Altro che vittoria italiana, l’accordo sulle migrazioni è stata la Caporetto europea

Il tanto sbandierato accordo europeo non solo ha segnato di fatto l’isolamento dell’Italia, ma dopo pochi giorni è già diventato carta straccia per tutti. E sembra l’emblema di un'Europa che non ce la fa

Michael Kappeler / dpa / AFP

“Da questo Consiglio europeo esce un’Europa più responsabile e più solidale: l’Italia non è più sola”, aveva dichiarato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte subito dopo il Consiglio europeo del 28-29 giugno. Non è andata proprio così, anzi.

Già dal testo delle Conclusioni di questo Consiglio era evidente il fallimento del governo italiano nell’imporre le proprie ragioni agli altri Stati membri dell’Ue, in particolare per quanto riguarda la questione dei migranti. Nessun obbligo – e, peggio ancora, nessun incentivo o disincentivo economico – per gli Stati europei di condividere il peso dei flussi migratori, se non su “base volontaria”, nessuna ripartizione per quote di chi arriva, nessuna revisione del regolamento di Dublino. Anzi, come chiesto dalla Germania, si prevede che gli Stati debbano “adottare tutte le misure legislative e amministrative interne necessarie per contrastare i movimenti secondari e cooperare strettamente tra di loro a tal fine”. Tradotto: gli Stati hanno il diritto di adottare provvedimenti al fine di rimandare in Italia i migranti che, qui arrivati, si sono poi spostati negli altri Paesi dell’Unione. Un contentino, questo, che potrebbe comunque non bastare ad Angela Merkel per scongiurare la crisi col proprio alleato storicamente più stretto, la CSU bavarese guidata dal “falco” Seehofer, che proprio sui movimenti secondari sta minacciando la crisi di governo (anche se c’è il sospetto che tutta la manovra abbia un fine elettorale, viste le imminenti elezioni di settembre in Baviera, dove l’estrema destra dell’Afd rischia di fare il pieno di voti proprio a discapito della CSU).

L’Italia è sola, più sola di quanto non lo sia mai stata in Europa. Politicamente, il governo Lega-M5S non ha sponde nelle grandi famiglie europee: i governi che si ispirano ai popolari europei così come quelli che si ispirano ai socialisti non hanno legami con i partiti al potere in Italia, anzi li considerano alleati dei propri nemici interni (si pensi alla Le Pen in Francia o all’Afd in Germania). Gli unici interlocutori “politici” sono i nazionalisti-sovranisti al potere in Est Europa e Austria, ma proprio questi Paesi hanno fatto del negare qualsiasi solidarietà europea – e quindi nessuna ripartizione del peso del fenomeno migratorio – la propria bandiera.

Gli altri, in particolare i grandi Paesi Ue che sono storicamente interlocutori di Roma, non hanno alcun interesse a legittimare e premiare politiche ricattatorie e muscolari da parte di governi “sovranisti” come quello italiano. La “base volontaria” su cui si sarebbe potuto costruire qualcosa, sfruttando le pur misere aperture delle Conclusioni del Consiglio europeo, si sta rivelando un boomerang. Nessun vuole (perché nessuno ha interesse a) aiutare l’Italia.

Perfino i nostri alleati “naturali”, da un punto di vista geopolitico, come Spagna, Grecia e Malta, non sembrano interessati a fare da sponda alle nostre richieste, e anzi preferiscono trattare e ottenere qualcosa direttamente dagli avversari politici del nostro governo (Germania e Francia in testa). La politica dei “porti chiusi” – più propagandistica che reale, in assenza di atti formali da parte del governo che diano i contorni normativi della questione – ha già prodotto i suoi danni in termini di buone relazioni nelle diplomazie del vecchio continente. Se ancora non siamo gli “appestati” d’Europa – pur essendo la seconda industria e la terza economia dell’Unione, ora che il Regno Unito è in procinto di uscire -, poco ci manca.

L’ondata anti-sistema, che nella crisi dei migranti ha trovato il proprio simbolico catalizzatore, sta portando la gran parte degli Stati dell’Unione a isolarsi, a proporre chiusure nazionalistiche e a minare le fondamenta morali del progetto europeo

Ma la solitudine dell’Italia è solo una tessera tra tante nel puzzle europeo. L’ondata anti-sistema, che nella crisi dei migranti ha trovato il proprio simbolico catalizzatore, sta portando la gran parte degli Stati dell’Unione a isolarsi, a proporre chiusure nazionalistiche e a minare le fondamenta morali del progetto europeo. Anche chi si è riempito la bocca in campagna elettorale di Europa, come Macron in Francia, alla prova dei fatti si sta mostrando meschino e spaventato di fronte al pericolo della xenofobia e del nazionalismo che fanno capolino in tutti gli Stati europei. Qualsiasi slancio ideale che provi a impostare le soluzioni dei problemi europei a livello comunitario sembra destinato al fallimento, e in molte cancellerie del continente torna a riecheggiare la preoccupante domanda (almeno nei Paesi dove i sovranisti non sono già al potere): “quanto possiamo diventare populisti/fascisti noi, partiti tradizionali europei, per evitare che i populisti/fascisti arrivino al potere?”.

Tempi bui sembrano incombere sul vecchio continente, orfano degli Stati Uniti che non fanno più mistero con Trump di guardare l’Europa – e in particolare l’Unione europea – con malcelata insofferenza. Stritolata tra questioni economiche e geopolitiche che dovrebbero indurre alla massima unione possibile, l’Europa sembra destinata ad andare in pezzi su un tema che ha molto più a che fare col percepito che con il reale come l’immigrazione.

Rispetto ai picchi del 2015, gli arrivi di migranti sono calati del 95% (novantacinque per cento!), i costi che un Paese esposto come l’Italia deve sopportare per l’accoglienza (i famosi 5 miliardi all’anno, oltretutto non conteggiati ai fini dei calcoli europei su deficit e debito) non arrivano allo 0,6% della spesa pubblica complessiva, i reati – nonostante i massicci arrivi di migranti dal 2014 in poi – sono in costante e significativo calo. Eppure è proprio sui migranti che l’Unione europea per come l’abbiamo conosciuta rischia di sgretolarsi. Perché se la Germania – locomotiva d’Europa – non saprà uscire dalla crisi in cui le intemperanze dei “falchi” della CSU l’hanno sprofondata, se passerà la linea del “ognun per sé, dio per tutti (purché bianchi)”, l’Unione sarà nella migliore delle ipotesi in coma, nella peggiore deceduta. Un esito che del resto sembra non dispiacere né ai nostri competitori (la Russia, che non vede l’ora di tornare ad espandere la propria influenza in Est Europa), né ai nostri storici alleati d’Oltreoceano.

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