Soffri per amore? Le neuroscienze ti spiegano perché

Da quando Helen Fisher ha infilato innamorati dentro un apparecchio per la risonanza magnetica funzionale sappiamo come - a livello chimico - funziona l'amore. Ma anche conoscendo gli ingredienti di una torta mangiarla resta un’esperienza meravigliosa

Pubblichiamo di seguito un estratto dal libro I mariti inutili. Corso femminile di sopravvivenza alla vita di coppia (Cairo Publishing)

Le neuroscienze sono la mia ultima speranza. Da quando l’antropologa Helen Fisher ha infilato gli innamorati felici/infelici dentro un apparecchio per la risonanza magnetica funzionale, sappiamo quasi tutto dell’amore. Il meccanismo che ha prodotto suicidi e poemi, rinunce al trono e crisi politiche, è incontrollabile ma non ha più niente di misterioso. Questo mi conforta.

Sei sempre su di giri, telefoni cento volte al giorno, pensi soltanto al prossimo appuntamento? Dipende dall’attivazione dell’area ventrale tegmentale destra. Il sistema della ricompensa ti inonda di dopamina (avete presente il doping? Più slancio, più passione, più prestazioni), ed è una sensazione talmente piacevole che hai voglia ripeterla all’infinito. Lui è geloso? Dipende dalla vasopressina, un neurormone prodotto dall’ipotalamo, responsabile della sensazione di possesso. Ti tradisce? Potrebbe essere colpa della variante RS3 334 del gene AVPR14 (c’è stato un gran rumore quando l’hanno scoperto, e che bello liberarsi dei sensi di colpa: è genetica!”). Ti ha lasciata, ma pensi sempre a lui? L’esperimento di Helen Fisher sui mollati conferma le parole del poeta latino Terenzio: “Minore la mia speranza, più ardente il mio amore”. Aveva ragione: il sistema di ricompensa per la voglia, la motivazione, il desiderio, la concentrazione, si attiva quando ottieni ciò che vuoi. In questo caso, la più grande ricompensa: il compagno giusto.

Al cuor non si comanda? Mi ripeto che il cuore non c’entra. È tutto nel cervello. Quando ero fissata con Leo, prima di Jaime, credevo fosse amore. Invece era il cervello rettiliano, lo stesso che si attiva anche quando un tossico ha bisogno della sua dose di coca. Frasi fatte come “tu sei la mia droga” sono verissime. “Il dio dell’amore vive in uno stato di bisogno. È un bisogno. È un’urgenza. È uno squilibrio. Come la fame o la sete, è quasi impossibile da evitare“ (l’ha detto Platone, magari fosse mia). Gli studiosi del cervello sono d’accordo: l’amore romantico è una dipendenza. Perfetta, meravigliosa, quando è reciproca (e non sempre lo è, questo è il guaio). Quando va male, diciamo: ho preso una scottatura. Vero. Nella mente si attiva la stessa area che reagisce a un dolore fisico, tipo una scottatura, appunto. E passiamo alla fase “mi ha spezzato il cuore.” Bisognerebbe dire “il cervello”? No, il cuore ha serie ripercussioni. Uno spasmo acuto. Per lo psicologo Angelo Compare, il cuore infranto è una verità scientifica. I sintomi sono come quelli dell’infarto del miocardio. Il dolore al centro del petto è forte, dura a lungo, vengono anche sudori freddi, nausea e vomito. Serve un’angiografia per scoprire che non ci sono danni alle coronarie: è stato un trauma emotivo.

Che cosa ho imparato da tutto questo? Se soffro, riesco a farmene una ragione? In maniera imprevista, gli studi sulle aree del cervello che si illuminano come lampadine davanti alla foto della persona che amiamo, quando ascoltiamo “la nostra canzone”, la conoscenza della dopamina e della feniletilamina (che per inciso, si trova anche nella cioccolata) mi serviranno forse ad avere le idee più chiare in quest’epoca di divorzi e storie mordi-e-fuggi. Quanto ho adorato quello stato di alterazione della mente che corrisponde al far follie: non senti il dolore, accetti sfide impossibili, perdi la lucidità. Dura al massimo da otto mesi a tre anni (e devo dire che rientro nelle statistiche con Jaime e Dado). I miei due ex avevano bisogno di dopamina (farfalle nello stomaco e simili). Volevano la tossicodipendenza passionale. È tutto lì l’amore? È per questo che piango, mi dispero, combino guai, scrivo libri, assumo avvocati? Io puntavo all’intimità, a un bagno nell’ossitocina, l’ormone della felicità, volevo la fiducia. L’amore comincia con la sensazione di essere capiti e sostenuti. La persona che ami raggiunge le parti più desolate di noi. Troviamo divertenti le sue battute, odiamo le stesse persone, vogliamo dormire abbracciati, invecchiare insieme. E non è possibile. Nessuno capisce del tutto nessuno. Io ho capito una cosa: scegliere qualcuno da amare è solo questione di decidere quale tipo di sofferenza siamo disposti a sopportare.

Le neuroscienze mi suggeriscono di riflettere su un nuovo, più promettente futuro post-romantico. Siamo dei pacchetti biologici, programmati per provare certe emozioni funzionali, ma siamo anche un sistema di valori, gruppo di appartenenza, cultura. Siamo attratte da uomini forti e da Dna diversi, da simmetrie, da odori, ma ci sono scelte che spettano ancora a noi, per fortuna. Come la conoscenza del genoma non ci permette di modificarlo, non ancora almeno, quello che sappiamo sull’amore non cambia il modo di viverlo, non crea in provetta le condizioni perché accada. Possiamo conoscere tutti gli ingredienti di una torta al cioccolato, però mangiarla resta sempre un’esperienza meravigliosa. Voglio la mia fetta di torta al cioccolato.

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