Pubblichiamo di seguito un estratto dal libro Gli Irripetibili di Franceso Sala (Cooper)
Su un unico rotolo di carta, in sole tre settimane lo scrittore americano Kerouac scrive On The Road, che sarà fondamentale per le generazioni a venire. I ragazzi beat si mettono sulla strada e quest’opera diventerà la loro bibbia. In un clima di scontri, scandali, ma anche di gioiosa purezza nella convinzione di possedere un sogno, Rino Gaetano da Crotone vuole raggiungere Roma, e si mette a fare l’autostop con la custodia della sua chitarra. A notarlo on the Road sarà Lucio Dalla che con il suo bolide a due posti passava di lì: “Cosa fai con quella chitarra?”. “Il musicista”. “Dove sei diretto?”. “A Roma”. “Sali va’. Ti dò un passaggio”. E durante il percorso in macchina il ragazzo strimpella a Dalla alcune delle sue composizioni. Non ha maestri, Rino Gaetano. È preso dal teatro dell’assurdo, i suoi modelli sono Beckett e Ionesco. Nella leggerezza di questo giovanotto calabrese, Lucio intravede qualcosa che va al di là del semplice nonsense. Arrivano nella Capitale, la città in cui riecheggia una canzone dalle finestre aperte: è Roma Capoccia di Antonello Venditti. “Quanto sei bella Roma quann’è sera…”.
Roma è anche la città del “poeta aristocratico” De Gregori, del Folkstudio e dell’impresario Micocci, che gli fa subito un provino su segnalazione proprio di Dalla. Micocci ha una casa discografica che si chiama It, è sostenuta dalla RCA e in quel periodo, in quella Roma dei Settanta siamo in pieno talent- scout. Sarà quell’aria svagata, provinciale, sudista, da presa per i fondelli, disincantata ma buona che incuriosisce e divide.
Chi è davvero Rino Gaetano? Un cantautore, un cabarettista, non è impegnato, non sbandiera o contrabbanda messaggi politici sotto il consueto giro di do, è un autodidatta. Siamo nella Roma dei fricchettoni, impiegati col posto fisso mescolati a gente scalza, capelloni con strane tuniche indiane che suonano le percussioni davanti la fontana di Santa Maria in Trastevere. Ma è anche la città dei giri, delle feste in terrazza con molte candele, cani, incensi, dove è possibile imbucarsi e provare la marijuana mentre si conversa di ribellione, ecologia, poesia, oriente, sogni, sesso, droga e rock ‘n’ roll all’amatriciana. Questo è il contesto in cui nasce la sua prima canzone I love you Maryanna. Rino si firma con il nome di Kammamuri’s (il personaggio descritto da Emilio Salgari, l’amico di Sandokan ne I pirati della Malesia).
Salgari per inciso, è per noi un altro irripetibile.
Come Allen Ginsberg leggeva L’Urlo in un ristorante nel 1955, così il nostro Rino, con le debite proporzioni, canta e si esibisce nei ristoranti romani. Il suo è un cabaret, un teatro-canzone con influenze, contaminazioni e vicinanze con altri due grandi del genere: Gaber e Jannacci. Rino Gaetano fa simpatia. Nel suo organico strumentale userà la zampogna e nelle sue “S-canzonature” metterà accenti sudamericani.
Chi è davvero Rino Gaetano? Un cantautore, un cabarettista, non è impegnato, non sbandiera o contrabbanda messaggi politici sotto il consueto giro di do, è un autodidatta. Siamo nella Roma dei fricchettoni, impiegati col posto fisso mescolati a gente scalza, capelloni con strane tuniche indiane che suonano le percussioni davanti la fontana di Santa Maria in Trastevere
I suoi testi sono maccheronici dell’inglese e del francese (“I love you Maryanna”, “sur les rives de la Siena”). E poi Marianna non era anche la danzata di Sandokan? Impalpabile, leggero, comico e ridicolo, illogico, beffardo, spiazza tutti con le sue narrazioni. Dal paesello calabrese, la famiglia e gli amici del bar confidano molto nel loro amico-compaesano. Ce la farà? Arriverà il successo? Metterà la testa a posto?
Al bar Barone ad aspettarlo c’è l’amico di sempre: Bruno Franceschelli, che più che un amico è un padre per lui. L’irripetibile Gaetano si rifà a Petrolini. Look: una tuba, regalatagli da Renato Zero, un frac e il suo limite vocale, un tono roco, stridente, che salta subito all’orecchio, e un occhio stralunato.
Ma vuoi mettere con Luigi Tenco, Gino Paoli, Fabrizio De André che rifacendosi ai cantanti francesi spopolavano per bellezza dei testi e poesia dei loro componimenti? Rino canta Addavenì Baffone sbeffeggiando quell’aura preziosa, impegnata, quell’egemonia culturale del momento per cui se non c’è messaggio politico non ti puoi definire cantautore. Rino è unico nel suo genere proprio perché sa, nella leggerezza, contrapporsi alla seriosità dell’impegno artistico denunciando però i mali dell’Italia partendo dalla sua terra, facendo nomi, riferimenti, dietro l’apparente maschera stupida del menestrello nonsense.