Giù le mani dal farro perlato, ecco perché Farinetti ha fatto bene a tradire Renzi

Il fondatore di Eataly è stato a lungo tra gli imprenditori più vicini a Matteo Renzi. Ora, però, lo scarica: «Voglio bene a Matteo, ma ora tifo per questo governo». Ma non dategli dell'ingrato, già lo diceva il filosofo Feyerabend: la coerenza appartiene solo a chi non ha idee

Vincenzo PINTO / AFP

Questo mese, tra le offerte di “Eataly”, la standa per ceti medi riflessivi creata da Farinetti, c’è il “farro perlato”. Sempre questo mese, “la coerenza appartiene unicamente a chi non ha idee”. Parola di filosofo, per giunta di lingua tedesca, dunque, se le cose stanno esattamente così, nessuno tocchi Oscar, meglio, nessuno provi, dito ammonitore sollevato in aria, a tacciarlo d’essere un voltagabbana, un opportunista, un infedele, un ingrato, una persona ingiusta, soprattutto ora che Matteo Renzi, alla cui destra un tempo Farnetti sedeva, innalzando come cartiglio il volantone della sua impresa, non più figura nella cuspide del governo, doge toscano lì a Palazzo Chigi, ma soprattutto le kermesse annuali che avevano luogo alla ex Stazione Leopolda di Firenze sembrano aver raggiunto lo stesso cinico e baro destino delle feste dell’Unità nel purgatorio dell’agit-prop, se non soltanto pop, ormai trascorso, e amen.

D’altronde, avercela con l’inventore di “Eataly”, templi del cibo griffato, corrispettivo dei volumi Adelphi nell’ambito dell’alimentazione, sarebbe un po’ come immaginare alla sbarra, in una ideale Norimberga della post-sinistra, che so, proprio una confezione di “farro perlato”, se non un “pacco di sale con tartufo bianco”, articoli comunque certificati, cibo smart.

Paradossi, cose improbabili, tempo sprecato. Pensate infatti a quando il pubblico televisivo, riferendosi a Gianfranco Vissani, assimilavano quest’ultimo a un Massimo D’Alema al colmo del fulgore politico e governativo, di più, quasi l’uno fosse sinonimo dell’altro: “Vissani? Il cuoco di D’Alema”. Un fragile assioma presto decaduto. Infatti, poi D’Alema svanisce e il cuoco rimane, e tanti ne uccide la fame, o se non la fame l’arte del mattino del giorno dopo, in questo modo prosaico diremmo in questa storia parafrasando la canzone di Fabrizio. Lo stesso vale per Oscar in assenza di Matteo.

Ho capito, alcuni di voi, soprattutto i più romantici, avrebbero voluto un altro finale, che Farinetti indossasse, metti, la stessa determinazione morale di un Alessandro Pavolini che, mitra in pugno sotto l’impermeabile bianco, preferì terminare i suoi giorni al fianco di Mussolini…

In breve, non si processa il “farro perlato”, ancora meno il “farro soffiato” che ha il pregio d’essere sigillato nel suo package da radical design, e neppure una busta di “racioppi” o di “Ceci freschi biologici”, ancor meno una “barretta di mirtilli bio” per ceti medi riflessivi e avveduti, con incluso applauso per lo psicoanalista Recalcati, il narratore Baricco, il regista Pif, la ministra Maria Elena Boschi, manca solo il coiffeur, o forse provvedono a questo i già citati. Così almeno, in ottima compagnia d’anime belle, si annunciava Farinetti, figlio di partigiano, nei giorni del carro dell’ascensione renziana, Oscar in piedi, sorridente, convinto, di un ottimismo imprenditoriale con prenotazione obbligatoria, lì a bordo a infornare entusiasmi e certezze. Farinetti come una polena sulla prua del galeone di Matteo che andava e ancora andava. E poi…

E poi, diciamocela tutta, di Matteo, lo sappiamo bene, ed è una verità incontrovertibile, assecondata perfino dall’anagrafe, non ce n’è uno solo, e dunque fa bene Oscar, lui che avrebbe voluto l’incontro mancato tra Pd e 5 stelle, non meno sorridente e ottimista e sempre fieramente figlio di partigiano, a dire adesso, testualmente: “Se uno perde, significa che errori ne ha fatti, mi dispiace per Matteo Renzi, ma è la politica”. Parole come veleno, pronuncerebbe in questo caso Sergio Endrigo intonando la sua “Se le cose stanno così”… Un istante dopo, ancora lui, incalzato sul tema sempre annoso della dedizione che si fa quasi amore, ecco che pronuncia una sentenza non proprio definitiva: “Se voglio ancora bene a Renzi? Certo, io sono uno fedele per natura, tifo sempre la Juve, sono sposato da 40 anni con mia moglie, e voglio bene agli amici per sempre”. Dunque il distacco era solo apparente? E tu che già pensavi ogni male di lui se non dell’universo mondo. Salvo poi eccolo aggiungere: “Paradossalmente ora tifo questo governo, perché c’è”. E qui ci sta bene un gong, un suono secco che abbia la stessa assolutezza di un annuncio solenne, quasi ministeriale, mortuario, e questo perché il nuovo governo “deve rilanciare il sud e creare lavoro”.

Hai visto? Te l’avevo detto che di Matteo non ce n’è uno solo. Hai compreso quanto la coerenza, come spiega appunto Feyerabend, che non è un perfido cuoco inventato da Villaggio per opprimere Fantozzi, bensì il filosofo avveduto di cui sopra, non basti a rendere innocente una confezione di “gallette di farro”? Ho capito, alcuni di voi, soprattutto i più romantici, avrebbero voluto un altro finale, che Farinetti indossasse, metti, la stessa determinazione morale di un Alessandro Pavolini che, mitra in pugno sotto l’impermeabile bianco, preferì terminare i suoi giorni al fianco di Mussolini…

Ma che dico, non ci siamo, trattandosi di Oscar, figlio di Paolo, già comandante della 21ma Brigata Matteotti “Fratelli Ambrogio”, protagonista della nascita della Repubblica Partigiana di Alba, ci troviamo insomma nell’epopea narrata da Beppe Fenoglio, già, trattandosi di lui c’era piuttosto da immaginarlo identico a Sylva Koscina ne “La battaglia della Neretva”, anche lei partigiana, Sylva pronta a immolarsi alla mitragliatrice per coprire il ripiegamento dei suoi compagni, dunque consentirne la salvezza da qui all’eternità.

Vero, tutto giusto, giustissimo, ma forse è ancora presto per ottenere un’epica definitiva dalla zuppa di farro, neppure un Baricco è mai riuscito a tanto.

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