Salinger come Weinstein? A 53 anni aveva una relazione con una diciottenne

Joyce Maynard, sedotta e abbandonata dallo scrittore, ne parlò vent'anni prima del #MeToo. Definita "sanguisuga" e "opportunista" paga ancora le conseguenze per aver raccontato quella storia proibita

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Il morso del mostro. In questa storia, all’apparenza, c’è un vecchio che abusa di una ‘ninfetta’, la trama, in effetti, pare quella di Lolita. Il mostro, in questa storia, è uno degli scrittori più celebri, celebrati, letti al mondo, di cui, per altro, attraverso l’autobiografia della figlia, sappiamo le turbe, le bizzarrie, l’ansia padronale, il terrore di proteggere la proprietà privata della propria vita.

Questa storia potrebbe chiamarsi sul relativismo dell’abominio. Se, oggi, ci pare chiaro che un vecchio – seduttore impenitente – abbia abusato di una giovane appena maggiorenne è meno chiaro l’uso del termine abuso. Ha abusato della sua ingenuità, direi, del suo desiderio di essere sedotta da un uomo famoso quanto segreto. L’abusata, però, vent’anni fa fu detta selvaggia arpia, la fatale che ha stordito a suon di prestazioni sessuali il vecchio, per rapirne il talento.

Joyce Maynard farà 65 anni il 5 novembre, all’epoca dei fatti ne aveva 18: è una scrittrice di un certo successo, tradotta anche in Italia (il primo libro, Baby Love, è stato pubblicato da Mondadori nel 1982, l’ultimo, L’ombra degli Havilland, è stato pubblicato quest’anno da HarperCollins, riguardo a Un giorno come tanti, edito da Piemme nel 2015, Francesco Motta, sulle pagine del ‘Domenicale’ del Sole 24 Ore, giudica la Maynard “una scrittrice di razza”), da un suo libro, Da morire, è tratto il film di Gus Van Sant, nel 1995, con Nicole Kidman e Matt Dillon. Nonostante la buona volontà, per tutti, però, Joyce Maynard è quella che a 18 anni, nel 1972, s’è messa nel letto di J. D. Salinger, la leggenda vivente della letteratura Usa, lo scrittore del Giovane Holden, che, tra l’altro, il primo gennaio del 2019 compirebbe 100 anni.

La storia è questa. Joyce Maynard è una diciottenne di talento che manda articoli e racconti ai quotidiani del corteo. Il talento c’è davvero, visto che il 23 aprile del 1972 il New York Times gli pubblica un pezzo, An 18-Year-Old Looks Back On Life. L’incipit del pezzo è buono, ed è inquietante quanto ciò che è stato scritto 45 anni fa valga pari-pari oggi: “Ogni generazione pensa di essere speciale – i miei nonni perché ricordano cavalli e passeggini, i miei genitori perché hanno vissuto la Depressione. Chi ha più di trent’anni è speciale perché ha visto la Corea, Chuck Berry, i beatniks. La mia sorella più grande si crede speciale perché appartiene alla prima generazione dei teen-agers (prima, si era semplicemente adolescenti), quando essere teen-ager era divertente. E io – io ho 18 anni. La mia è la generazione delle attese insoddisfatte”. L’articolo è arricchito da una fotografia a pagina piena di Joyce. Ragazza pulita, più matura della sua età, pare, informalmente sexy.

Diciamo che J. D. Salinger è stato attratto dalla fotografia – ma già che c’era ha fatto credere a Joyce di essere intelligente. Morale. Dopo breve scambio di lettere intrise di fuoco e di labirinti, “mi ha spinto a lasciare il college per andare a vivere con lui (avere bambini, collaborare a spettacoli che avremmo dovuto realizzare a Londra) e diventare (così credevo) la sua donna per sempre”. A Joyce non pare vero che il più celebre scrittore americano abbia scelto proprio lei. Ai genitori di lei neppure. Così, Joyce rifiuta la borsa di studio a Yale, lascia tutto, e diventa la geisha di Salinger. Dopo un po’, però, al vecchio di 53 anni – anzi, ora 54 – la giovinetta sta sulle palle: durante un viaggio in Florida, “con parole devastanti”, le dice di andarsene, mettendole in mano due pezzi da 50 dollari, “di prendere le mie cose, di sparire”.

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