esecutivo guidato dal professor Giuseppe Conte prenderà il largo, Lega e Cinque Stelle sono pronti a stringere la presa sul Paese. Non solo Palazzo Chigi, Montecitorio e il Senato. In palio ci sono alcune tra le poltrone più ambite d’Italia. Nomine strategiche, grandi aziende di Stato, amministrazioni locali, incarichi europei, persino il Quirinale

La politica non è però solo quella nazionale. Entro la prossima primavera si voterà in Trentino Alto Adige, Basilicata, Abruzzo, Piemonte e Sardegna. In crescita nei sondaggi e con il vento in poppa dei primi mesi di governo, Salvini e Di Maio potrebbero fare bottino pieno. La sfida sui territori è lanciata. Tra gli analisti qualcuno si lascia andare a ipotesi ardite. Se in un prossimo futuro si deciderà di unire le forze e dare vita a un’intesa politica più profonda, l’ondata legastellata rischia di non essere più arginabile. Persino nelle regioni rosse. Per ora è solo fantapolitica, ma chissà che dall’autunno 2019 non possano essere contendibili anche Emilia Romagna e Toscana.

Ben più prevedibile è la data del 26 maggio 2019. Quel giorno ci saranno le elezioni Europee. Il voto non sarà decisivo per le sorti del governo nazionale, ma rappresenterà un test importante sulla tenuta della proposta sovranista. In Italia e non solo. Sarà importante valutare il peso che partiti simili a M5S e Lega avranno in tutta Europa. Dopo l’exploit del 2014, l’internazionale euroscettica che vede fra i protagonisti Di Maio, Salvini e Marine Le Pen punterà a scardinare il monopolio dei partiti tradizionali (Popolari e Socialisti) dalla gestione delle istituzioni Ue. Il passaggio successivo alle elezioni arriverà in autunno, quando dovrà essere nominata la nuova Commissione europea. Un governo grillo-leghista difficilmente accetterà una riconferma di Jean-Claude Juncker, ma nemmeno favorirà una soluzione moderata. E qui c’è l’ulteriore decisione da prendere: chi sarà il prossimo commissario Ue indicato dall’Italia. Stando così le cose, si tratterà di una figura euroscettica, che punterà a deleghe sull’immigrazione o sulle attività produttive. Altra incognita: come si comporterà un governo M5S-Lega quando si dovrà nominare il sostituto di Mario Draghi alla presidenza della Bce, sempre nell’autunno del 2019?

Tante le variabili, da qui ad allora. Tante le incognite e le sfide. L’esecutivo legastellato supererà davvero i primi mesi di vita? Conte riuscirà a mediare tra i diversi interessi delle due forze politiche che lo sostengono? Ma se il punto di equilibrio si troverà davvero – e siamo al principale interrogativo – ecco spuntare all’orizzonte l’ultima poltrona da assegnare. È la più importante di tutte. In palio c’è un incarico destinato a modificare gli equilibri politici e internazionali del Paese. La presidenza della Repubblica. Se la legislatura proseguirà il suo cammino, sarà questo Parlamento a scegliere il successore di Mattarella. Eletto nel gennaio 2015, il suo mandato è in scadenza nel 2022. Nei corridoi del Palazzo l’attesa inizia già a creare i primi dubbi. Sarà la prima volta al Colle di un presidente euroscettico e sovranista?

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club