Italiani, un popolo di risparmiatori? Macché, siamo diventati spendaccioni

In Italia migliorano redditi e consumi, ma nessuno mette più da parte soldi. Negli anni '90 infatti eravamo le formiche d'Europa, ora il tasso di propensione al risparmio è crollato. Le cause? I giovani adulti che guadagnano poco, ma non vogliono rinunciare al loro tenore di vita

PACO SERINELLI / AFP

“Di doman non c’è certezza”, potrebbe essere questo il motto degli ultimi tempi, il sentiment di tantissimi italiani alle prese con contratti sempre più a termine e cambiamenti sempre più veloci nel mondo del lavoro, e non solo.

Da un punto di vista puramente razionale questo dovrebbe portare, soprattutto in un momento di redditi di nuovo in crescita, a tutelarsi, ad “assicurarsi” in un certo senso, e a mettere via risorse per i tempi più duri che prima o poi verranno.

E invece no. Gli italiani risparmiano sempre meno. La propensione al risparmio, ovvero il rapporto tra quanto è messo da parte e il reddito lordo disponibile, è in calo. E nel 2017 secondo l’Istat si è raggiunto il livello più basso dopo il 2012, il 7,8%.

Si tratta del culmine di un processo strutturale in corso da più di 20 anni.

Negli anni ‘90 eravamo le formiche d’Europa, con una propensione che sfiorava quasi il 20%.

Al crollo che ha interessato già gli ultimi anni che portavano al 2000 era seguita una certa stabilità bruscamente interrottasi con la crisi, che ha portato il risparmio al 7,1% del reddito nel 2012, poi la leggera ripresa e di nuovo il calo del 2017.

La particolarità di questo andamento è il fatto che solo parzialmente è sovrapponibile all’andamento dell’economia, spesso è stato in controcorrente, e in particolare è stato così negli ultimi anni.

Quando si è verificata la coincidenza di una ripresa di tutti gli indicatori principali e di una ulteriore contrazione del livello di risparmio.

Il reddito disponibile delle famiglie è infatti cresciuto, del 1,5% e 1,7% nel 2016 e 2017, la spesa per consumi finali del 1,6% e del 2,5%, gli investimenti del 3,4% e 2,4%, dopo un lungo periodo negativo.

Si tratta di una tendenza che risulta evidente anche nel confronto con l’estero.

Eurostat analizza il livello di risparmio per trimestre nel corso degli anni. Considerando come si è evoluto rispetto ai valori assoluti del 2005, si osserva come in l’Italia, nonostante la ripresa dell’ultimo trimestre 2017, rimanga a un livello del 23,1% inferiore a 12 anni fa. Questo mentre nella UE in media si è verificato un progresso del 15,1%, in Germania del 38,8%, in Francia del 13,9%.

Quello che emerge però è anche altro. Ovvero il gap tra la crescita (o decrescita) del livello di risparmio e quello di consumi e reddito.

Gli ultimi due hanno un andamento di solito sovrapponibile, tranne che in Italia, dove il reddito ha superato i consumi, e non di poco, e già questo è degno di nota. E in ogni caso si vede come il trend di questi due indicatori si distanzino, in negativo o in positivo, dal risparmio di una decina di punti nel caso della UE (+15,1% quest’ultimo dal 2005, contro +25,9% i consumi e il reddito), di 8 in Germania, di 13,6 in Francia, ma di 32 se consideriamo il gap risparmio/reddito in Italia, di quasi 40 se invece quello risparmio/consumi.

È l’esito della divergenza che ha visto crescere gli altri indici e diminuire solo i risparmi.

È chiaro, gli italiani hanno cercato di tamponare i rovesci della crisi rinunciando a mettere da parte piuttosto che limitando i consumi. A volte erodendo i risparmi.

Un atteggiamento più che comprensibile, che però ha lasciato una eredità ben visibile, ovvero la permanenza di questo trend che include la preferenza del consumo sul risparmio anche oggi che il PIL riprende a salire.Di fatto gli euro in più che stanno arrivando nelle famiglie vengono spesi, e non più messi in banca o nel mattone o in un fondo.

Il risultato di questo è che la propensione al risparmio italiana è scesa al di sotto della media UE rispetto al periodo precedente la crisi, quando era al di sopra. Qui si considerano non solo le famiglie ma anche le aziende no profit, e i valori sono un po’ maggiori di quelli dell’ISTAT. In ogni caso nel 2008 si poteva parlare di una propensione italiana del 13,88% contro una europea del 11,19%, nel 2017 del 9,71% contro il 9,97%.

Ci stiamo avvicinando a un modello più simile a quello anglosassone o dell’Est Europa, lontano da quelli tradizionalmente centro-europei, i cui rappresentanti sono Francia e Germania, cui eravamo più vicini un tempo. Anche se le similitudini con quello che accade in Spagna, dove è in atto un trend analogo al nostro, se non più estremo, fa più pensare ormai a un modello mediterraneo.

A osservare le elaborazioni di Unimpresa ci stiamo avvicinando ad alcuni modelli esteri, tra cui quello anglosassone, anche nella scelta di dove piazzare i risparmi. Tra il 2016 e il 2017 sono cresciuti praticamente tutti gli attivi in strumenti come azioni, fondi comuni, assicurazioni, e non di poco. Ed è un incremento che prosegue una tendenza già precedente.

E invece in calo il peso della cara vecchia casa, almeno considerando gli immobili in possesso delle famiglie, da un valore di quasi 5 mila miliardi del 2011 si è passati ai 4 mila e 633 del 2016. E’ una diminuzione superiore al 6%.

Il mattone non attira più. Non si tratta infatti solo del calo dei prezzi delle case, che ormai si è fermato. Gli italiani non hanno più intenzione di acquistare immobili come strumento di risparmio, neanche quando siano più convenienti, come ora.

Che cosa sta succedendo?

La chiamano “classe aspirazionale”: si tratta di quella crescente parte della società che spesso senza accorgersene ha fatto del mantenimento di uno tenore di vita molto alto uno standard cui non vuole e non può rinunciare. Anche perchè è fatta di consumi spesso non vistosi, in servizi più che in prodotti, in esperienze, viaggi, ristoranti, aperitivi, master, che di lussuoso hanno spesso poco e che vengono preferiti a vecchi status symbol in disuso come una bella automobile o anche un vestito firmato.

Questo ceto in espansione, che va molto al di là della definizione di élite culturale da centro città, perchè si trova anche in provincia e ormai travalica anche i confini demografici dei giovani adulti, ha in comune una cosa, lo scollamento tra il reddito percepito, spesso basso o molto basso, frutto anche di lavori precari, e il consumo e la frequenza del consumo.

Spende cifre non enormi, ma lo fa spesso, e non ha alcuna intenzione di smettere, di rinunciare al weekend low cost a Berlino o al mare per mettere da parte dei soldi per una casa, proprio o di una prole in ogni caso ridotta o inesistente. E forse in fondo pensa che le rinunce che i genitori e i nonni facevano non hanno poi portato il bengodi cui aspiravano.

C’è molto di sociale e non solo di economico in questa crisi del risparmio, che è probabilmente qui per restare a prescindere da come andrà l’economia nei prossimi anni.

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