In principio era la braciola (di maiale, sia detto per puntiglio). Per comprendere ciò che dovrà essere, o magari infine sarà, il Partito Democratico, cioè forza politica che per convenzione, qui, definiremo “progressista”, è il caso di muovere da una metafora visiva, gastronomica e insieme puramente tecnica, quella della braciola, così come il filosofo Occam procede con l’immagine esplicativa del Rasoio.
Non c’è modo di immaginare Gramsci, Togliatti, Berlinguer (e ancor meno Alcide De Gasperi, Moro o Giuseppe Dossetti), a friggere, o comunque presidiare, una braciola durante una festa del loro rispettivi partiti, e questo non certo perché i suddetti non ne avessero il talento materiale, semmai perché questi ultimi vanno percepiti in tutt’altro genere di impegni, lo si comprende, metti, osservando le foto in cui, soprattutto Berlinguer, si reca in visita agli stand delle kermesse politiche e sorride bonariamente ai volontari-cuochi.
Lì la lettura è semplice, nel senso che i suoi “compagni” fin dallo sguardo sembrano dire: friggiamo le braciole per i nostri amati dirigenti che, nel frattempo, lavorano per tutti noi. Recita infatti una canzone dedicata invece all’infermo Togliatti, eseguita perfino da Francesco De Gregori nell’album “Il fischio del vapore”: “… auguriamo che ritorni ben presto al suo posto per difendere il paese nostro, l’interesse di noi lavorator”. Nessuno adesso pensi che si tratti di cose trascorse, antiquariato politico, è vero infatti che probabilmente proprio nell’assenza di una riflessione diacronica vanno rintracciate le cause principali dell’impasse delle forze riformistiche del nostro paese.
Poche settimane fa, per esempio, la cronaca ci ha fatto dono di una foto dove appare Maria Elena Boschi, intenta a governare proprio una braciola. La volenterosa ex ministra si mostra, forchettone in mano, davanti alla griglia, tuttavia i suoi gesti appaiono inattendibili, mostrano anzi per intero la distanza dall’oggetto concreto e insieme simbolico, la braciola come espressione di un sentimento popolare cui incarnarsi, ed è ancora più evidente la disparità tra i grembiuli dei volontari e l’outfit (così si esprimerebbe l’inviato di “Vanity Fair”) della “dirigente” Boschi.
Mi direte: anche Togliatti usava il doppiopetto “principe di Galles” e perfino la lobbia, verissimo, ma come abbiamo accennato prima, a costui era richiesto soprattutto di Pensare, in una rigida divisione del lavoro politico, rigida ma anche razionale con inclusa citazione dantesca dal Decimo canto del Paradiso: “Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba;/ché a sé torce tutta la mia cura/quella materia ond’ io son fatto scriba”.
L’immagine della Boschi non è plausibile, e noi adesso la prendiamo solo ad esempio della difficoltà di ridefinire i tratti, la verità, se non la lingua stessa di un ipotetico principale partito, diciamo, “di sinistra”. Immaginiamo dunque, sempre metaforicamente, che la braciola sia la pietra angolare, l’alfa e l’omega della definizione di una forza politica
Dunque, l’immagine della Boschi non è plausibile, e noi adesso la prendiamo solo ad esempio della difficoltà di ridefinire i tratti, la verità, se non la lingua stessa di un ipotetico principale partito, diciamo, “di sinistra”. Immaginiamo dunque, sempre metaforicamente, che la braciola sia la pietra angolare, l’alfa e l’omega della definizione di una forza politica, e nel far questo facciamo ritorno perfino a una frase pronunciata proprio da Massimo D’Alema nei giorni della scissione che dette vita al Movimento per la Rifondazione comunista: «Quelli che se ne vanno, sono quelli che friggono le braciole alle feste dell’Unità» (sic). Era il febbraio del 1991, e anche in quel caso, forse per cecità, non si riconosceva sufficiente peso specifico alle braciole, al suo valore metaforico, concreto.
Quanto all’avversario “sovranista” o “populista”, lo stesso cui la forza di progresso dovrà ribattere punto su punto, fino a sottrargli il consenso elettorale, quest’ultimo, si presenta invece, senza neppure aver bisogno di evocarla, da subito, come emanazione del barbecue popolare stesso, a partire dal suo linguaggio che sa di mensa e perfino di rutto. Se fosse ancora tra noi, probabilmente Saul Steinberg li raffigurerebbe tutti, da Salvini a Di Maio, proprio a immagine e somiglianza di una braciola.
Assodata la non credibilità della Boschi rispetto al contatto stesso con la griglia occasionale, per intero riassunto nel “completino studiatamente casual” indossato per presiedere alla festa, va detto però che, al contrario, Matteo Renzi, forte di uno specifico umano provinciale, ha invece provato a mettersi nei panni del braciolaro, riuscendo discretamente nel ruolo, già, l’abbiamo trovato perfetto nella recita che anticipa l’atto finale della grigliata: narratore del patrimonio artistico della sua Firenze, un po’ Giacobbo e un po’ Davide Mengacci, sia detto con ammirazione per entrambe i modelli originali.
Il problema è che gli Uffizi o Santa Maria del Fiore, nella loro complessità storica e memoriale non corrispondono alla forma assoluta della braciola, semmai alla cultura, e questa, chissà poi perché, in nel nostro paese non crea consenso, semmai sensi di colpa e di inadeguatezza, fino a riportare alla memoria una frase masochistica: “Pensa, i turisti conoscono più cose delle bellezze artistiche del nostro bel paese di quante non ne sappiamo tutti noi messi insieme!”.
Quanto all’avversario “sovranista” o “populista”, lo stesso cui la forza di progresso dovrà ribattere punto su punto, fino a sottrargli il consenso elettorale, quest’ultimo, si presenta invece, senza neppure aver bisogno di evocarla, da subito, come emanazione del barbecue popolare stesso, a partire dal suo linguaggio che sa di mensa e perfino di rutto. Se fosse ancora tra noi, probabilmente Saul Steinberg li raffigurerebbe tutti, da Salvini a Di Maio, proprio a immagine e somiglianza di una braciola
In Italia infatti, il dibattito verte sui centri commerciali e assai meno sui musei, e talvolta perfino non avere contezza esatta della geografia diventa motivo di vanto o comunque ciò è ritenuto un dettaglio, perfino se a scambiare Puglia con Basilicata sia una figura di governo. Da affiancare magari a quella del giornalista filogovernativo con faccia da tributarista di via della Camilluccia, gli occhiali bifocali a metà naso, pronto a spiegare quali ingiustizie subiamo dall’Europa, anzi, da “quelli di Bruxelles”, volti degni della barzelletta dell’avvocato e del contadino di Gigi Proietti, “Ma quanno s’inculamo semo sempre ‘n due, quando lo prenno ‘n culo so’ sempre solo? No, pe’ sapè, avvoca’?”
Voglio dire che se dall’altro lato, cioè dei cosiddetti populisti in felpa, tutte le figure sembrano corrispondere al reale, riscontrabile nel quotidiano piccino borghese o plebeo cittadino, degni dei nostri migliori cognati, al contrario dalla parte dei progressisti sembra evidente un deficit di credibilità e di capacità dialettica, posto la sinistra ha sempre l’obbligo di dimostrare qualcosa mentre la destra non è tenuta a farlo, e non stiamo neanche parlando di utopia semmai di semplici diritti di cittadinanza, anzi, riforme di struttura, ma come puoi essere credibile se mostri di avere paura di accostarti perfino a una braciola? Alla fine, infatti, questa, la Braciola, rimane inavvicinabile, del tutto simile al monolite che appare alle scimmie nelle scene iniziali di “2001 Odissea nello spazio”.
Ma Matteo Orfini quando dice che bisogna sciogliere a ridefinire in per intero il suo partito, il Pd, saprà che occorre ripartire dal nome esatto della braciola, meglio, ingaggiare l’impatto con questo moloch? Domanda: ma alla cena che Carlo Calenda immagina con Gentiloni, Minniti e Renzi da qui a qualche ora, una cena quasi costituente, sorta di piccola conferenza di Potsdam per definire gli orli della forza politica che sarà, in quella cena, la braciola, come questione nodale legata alla credibilità, siamo sicuri che sarà presente?
Non dico nel piatto dei singoli commensali, ma come convitato di pietra, un po’ come lo spettro di re Duncan nel Macbeth di Shakespeare, posto che non è di nostro interesse conoscere se si rivolgeranno a un catering d’autore, al cinese sotto casa o piuttosto a uno chef stellato. E intanto Zingaretti, giusto per non farci mancare nulla, così twitta: “Organizzo una cena in trattoria con un operaio, uno studente, un professore e un imprenditore”. Anche in quest’altro caso, su tutto, resta da sapere cosa contempli esattamente il menù.