Tra Italia e CorsicaIl mondo va avanti, ma la nostra Costituzione è vecchia: la lezione di Cossiga

A 8 anni dalla scomparsa ricordiamo l'ex Presidente della Repubblica con il discorso presidenziale del 1991. Una dura critica al bicameralismo perfetto con cui cercò di svegliare la classe politica dell'epoca

FILIPPO MONTEFORTE / AFP

La ‘turbopolitica’ italiana degli annunci mirabolanti, dell’illusione che per attuare rivoluzioni basti annunciarle, della lotta a pochi selezionati privilegi, della coccola dei rancori, della lotta di classe e dell’invidia 4.0 che divora tutto e che incrocia un giacobinismo che non ghigliottina ma sputtana sul web, si scontra con un architrave costituzionale vecchissimo e inadeguato all’accelerazione della politica globale da circa 40 anni.

Il miglior modo per ricordare il grande presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, è rammentare che fu lui, isolato, tra pochissimi altri, a tentare di svegliare (e salvare) la classe politica della Prima Repubblica con il messaggio presidenziale del 1991 rivolto alle Camere.

«Riconoscenza (…) dobbiamo alla nostra Costituzione; ma questo sentimento non ci deve impedire la riflessione critica e l’impegno politico per valutarla nel confronto dei mutati tempi, e quindi per migliorarla e ammodernarla». In un messaggio alto, che evoca De Nicola, Sturzo, Calamandrei, Valiani, Pacciardi, Nobile, Croce, Salvemini, Saragat, Jemolo e Bobbio, Giovanni Paolo II e Giovanni Battista Montini, Cossiga verga righe di fuoco, demolendo il bicameralismo perfetto («già all’inizio degli anni cinquanta il problema di fondo irrisolto») e attaccando al cuore il “Sistema” con affermazioni di attualità sconcertante (e che denunciano l’enormità del tempo perso): «Numerosi e tutti egualmente gravi, sono i sintomi di questo deterioramento istituzionale: basti ricordare l’intrinseca instabilità dei Governi, con le conseguenze negative che ne derivano sul piano della capacità stessa di attuare puntualmente ed esaurientemente programmi e interventi. Ma vale ripetere che pure esiste una sostanziale continuità della nostra politica e che sarebbe curiosità non inutile verificarne contenuti e realizzazioni. Basti evocare la circostanza che il decreto-legge, essendosi ormai verificata una effettiva alterazione dell’ordine delle fonti normative, sia divenuto, quasi paradossalmente, non solo uno, ma lo strumento ordinario della normazione nel nostro Paese, per trarne la deduzione che siamo in realtà in presenza di autentiche anomalie nell’armonioso dispiegarsi ed espletarsi della funzione legislativa, così come era stata originariamente concepita, e che finisce quindi con il collocarsi in un quadro atipico, certamente non corrispondente né allo spirito né alla lettera della nostra Costituzione, laddove acuti giuristi aveva ritenuto essere i decreti-legge addirittura strumenti per la gestione di emergenze costituzionali ed extra-costituzionali».

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