Roberto Mancini è il nuovo commissario tecnico della Nazionale. E cerchiamo di capire se si tratta di una buona o una cattiva notizia. Per vedere andarsene Ventura dalla panchina più commentata d’Italia c’è voluta la sciagura massima, la mancata qualificazione al Mondiale che non avveniva da quando ancora la Coppa del Mondo veniva trasmessa in bianco e nero. E fare peggio del buon Giampiero è praticamente impossibile. A meno che non si manchi la qualificazione al prossimo grande torneo, l’Europeo 2020, che passerà attraverso la Nations League.
Ovviamente è presto per dire che Mancini sia sulla buona strada per imitare il proprio predecessore, ma la sua nomina fa arricchire il naso. Resta ad esempio quella sensazione di incompiuto, di occasione sfuggita nel leggere il suo nome al posto, per dire, di un Carlo Ancelotti. Il fatto è che la Federcalcio avrebbe voluto come ct Carletto, che al pari del Mancio ha grande esperienza europea, con un dettaglio di differenza non da poco: Ancelotti all’estero ha vinto sia le competizioni nazionali che in Europa, mentre Mancini ha il merito di aver vinto la Premier League con il Manchester City e una Coppa di Turchia con il Galatasaray, mentre nelle coppe continentali se si eccettua una Juve eliminata nell’inaudita neve di Istanbul non c’è molto altro da dire.
Le vittorie da sole non bastano, o non si reggono in piedi a prescindere, sebbene siano già un buon argomento di partenza: fossero contate solamente quelle, a uno come Antonio Conte, che in Europa non ha mai vinto da tecnico, la panchina azzurra sarebbe stata preclusa. Ci sono anche altri fattori, come il carisma dato dall’autorevolezza: Conte potrebbe venderne a chili al mercato tra una partita e l’altra, così come a suo modo Ancelotti, che in panchina sbraita meno di Conte, ma quando parla è Vangelo perché l’autorevolezza passa anche dalla calma e dalle parole giuste. Per non parlare di Lippi, che avrà pure un caratteraccio – altro aspetto negativo che si può imputare a Mancini – ma che insomma, vittorie e carisma non gli mancavano per evitare a un gruppo di grandi talenti l’onta di una carriera senza la vittoria azzurra. Senza voler fare della psicologia da accatto, Mancini da giocatore era tanto talentuoso tanto caratterialmente difficile e anche da tecnico non si è smentito. E non che la cosa gli abbia sempre portato bene: ripensando al suo ritorno in nerazzurro, per dirla con Maurizio Crippa, «quando si incontrano due psicologie così complesse e notturne, talentuose, come quella dell’Inter e quella del Mancio, qualcosa di drammatico deve per forza accadere».
Visto da fuori quello di Mancini è appunto un nome, più che un progetto di riforma e rilancio del nostro Club Italia. Il nuovo ct avrà praticamente lo stesso materiale umano a disposizione di Ventura
Può succedere con la Nazionale? Per certi versi, anche a Coverciano il suo è un ritorno. Da calciatore in azzurro ha avuto poca fortuna, sebbene non sia stato l’unico con molto talento e poche reti/soddisfazioni con la maglia di quel sogno che comincia da bambino. E anche la nazionale, tra commissari, elezioni che promettono la ridiscesa in campo di Abete e la profonda delusione per Russia 2018, rischia di essere una situazione altrettanto “complessa e notturna”. Talmente complessa che in via Allegri si è ha atteso mesi, prima di chiamare un nuovo commissario tecnico. Ed è stato preso alla fine il primo nome utile dopo Ancelotti, visto che Conte non torna e Allegri chissà cosa vuol fare da grande dopo 4 scudetti alla Juve. E il 6 settembre comincia la Nations League, il nuovo torneo Uefa legato alle qualificazioni a Euro 2020: il tempo stringe e ci voleva un nome. Visto da fuori quello di Mancini è appunto un nome, più che un progetto di riforma e rilancio del nostro Club Italia. Il nuovo ct avrà praticamente lo stesso materiale umano a disposizione di Ventura. Che però non era un nome pesante, anzi era un underdog ed ha fallito, quindi via e sotto invece con nome che più pesante lo è. Ma dietro il nome, cosa c’è?
C’è il riscatto personale, che rischia di passare su tutto il resto. Mancini non vedeva l’ora di sedersi sulla panchina azzurra, in fondo non ha mai nascosto questa voglia ed anche le sue prime parole lasciano intravedere grandi ambizioni da poter essere riconosciute su una panchina importante, importantissima (“Voglio riportare l’Italia dove merita: sul tetto del Mondo e dell’Europa”). Dopo il titolo sfuggito con il Galatarasay in Turchia e il deludentissimo quinto posto con lo Zenit in Russia, il tecnico italiano ha rinunciato a circa 6 milioni di euro a stagione per i prossimi due anni che ancora gli restavano con la squadra targata Gazprom, per prendersi una panchina che lo può portare dalla polvere all’altare. Ci riproverà molto probabilmente con Balotelli, un tormentone che chissà quanto piacevolmente tornerà ad aleggiare su un gruppo azzurro già complesso di suo, e che vive inoltre una delicata fase di passaggio tra vecchia (Buffon, Chiellini, De Rossi) e una nuova guardia tutta da assemblare. Insomma, meglio evitare un probabile esonero già scritto passando subito su un’altra panchina. Basterà, per innescare la fiamma del riscatto di tutto un movimento calcistico?