Il suo nome è Katarina Zarutskie, è americana, è molto giovane, nella vita fa la modella e la… ehm… influencer, ma per far arrivare il suo nome fino a noi, molto più che il fotografarsi in pose sexy con qualche abito firmato, le è toccato essere la protagonista di un incidente abbastanza singolare: è stata morsa da uno squalo nello scintillante mare azzurro delle Bahamas. Katarina, che non è una surfista, né tantomeno una esploratrice subacquea, si è fatta mordere da uno squalo — per fortuna ricevendo solo una ferita superficiale — per un motivo molto meno epico o eroico: stava cercando di farsi scattare una fotografia per il suo profilo Instagram.
Ben le è stato, dirà qualche hater. E chi se ne frega? Diranno tutti gli altri. E invece la notizia, che tra l’altro è stata rilanciata da decine di testate in tutto il mondo, ci offre un interessante punto di partenza per un ragionamento importante: che rapporto c’è tra gli esseri umani e gli altri animali? Siamo veramente così distanti dal regno animale da cui proveniamo? È ancora possibile, senza timore di risultare grotteschi e ridicoli, pensare di essere gli unici animali ad avere l’esclusiva sull’intelligenza e sui sentimenti?
Per tutta la storia dell’Umanità, e sempre più spesso negli ultimi secoli, non abbiamo fatto altro che ripeterci quanto fossimo speciali, quanto fossimo simili a un qualche dio creatore e quanto ci fossimo meritati l’emancipazione dalla natura che abbiamo — o crediamo di avere — ottenuto dalla rivoluzione industriale in poi. E invece sta arrivando di gran passo il momento in cui dovremmo cominciare a cambiare atteggiamento.
E non soltanto perché momenti tragicomici come quello della giovane instagramer, che rischia di farsi pappare un braccino da uno squalo solo per una manciata di like, ci dimostrano in modo autoevidente che, in fondo, che siamo incomparabilmente più intelligenti degli animali è proprio tutto da dimostrare. Ma anche, anzi, soprattutto, perché i più recenti studi di biologi, ecologi e neuroscienziati di mezzo mondo ci stanno dimostrando e raccontando una storia leggermente diversa, se non opposta, una storia dalla quale i tanto bistrattati animali, alla fine, escono con molto più stile di noi.
Come gli elefanti protagonisti di una parte del racconto dell’ecologo Carl Safina, che sull’incredibile intelligenza sociale ed emotiva degli animali ci ha scritto un libro pubblicato in Italia da Adelphi e intitolato Al di là delle parole. O ancora, come i batteri citati dal neuroscienziato Antonio Damasio, in un altro libro, sempre edito Adelphi e intitolato Lo strano ordine delle cose, che va a cercare le origini delle culture e dei sentimenti umani nei comportamenti di microrganismi unicellulari procarioti, ovvero senza nucleo cellulare, come i batteri, la cui vita “sociale” ci racconta di meccanismi di cooperazione e addirittura di “attitudine morale”.
Elefanti sentimentaloni e batteri ipercollaborativi. E noi umani, nel frattempo? A guardarsi intorno lo spettacolo è di quelli cupi e per capire che sono tempi difficili per l’umanità basta osservare il crollo delle capacità di collaborare, aumento vertiginoso dell’odio tra individui e crollo dell’empatia verso qualsiasi altro individuo che non sia sé stessi. Anche se la nostra specie probabilmente non è mai stata così vicina a comprendere la propria essenza, sia materiale che filosofica, contemporaneamente si ritrova in una traiettoria di allontanamento furioso e velocissimo dai principi che ne hanno garantito la prosperità e la supremazia sulle altre specie.
Nelle ultime settimane, di fronte al terribile spettacolo di morte a cui stiamo assistendo nel Mediterraneo, sono in tanti tra noi ad aver perso quella che credevamo essere semplicemente umanità e quei pochi che ancora resistono richiamano all’ordine e alla moralità al grido “restiamo umani”. È un consiglio certamente ottimo e di buon cuore, ma a leggere le straordinarie vicissitudini degli elefanti, dei delfini e dei lupi raccontate da Safina e quelle, affascinanti, che hanno portato organismi come i batteri, non molto diversamente dall’uomo in fondo, a sopravvivere per miliardi di anni grazie a comportamenti sociali e morali che credevamo appannaggio esclusivo della specie umana, probabilmente dovremmo ricrederci. E forse, proprio in un momento in cui l’odio pare essere il sentimento più di moda, dovremmo tornare a somigliare di più agli animali e reimparare a collaborare tra di noi. Insomma, per restare umani, qua ci tocca andare a prender ripetizioni dagli animali.