Così la Libia è diventata il regno della jihad

A partire dall’intervento in Libia la caduta di Gheddafi segna l’inizio del disastro nell’area. Oggi la Libia è fuori controllo. E continua a vivere nel caos

Pubblichiamo un estratto dal libro Sahara, deserto di Mafie e Jihad. Come narcos, separatisti e Califfi minacciano il Mediterraneo (Castelvecchi)

La primavera araba in Libia diventa subito l’occasione per abbattere un regime che era un nemico acerrimo degli americani; l’occasione è ghiotta anche per i movimenti islamisti che intendono sostituire la sharia alle velleità socialiste della dittatura del “Libro verde”, il manifesto gheddafiano sul socialismo africano.

Gli scontri fra insorti del Consiglio Nazionale Libico e le forze fedeli a Gheddafi scoppiano nel febbraio del 2011. Il 19 marzo 2011, dopo la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, parte l’intervento militare internazionale, con lo scopo ufficiale di proteggere la popolazione civile attraverso la istituzione di una No fly zone. In realtà, è l’occasione buona per bombardare i fedeli di Gheddafi. Il segretario di Stato americano Hillary Clinton e i francesi sono i più convinti della necessità di fare fuori il leader libico. La Francia intende sostituirsi all’Italia come stato di riferimento. La stessa politica italiana filo Gheddafi dei governi Berlusconi aveva reso il regime libico troppo funzionale agli interessi geostrategici russi nel Mediterraneo. La vulgata è che Berlusconi è un buffone che organizza volgari manifestazioni a base di “lettoni di Putin” e tende berbere piantate a Roma in Villa Pamphili, in occasione della visita del dittatore libico all’allora premier. La realtà è che la politica energetica di Roma con la Russia era l’opposto di quanto desiderasse la Commissione Europea capeggiata da Barroso o gli stessi americani. Mentre Ue e Usa puntano a disinnescare il monopolio de factoenergetico che Mosca esercita sull’Europa, esploso con virulenza nella prima crisi ucraina, quando Putin chiuse i rubinetti dell’energia, Berlusconi intende costruire una relazione preferenziale con Mosca che garantisca energia in quantità e a prezzi buoni. Mentre Ue e Usa puntano al gasdotto Nabucco, allora, Berlusconi e Putin, attraverso l’Eni presieduta da Paolo Scaroni e la Gazprom, chiudono per un altro gasdotto. Nabucco avrebbe messo in comunicazione la Ue con il Mar Caspio attraverso un Azerbaigian completamente “europeizzato”, dopo l’ingresso di Baku nel Consiglio d’Europa, mentre South Stream arrivava in Europa passando per le sponde russe del Mar Nero, bypassando il “problema” dell’Ucraina, che oscillava fra l’influenza russa e quella euroatlantica, come drammaticamente emerso dopo, con la guerra di Crimea. Il 16 febbraio 2011, in un patto siglato fra il presidente russo Dmitry Medvedev e Silvio Berlusconi alla presenza di Alexey Miller, Chairman di Gazprom e Paolo Scaroni, Eni chiude addirittura un accordo per portare i russi in Libia a sfruttare i nuovi giacimenti di Elephant Field. Sarebbe stata la prima volta dei russi in quell’area, che in questo modo cingevano l’Unione Europea da Est a Sud in una tenaglia. Altro che dipendenza economica della Ue con Nabucco. Si tratta di scelte geostrategiche che sono risultate probabilmente fatali sia a Gheddafi che a Berlusconi.

A oltre cinque anni di distanza dalle “primavere arabe”, regna l’inverno della pace. Iraq e Siria in macerie, scontri fra sciiti e sunniti in tutto lo scacchiere mediorientale, la Libia continua a vivere nel caos; gli islamisti, usciti dalla porta, sembrerebbero tornare dalla finestra

Il 20 ottobre 2011 Gheddafi viene catturato e ucciso nella sua città natale di Sirte. Berlusconi rassegna le dimissioni il 12 novembre 2011.
Dopo la caduta di Gheddafi, la Libia è squassata da varie rivolte e scontri. Nel 2014, il generale Khalifa Belqasim Haftar, sconfitte alcune milizie islamiste, si dichiara capo del governo, mentre la cellula jihadista di Anṣār al-Sharīʿa occupa Bengasi e proclama l’emirato islamico. Tripoli è a ferro e fuoco, mentre impazzano gli scontri fra Alba Libica, islamisti, e altre milizie laiche. Il 3 ottobre, a Derna, la cellula jihadista di Majlis Shura Shabab al-Islam dichiara la propria affiliazione all’Isis.

Il paese si spacca. A sud, ci sono gli scontri fra gruppi Tebu e Tuareg, di cui parleremo dopo nel libro. A Nord, l’Isis occupa Sirte, poi c’è il governo di Tobruk, sostenuto dalla Camera dei rappresentanti e dal generale Haftar; dall’altra parte il governo di Tripoli, sostenuto dal Nuovo Congresso Nazionale Generale e dalla coalizione islamica Alba Libica. L’8 ottobre, l’inviato speciale dell’Onu Bernardino León annuncia che Fayez al-Sarraj sarà nominato primo ministro del nuovo governo di unità nazionale. Martin Kobler sostituisce León poco dopo, a causa di uno scandalo che svela i rapporti fra lo spagnolo e gli Emirati Arabi Uniti, sostenitori del governo di Tobruk nel conflitto libico. Haftar, rappresentante dei militari laici, viene depotenziato, mentre continua la lotta al Califfo. Turchia e Paesi del Golfo spingono per il governo di Serraj, dove, oltre ai gruppi democratici, ci sarebbero altri islamisti, moderati per i sostenitori del nuovo governo di unità nazionale, quinta colonna dei jihadisti, per Haftar e al Sisi. Nel governo di Sarraj ci sono anche i Fratelli Musulmani. E non mancano i transfughi del jihad. “Alcune milizie cooptate all’interno delle forze governative come la Katiba Ahrar Libya, Shuhada’ Derna, la brigata 17 febbraio, guidata dal fratello di Ali Sallabi, Ismail, o la milizia Rafallah al-Sahati, nella stretta cerchia di Ansar al-Shari’a, fanno oggi parte dell’esercito nazionale”. Ansar al-Shari’a, in realtà, è un gruppo dove convivono elementi qaedisti (come Faraj al-Chalabi, arrestato per questo dagli stessi libici) ad altre forme di radicalismo religioso. “Al-Qaeda sembrerebbe quindi puntare su un approccio decentralizzato che si concentrerebbe sull’infiltrazione di combattenti fedeli all’interno delle locali milizie salafite nel tentativo di orientare queste forze verso gli obiettivi del “jihad globale”..

Nella primavera e nell’estate 2016, il governo libico ottiene diversi successi contro l’Isis. Ma il Governo di Accordo Nazionale di Sarraj non riesce a rafforzare la propria autorità. Il 22 agosto, la Camera dei Rappresentanti a Tobruk nega ancora la fiducia al Governo di Accordo Nazionale. Haftar, nel frattempo, è ridimensionato politicamente ma continua la sua battaglia a capo dell’esercito nazionale libico. Colpisce tutte le forze islamiste, tanto la Fratellanza Musulmana al governo con Tripoli, quanto gli estremisti di Ansar al-Sharia e dello Stato Islamico. L’11 novembre 2016, il portavoce di Haftar, al Mismari, dichiara ad Agenzia Nova che l’Italia e l’Europa stanno appoggiando un governo con all’interno elementi jihadisti.

A oltre cinque anni di distanza dalle “primavere arabe”, regna l’inverno della pace. Iraq e Siria in macerie, scontri fra sciiti e sunniti in tutto lo scacchiere mediorientale, la Libia continua a vivere nel caos; gli islamisti, usciti dalla porta, sembrerebbero tornare dalla finestra: infiltrati in altre sigle islamiste ma non fondamentaliste, a stare alle descrizioni che fanno di sé questi gruppi. Poi, c’è il ruolo della Fratellanza musulmana: secondo alcuni, forza islamista ma democratica con cui trattare, longa manus del jihad, per Haftar e Al Sisi. Ma non solo: illustri esperti di Cia e intelligence hanno apertamente definito la Fratellanza una organizzazione terroristica.

Intanto, il deserto libico è ancora in balia di jihadisti e narcotrafficanti.

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