Negli Stati Uniti, gli impianti per la produzione di energia da carbone e le centrali nucleari a fissione stanno chiudendo bottega. La sospensione delle attività non è causata, come potremmo immaginare, da un risveglio di preoccupazioni ecologiste: sappiamo che il carbone produce il doppio di anidride carbonica a parità di energia rispetto al gas e anche un sacco di inquinanti, ma Trump ha confermato che gli Stati Uniti non ratificano gli accordi di Parigi per il contrasto al cambiamento climatico.
Lo Stop non è nemmeno dovuto a maggiori preoccupazioni per la sicurezza delle centrali a fissione. È vero che il nucleare è – oggi – la fonte di energia che ha provocato il minor numero di morti per KW prodotto rispetto a tutte le altre fonti, solare compreso, ma è anche vero che un incidente a una centrale a fissione può avere esiti catastrofici, come insegnano Three Miles Island, Chernobyl e Fukushima.
Il vero motivo della chiusura delle saracinesche è dovuto semplicemente al fatto che l’energia prodotta da carbone o da nucleare è più costosa di quella prodotta da gas e rinnovabili. Sembrerebbe, quindi, che l’alleanza dei tre moschettieri – pannelli solari, pale eoliche e biomasse – più D’Artagnan – il metano – sia riuscita là dove decenni di studi scientifici e preoccupazioni ecologiste in tutto il mondo non sono andati a buon fine.
Ma, come in un romanzo di Dumas, arriva l’imprevisto. Il 1 giugno il presidente Trump ha ordinato al segretario per l’Energia Rick Perry di attivarsi immediatamente per fermare la chiusura degli impianti a carbone e delle centrali nucleari fuori servizio.
L’obiettivo – dichiarato in un documento che i media americani hanno pubblicato lo stesso giorno – è la realizzazione di una riserva strategica per la generazione di energia.
Il vero motivo della chiusura delle saracinesche è dovuto semplicemente al fatto che l’energia prodotta da carbone o da nucleare è economicamente più costosa di quella prodotta da gas e rinnovabili
L’idea alla base dell’ordine e del memo è che le centrali a carbone e a fissione sono considerate un elemento fondamentale per la sicurezza nazionale. Cerchiamo di capire se è vero basandoci sui fatti.
Dal 2000 al 2017, la frazione di energia elettrica prodotta dal carbone è scesa dalla metà del totale USA a meno di un terzo. Nonostante il sostegno incondizionato dell’Amministrazione Trump, nel corso del 2018 andranno fuori produzione centrali a carbone per 12 GW pari a circa il 4% del parco energetico americano basato sul carbone. Secondo l’analisi di Sierra Club, 36 centrali inquinanti sono già state smantellate da quando si è insediato il presidente ora in carica, mentre altre 30 sono in fase di spegnimento. Solo una manciata – speranzosamente battezzate “a carbone pulito” – saranno invece costruite.
Se Sparta piange, Atene non ride: secondo lo studio di Spark Library, la quota di elettricità prodotta dai reattori nucleari a fissione – che fino ad ora ha resistito mantenendosi su un quinto della produzione totale – sta per scivolare a percentuali molto più basse: più del 10% delle centrali a fissione sarà decommissionata entro il 2025. Peggio ancora, si prevede uno sforamento dei costi per la realizzazione degli unici due grossi impianti a fissione tutt’ora in costruzione. Sforamento che potrebbe causare la sospensione dei lavori.
Lo stesso Dipartimento dell’Energia USA (DOE), analizzando la situazione, ha verificato che l’epidemia di saracinesche abbassate non causerà problemi alla stabilità della griglia di distribuzione: prima di tutto il gas naturale, poi anche l’eolico e il solare fotovoltaico e a concentrazione, saranno più che in grado di colmare il deficit di energia provocato dalle chiusure.
Non c’è alcun motivo concreto per non lasciare al loro destino quegli impianti che sono andati fuori giri a causa del sopravvento di nuove tecnologie. Ed è curioso che in uno Stato fondato sul libero mercato si voglia intervenire con sussidi (pagati con denaro dei contribuenti) proprio per contrastare l’evoluzione tecnologica guidata da pure ragioni economiche
Nonostante queste conclusioni, lo stesso Dipartimento ha però richiesto alla Commissione Federale per la Regolamentazione dell’Energia USA (FERC) il permesso di sostenere economicamente le centrali a carbone e nucleari nei guai proprio per impedirne lo smantellamento. Ma la FERC ha respinto la richiesta all’unanimità.
Anche PJM Interconnection, la più grande rete di distribuzione di energia USA, ha confermato che non c’è alcun rischio di interruzioni – anche temporanee – delle forniture e che nessun sussidio sarebbe giustificato da fatti concreti. Anche la stessa Exelon, il principale gestore di impianti nucleari americani, non sostiene l’ultima mossa presidenziale.
Ma come funziona il mercato dell’energia nel Paese più ricco del mondo (e in quello dove se ne consuma di più)?
Sostanzialmente vige il libero mercato: la domanda istantanea di elettricità viene soddisfatta mettendo all’asta le varie quote di energia che ogni operatore offre sulla base del costo di produzione del proprio impianto. In ogni istante, i distributori di energia comprano questi pacchetti al prezzo più basso possibile e li offrono ai loro clienti soddisfacendo la loro richiesta di potenza elettrica.
Secondo Utility Dive, l’abbassamento del costo del gas naturale ha permesso ai gestori di centrali a gas di immettere sul mercato la propria energia a prezzi più bassi che in passato. Nel frattempo, anche il costo dell’energia eolica e solare è diminuito grazie al progresso delle tecnologie e all’aumento dei parchi installati.
Al contempo, i dati EIA mostrano che il costo di produzione di elettricità da carbone e da uranio è diventato sempre più alto.
Attualmente, per il mercato americano, i costi di produzione sostenuti dai gestori degli impianti sono questi:
Dati tratti da: Lazard
In pratica – lasciando da parte qualsiasi considerazione ecologica – non c’è alcun motivo concreto per non lasciare al loro destino quegli impianti che sono andati fuori giri a causa del sopravvento di nuove tecnologie. Ed è curioso che in uno Stato fondato sul libero mercato si voglia intervenire con sussidi (pagati con denaro dei contribuenti) proprio per contrastare l’evoluzione tecnologica guidata da pure ragioni economiche.
L’amministrazione USA si richiama alla sezione 202 comma C della Legge sull’Energia Elettrica Federale ed alla Legge sulla Produzione per la Difesa Strategica per sottolineare che il Segretario all’Energia ha il potere di nazionalizzare parte del settore energetico in tempo di guerra o in casi di altre emergenze. È prevedibile che presto si scateneranno battaglie legali che influenzeranno il destino dell’industria energetica americana e che probabilmente faranno scuola anche all’estero.
Gli Stati Uniti saranno capaci di avviarsi lungo la strada virtuosa che già percorre il resto del mondo, prima fra tutti l’Europa dove le rinnovabili ad alta tecnologia hanno da tempo superato il carbone? Lo sviluppo della ricerca e di nuove, più efficienti (e più pulite!) fonti di energia ne verrà certamente influenzata. Vedremo come andrà a finire.
Articolo tratto da Eniday