Poveri Cinque Stelle, nati rivoluzionari e finiti a fare gli uscieri di Salvini

Il Movimento 5 Stelle doveva essere autosufficiente e stravolgere la politica italiana, si ritrova a fare da alleato e inseguire il peggiore degli alleati, la Lega di Matteo Salvini. Roba da far ricordare con nostalgia i tempi in cui evocavano le scie chimiche e i rettiliani tra di noi

In certi casi, la solidarietà è un dovere morale, perfino se rivolta ai riottosi autosufficienti del Movimento 5 stelle. Un obbligo di correttezza, magari perfino compassionevole. I tempi lo impongono. Così da nostra parte, segnatamente ai sostenitori tutti dell’ircocervo politico creato da Beppe Grillo e governato dal joystick della Casaleggio Associati. Inermi grillini, da settimane lì costretti, in surplace, a inseguire Matteo Salvini, con ogni sorta di iperbole, silenzio, smorfia al limite della paresi, e perfino improvvisato mezzo di locomozione nel mare magnum del governo, fosse anche anfibio. Stargli dietro e intanto, soprattutto, assecondare gli assalti frontali alla democrazia stessa della sua Lega, un’organizzazione spavaldamente, rionalmente razzista, nella convinzione che perfino il nostro peggior congiunto, conclamato pezzo di merda, sia comunque migliore del migrante, dell’invasore, assecondarla in nome di un principio machiavellico a noi esterni del tutto sconosciuto, certamente però contemplato dalle teste d’uovo riunite nel bunker della cancelleria della menzionata Casaleggio, un principio di resistenza a un “facesitting” politico tra i più iperbolici e inarrivabili che siano mai stati concepiti e messi in atto dal tempo della prima repubblica.

La sensazione, al momento, almeno ai nostri occhi disincantati, mostra i grillini come manodopera a basso costo,​ probabili uscieri al lavoro, se non alle dipendenze direttamente di Sua Eccellenza Matteo Salvini: “Ministro, le serve ancora altro?” “No, grazie, al momento potete andare”. “Benissimo, ministro, se dovesse avere ancora bisogno di noi, ci troverà di là, in guardiola”. “Bene, Luigi, se dovessi avere necessità di lei, scusa, di te, non mancherò, ti terrò presente”.

Ora, non è che da sempre sia stato semplice e chiarissimo riuscire a definire gli intendimenti ideologici e culturali del Movimento 5 Stelle, un magma politico-escursionistico lievitato certamente grazie alla miseria pregressa delle forze politiche storiche e tradizionali, la sinistra in primis, nel quale coesistono fin dall’inizio tutto e il suo contrario, lo stesso dove abbiamo ritrovato, stendardo in pugno, perfino i nostri più improbabili e convinti ex compagni di scuola, e ancora dal “giù le mani dall’acqua pubblica!” a “viva il duce, tu sei la luce”, dalle imperdibili scie chimiche al sogno di introdurre il principio giuridico della poligamia stessa, così come espresso in aula da un loro senatore, poi espulso per via dei rendiconti non in regola, e poi la tremebonda “Io vagabondo” dei Nomadi e forse perfino “Hasta siempre Comandante”, e ancora il motto “Onestà! Onestà!”, anzi, “Honesta!”, concetti-gadget che hanno perfino suggerito agli autori di satira improvvisata in rete di immaginare la tastiera-lessico di un movimento, che comprenderebbe, fra molto molto altro, lo stigma da lanciare contro le “Perzone Falze!” e “Kasta” e “Vingiamo noi” e “Siete circondati”.

La sensazione, al momento, almeno ai nostri occhi disincantati, mostra i grillini come probabili uscieri al lavoro, se non alle dipendenze, direttamente di Sua Eccellenza Matteo Salvini: “Ministro, le serve ancora altro?” “No, grazie, al momento potete andare”

In breve, tutto ci saremmo aspettati ma non di assistere a un’ulteriore mutazione genetica in senso attendista e doroteo da parte di Luigi Di Maio, il capo politico dello stesso, uno slittamento gesuitico sempre più totale e pervasivo, perfino in barba al giustizialismo assoluto dei primi giorni, assecondato, s’intende, dal giornale-fiancheggiatore di Marco Travaglio. Alla domanda posta da Andrea Malaguti de “La Stampa”: “E il codice etico?”, Di Maio adesso così risponde: “È sempre lo stesso. E continua a valere. Di fronte agli atti dovuti ci siamo sempre comportati così. Con Raggi, con Appendino e con Nogarin”. E ancora: “Guardi, io non devo fare l’avvocato difensore di Salvini. Lo conosciamo bene. Non è che scopriamo oggi il personaggio. Salvini fa Salvini, io faccio Di Maio”.

Se ora volessimo fare un esempio di peso nella storia della coabitazione nazionale, potremmo immaginare l’insofferenza del fascista repubblicano Mussolini nei confronti di casa Savoia, in verità, nel nostro caso viene assai più naturale pensare alla subordinazione del già citato duce verso Aldof Hitler e il programma nazista, estremizzando il nostro ragionamento potremmo perfino dire che, qualora un domani, per assurdo, sempre Sua Eccellenza Salvini volesse aggiungere una propria postilla giallo-verde alle leggi razziali del 1938, le stesse già promulgate dal fascismo per assecondare l’alleato germanico nel progetto della “soluzione finale” degli Ebrei, non è peregrino immaginare sempre Di Maio, anche in questo caso obtorto collo, lì chino a sottoscriverle: “…allora, Luigi, cazzo!, che facciamo, firmiamo o non firmiamo?” “Sì, Matteo, ecco, firmo, arrivo, giusto un attimo solo che sto finendo di comunicarlo anche a Di Battista che che ci segue via Skype da Disneyland”. Un’immagine che, restando nella commedia leggera, suggerisce l’imitazione che Neri Marcorè ha dedicato anni addietro a Pierferdinando Casini nei panni d’autista di Berlusconi.

Se le cose stanno così, non si può che tornare alla nostalgia per il bel tempo in cui gli amici grillini, cui, ripeto, va tutta la nostra solidarietà per il “facesitting” che li mostra al momento sottoposti alla pressione di Salvini, evocavano i rettiliani tra di noi, Mattarella in primis, sostenendo che questi fossero riconoscibili dalla doppia palpebra

Si esagera, si lavora d’iperbole, tutto vero, ma forse resta da domandarsi quali siano realmente, attualmente, i rapporti di forza tra le parti. D’altronde, il popolo grillino della rete, sparso tra Twitter e Facebook, un tempo puntuto come mustelide a rintuzzare le insinuazioni del mondo visto come nemico “pidiota”, così come avvenne non senza crudeltà con un grande picche in streaming proprio agli uomini del Pd di Bersani, di fronte a un nostro messaggio di solidarietà che li racconta schiacciati ai piedi della Lega non sembra aver reagito con immediatezza in difesa del proprio specifico; d’altronde, come potrebbero negare che l’unico argomento dei loro alleati sia il razzismo, l’indicare nei migranti, ossia nei più poveri, l’origine malvagia d’ogni male? Una modalità ossessiva paranoica e costante che fa tornare in mente il “manuale Goebbels”, dove in apertura si legge: “1. Principio della semplificazione e del nemico unico: E’ necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali. 2. Principio del metodo del contagio: Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo”.

Insomma, se dovessi immaginare in questo momento l’ideale segno di Zorro del programma politico grillino, non saprei davvero quale possa essere e neppure dove ritrovarlo, e non mi dite il reddito di cittadinanza che, cosa nota, appare assolutamente improponibile in assenza di copertura finanziaria, di risorse economiche.

Se le cose stanno così, non si può che tornare alla nostalgia per il bel tempo in cui gli amici grillini, cui, ripeto, va tutta la nostra solidarietà per il “facesitting” che li mostra al momento sottoposti alla pressione di Salvini, evocavano i rettiliani tra di noi, Mattarella in primis, sostenendo che questi fossero riconoscibili dalla doppia palpebra.

Domanda: tornerà più quel tempo, magari insieme agli interrogativi sulle scie chimiche, ora che la Lega di Salvini è una doppia idrovora, da una parte succhia uomini e fluido vitale a Berlusconi, dall’altra erode fin dentro il midollo la formazione di Luigi Di Maio?

E cosa davvero penserà di questi giorni travagliati Roberto Fico, l’unico che abbia mostrato uno filo di discontinuità dalla vulgata unitaria, lui che un tempo si mostrava con collanina di cuoio e ciondolo da ragazzo ribelle al collo, il “compagno” Fico, cosa dirà agli altri che, come lui, nel profilo Facebook sempre un tempo, mostravano il volto di Che Guevara, sia pure sormontato dalle anodine cinque stelle?

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