Quanto a lungo si deve urlare la parola «libertà» prima che acquisti davvero un valore? Quanto tempo deve passare prima che il domani sia un giorno nuovo? Per ventisette anni Nelson Mandela, l’uomo che avrebbe guidato il paese fuori dal regime di segregazione razziale che lo soffocava da quasi mezzo secolo, non è stato altro che una sigla: un anonimo numero di matricola che identificava un prigioniero come tanti in una delle strutture carcerarie del paese. Eppure proprio in quelle celle, nel silenzio dell’isolamento, nella fatica dei lavori forzati, ha preso forma il mito che avrebbe sgretolato il sistema di oppressione dell’élite bianca.
Le Lettere dal carcere di Nelson Mandela sono un documento fondamentale del Novecento. La testimonianza unica e in presa diretta della determinazione, delle difficoltà e della fede nel progresso di una delle grandi icone politiche del nostro tempo: dal primo, durissimo periodo, quando gli era concesso di scrivere una sola lettera di cinquecento parole ogni sei mesi, agli scambi con le grandi personalità internazionali negli anni ottanta; dalle umiliazioni, vessazioni e privazioni di Robben Island – non gli fu permesso di partecipare al funerale della madre e nemmeno a quello del figlio Thembi – alle struggenti parole di amore e lotta inviate alla moglie Winnie, anche lei attivista e anche lei rinchiusa in prigione.
Nel centenario della nascita di Nelson Mandela, il Saggiatore pubblica in contemporanea mondiale le sue inedite Lettere dal carcere, un epistolario di rara forza che ci permette di scoprire il volto umano di un gigante nel momento più duro della sua esistenza. Pagine che, pur raccontando un presente affannoso – la sofferenza della reclusione, le preoccupazioni per le persecuzioni politiche contro amici e parenti, l’angoscia di dover fare da padre ai propri figli senza avere nemmeno la possibilità di vederli –, ci parlano di speranza e di valori senza tempo. Perché il lungo cammino verso la libertà può iniziare anche nel freddo di una gabbia senza finestre, e la convinzione dell’inevitabilità dell’alba spazzare via da sola le tenebre più scure.
Di seguito, una lettera scritta alla moglie Winnie, inviata nel 1970 dal carcere di massima sicurezza di Robben Island, in cui soggiornò dal 1968 al 1982
Dade Wethu,
20 giugno 1970
Davvero, «le catene del corpo sono spesso le ali dello spirito». È passato tanto tempo e così sarà sempre. Shakespeare in “Come vi piace” esprime la stessa idea in modo molto diverso:
Dolci sono i benefici dell’avversità,
Come un rospo, raccapricciante e velenoso, Che però porta in testa un gioiello prezioso.
Altri ancora hanno proclamato che «solo grandi obiettivi sono in grado di risvegliare grandi energie».
Eppure, la mia comprensione del vero concetto dietro queste semplici parole nei 26 anni della mia carriera tempestosa è stata superficiale, imperfetta & forse un po’ scolastica. C’è una fase nella vita di qualsiasi riformatore sociale in cui tuonerà dalla tribuna soprattutto per liberarsi di ciò che resta delle informazioni nude e crude che gli si sono accumulate nella testa; un tentativo di far colpo sulle folle più che di dar vita a un’esposizione calma & semplice di principi & idee la cui verità universale è resa evidente dall’esperienza personale & da studi più approfonditi. A tal proposito, io non rappresento certo l’eccezione & sono stato vittima della debolezza della mia generazione non una bensì cento volte. Devo essere sincero & dirti che, quando ripenso ad alcuni dei miei scritti & dei miei discorsi giovanili, la loro pedanteria, artificiosità e mancanza di originalità mi inorridiscono. Si nota chiaramente il forte bisogno di fare colpo & fare promozione. Quale straordinario contrasto creano le tue lettere, Mhlope! Ho qualche esitazione a coprirti di lodi, ma perdonerai la mia vanità e la mia presunzione, Ngutyana.
Farti un complimento rischia di costituire un autoelogio da parte mia, dato che tu & io siamo una cosa sola. Forse, nelle attuali condizioni, questo tipo di vanità può fungere da potente leva per sollevarci il morale.
Durante gli 8 anni solitari da me trascorsi dietro le sbarre, a volte avrei voluto che fossimo nati alla stessa ora, che fossimo cresciuti insieme e che avessimo passato ogni minuto delle nostre vite uno in compagnia dell’altra. Penso davvero che, se fosse andata così, sarei stato un uomo saggio. Ognuna delle tue lettere è un oggetto prezioso & riesce spesso a destare forze che non ho mai immaginato potessero celarsi dentro di me. Nelle tue mani, la penna è davvero più potente di una sciabola. Le parole scorrono liberamente & in modo naturale & espressioni di uso comune assumono un significato al tempo stesso interessante & stimolante.
Il primo paragrafo del tuo commovente biglietto & soprattutto la frase di apertura mi hanno scosso violentemente. Ho letteralmente sentito i milioni di atomi che compongono il mio corpo schizzare in tutte le direzioni. Le splendide idee che mi hai ripetutamente fatto cogliere dal momento del mio arresto & della mia condanna & soprattutto negli ultimi 15 mesi sono chiaramente conseguenza di esperienze vere più che di studi formali. Vengono da una donna che non vede suo marito da quasi 2 anni, che è stata strappata alle sue bambine in tenera età da oltre 12 mesi & che è stata duramente colpita dalla solitudine, dalla sofferenza interiore & dalla malattia, nelle condizioni meno propizie a una guarigione & che, per giunta, deve affrontare la prova più dura della sua vita.
Ti capisco perfettamente, cara, quando mi dici che ti manco & che uno dei pochi colpi che hai avuto difficoltà a incassare è stato non ricevere mie notizie. La sensazione è reciproca, ma è chiaro che tu hai vissuto un’esperienza ben più devastante di quanto mi sia mai capitato di vivere. Ho fatto tutto il possibile per comunicare con te. Ti ho mandato una lunga lettera il 16 nov.;I poi un biglietto natalizio e, quindi, un’altra lettera il primo gen, tutte scritte nel momento in cui tu eri una prigioniera in attesa di processo. Dopo il 13 feb. mi è stato detto che non avrei più potuto comunicare con te & il mio appello accorato per un allentamento di questa particolare restrizione non ha avuto successo.
La tua malattia è stata ostinata & persistente e mi sarei aspettato che, per alleviare la mia angoscia, il Dipartimento Carcerario mi fornisse un adeguato resoconto medico. Il Brigadier Generale AucampI mi ha fatto un resoconto per sommi capi che mi ha angosciato profondamente. È stato uno shock venire a sapere che era stato necessario ricoverarti in ospedale & cogliere effettivamente le tue attuali condizioni di salute dalla tua grafia incerta. Ti credo appieno quando dici che ti sei ridotta alla taglia di Zeni.II È stato un discreto sollievo venire a sapere che sei stata visitata da diversi specialisti & che ti sono state fatte le analisi del sangue. Però io so, Mntakwethu,III che ogni tuo più piccolo osso, ogni etto di carne & ogni goc- cia di sangue, il tuo intero organismo è stato ottenuto da un blocco di granito & che nulla, nemmeno la malattia, potrà estinguere il fuoco che arde nel tuo cuore. Alzati! Mettiti al lavoro! Il mio amore e la mia devozione sono la tua armatura & l’ideale di un Sudafrica libero il tuo vessillo.
Qualche giorno dopo il tuo arresto, nel maggio dell’anno scorso, ho chiesto di poter scrivere una lettera speciale al mio avvocato a proposito delle seguenti questioni urgenti:
- La nomina di una persona che si occupi della casa & del pagamento dell’affitto;
- La nomina di un tutore legale delle bambine;
- Le disposizioni per il mantenimento, l’educazione & l’istruzione delle bambine;
- Le disposizioni per la raccolta dei fondi necessari all’istruzione, all’igiene & ad altri fabbisogni nel caso tu venga ritenuta colpevole e incarcerata;
- Le disposizioni per la raccolta dei fondi per la mia istruzione, igiene & altri fabbisogni durante la tua detenzione.
Dade Wethu, vorrei poterti dire qualcosa in grado di allietare il tuo cuore & farti sorridere. Ma, per come la vedo, forse dovremo aspettare a lungo prima di quel luminoso & felice momento. Nel frattempo, dovremo «bere il calice pieno di mistura fino alle fecce»
Per quanto abbia in diverse occasioni fatto varie rimostranze, la richiesta non è stata accolta. Però, ora ho dato disposizione al Signor Brown dell’ufficio legale Frank, Bernadt e JoffeI di Città del Capo di occuparsi immediatamente di tali questioni. Concordo con il tuo suggerimento di nominare co-tutori delle bambine Padre Leon Rakale & Zio Mashumi. A me piacerebbe aggiungere il nome di Zio Marsh.III Il 3 febbraio, gli ho scritto una lettera urgente a proposito della casa.IV Dubito che l’abbia mai ricevuta. Non mi ha mai risposto. Il 31 gen., data in cui Kgatho è venuto a trovarmi, mi ha detto che lui & Tellie erano favorevoli al fatto che Lulu (sorella di Mxolisi) si trasferisse nella casa. Ho informato Zio Marsh della cosa & ho indicato che ne sarei stato felice, a patto che tu fossi d’accordo.
Mxolisi mi è venuta a trovare sabato scorso & dice che non hanno no- tizie di Marsh. Forse, è il caso che tu ne discuta con lui & Niki in occasione della prossima visita che ti faranno. Dubito che lo stesso Mashumi abbia ricevuto la lettera che gli ho scritto il 19 nov. & riscritto il 4 apr. Gli ho chiesto di darmi notizie su Zeni & Zindzi e di fare in modo che Kgatho vada all’università. Non ho avuto risposta nemmeno da Mashumi.
Kgatho è a casa e non dispongo di informazioni precise sul motivo per cui non è andato a Fort Hare. Ho dato le dovute disposizioni per il pagamento delle tasse di iscrizione & per la sua indennità & quando lui è venuto a trovarmi, in gen., ha confermato che era tutto in ordine & che sarebbe partito per l’università il 14 feb. Credo che non lavori. La lettera che gli ho mandato il 31 mar. non ha avuto risposta.
Ho scritto 3 lettere a Zeni & Zindzi. Ora so che le prime 2 non sono mai giunte a destinazione. La 3a l’ho scritta il primo giugno. Non ricevo informazioni sul loro conto dal tuo arresto, a eccezione dei resoconti che mi hai fatto tu. Ovviamente, la lettera di Niki del 9 settembre mi ha fatto sapere che stavano bene.
Però spero di risolvere presto l’intera questione con il Signor Brown & di fare in modo che tu venga informata con regolarità.
Ho sollevato l’ipotesi che tu mi faccia visita ancora una volta & al momento non posso dirti nulla, se non che il Brigadier Generale Aucamp ha promesso di discuterne con il Commissario. In tutta franchezza, penso che il Commissario sia stato insolitamente duro & che non abbia mostrato la con- siderazione & l’aiuto che di norma, in circostanze come questa, mi aspetto da lui.
Dade Wethu, vorrei poterti dire qualcosa in grado di allietare il tuo cuore & farti sorridere. Ma, per come la vedo, forse dovremo aspettare a lungo prima di quel luminoso & felice momento. Nel frattempo, dovremo «bere il calice pieno di mistura fino alle fecce». Forse, anzi, ne sono certo, i bei tempi andati torneranno quando la vita addolcirà le nostre lingue & guarirà le nostre ferite. Più di qualsiasi altra cosa, ricordo il 10 marzo. È quella la fonte della nostra forza. Non me lo scordo mai.
Tantissimo amore, Mhlope, e un milione di baci.
Tuo devoto Dalibunga
Nkosikazi Nobandla Mandela