Chissà se soltanto noi che risiediamo nell’Urbe ci siamo accorti fin dalla sua prima apparizione pubblica, di Antonio Maria Rinaldi, prof, economista, allievo del ministro Savona, romano, appunto, romanissimo, scorgendone il soprattutto il potenziale retorico non meno rionale, la maniera di argomentare, degna di un rassicurante e insieme invincibile tributarista, metti, del quartiere Prati, terra di tribunali e studi notarili. Se non fosse ancora chiaro, stiamo ragionando intorno all’esistenza di un astro politico e insieme “tecnico” nascente, di sicuro già da tempo ben piazzato in alto a destra presso ogni talkshow televisivo che segni l’agenda del nostro presente in rapido mutamento, volti, modi, gesti (perfino ammiccanti) delle possibili future prospettive istituzionali a firma Salvini e Di Maio.
Il prof Rinaldi come estensione attoriale sovranista di un Gigi Proietti che abbia scelto di vestire la dialettica gialloverde, e poco importa che altri, cominciando da Filippo Sensi, l’abbiano piuttosto apparentato somaticamente se non mimeticamente a Max Tortora, proprio così @nomfup in una sua prodigiosa vignetta nata su nostra sollecitazione, dove AMR puntualizzava d’essere un economista e non un semplice romanista, e neppure un sosia del comico citato.
Romano nell’eloquio, nella calata e nell’interezza della sua prossemica, ripeto, ogni gesto di Rinaldi non può che rimandarci a Proietti in grado di perfettamente calarsi nella grisaglia “Davide Cenci” del tributarista o piuttosto dell’avvocato. E qui è d’obbligo ritrovare la leggendaria barzelletta dell’avvocato e del contadino, la stessa che inalbera una sentenza assoluta: “Avvoca’, ma perché quanno se ‘nculamo semo sempre ‘n due, e quanno lo pijo ‘n culo so’ sempre solo? No, pe’ sape’…”.
Dove apparente volgarità fa rima con antica sapienza, appunto, capitolina, se non romanesca, da antico “famo a capisse!” Sottintesi che subito suscitano un calore vincente agli occhi del vicinato capitolino, e forse, sai che ti dico, anche fuori dal Raccordo Anulare.
Sempre plasticamente parlando, Antonio Maria Rinaldi sembrerebbe sorgere da un ideale Caf cittadino che, per esemplificare, definiremo sovranista, euroscettico, piccolo simposio sulle basi essenziali del diritto espresse appunto sotto casa, tra l’uscio del gommista, l’immancabile Punto Snai, cioè la Roma dei loden avvocateschi del quartiere Prati: piazzale Clodio, Pretura di viale Giulio Cesare e Corte dei Conti in viale Mazzini. AMR come valore pop aggiunto e perfino propellente cazzaro al bla bla politico e governativo, parole perfette per chi abbia in antipatia gli “alcolisti” di Bruxelles, e infatti vuoi forse mettere in dubbio ciò che dice “papale papale” un docente universitario “di Organizzazione dei processi economici del Corso di Laurea Triennale in Economia Aziendale Internazionale e del Corso di Laurea Magistrale in Gestione Aziendale dell’Università degli Studi Link Campus University,” così nel sito della stessa università? A maggior ragione se quest’ultimo porta una dialettica che, accanto ai volti di Juncker e di Moscovici, consente di visualizzare perfino Cacini e Fra’ Cazzo da Velletri, estensioni fantasmatiche degli impostori che a suo tempo hanno trascinato l’Italia nella gogna dell’euro.
Rinaldi, pronto a rivelarsi meglio di San Crisogono martire, patrono di Trastevere, in qualsivoglia palinsesto televisivo, attivo, compunto e operante ora su Raitre ora da Andrea Pancani a “Coffee Break” La7, sempre rivolgendosi al mondo come se si affacciasse dallo sportello-arengario del suo Caf, quasi avesse davanti un cliente giunto a mostrargli come stimmate le cartelle esattoriali.
Rinaldi parla, agita le sopracciglia, corruga la fronte, mette la mano a pigna nel gesto interlocutorio tipico, e rassicura, come chi la sappia davvero lunga, come chi riesca davvero a riconoscere le insidie del potere infame e dei suoi paraculi
Rinaldi parla, agita le sopracciglia, corruga la fronte, mette la mano a pigna nel gesto interlocutorio tipico, e rassicura, come chi la sappia davvero lunga, come chi riesca davvero a riconoscere le insidie del potere infame e dei suoi paraculi, indicando idealmente in tutte le possibili Agenzie delle entrate del mondo il feticcio del nemico, proprio lui, aria da fiscalista, occhiali bifocali doverosamente a metà naso, e davvero non importa quanto siano fattibili le cose, il reddito di cittadinanza, l’abrasione della moneta unica, le garanzie che giura di offrirti per conto dei suoi referenti, la Lega e i suoi alleati, se davvero mai riceverai gli agognati arretrati che rivendichi…
Di sicuro però lui adesso è lì per rassicurare, dicendo, appunto, come nell’amara querelle, metti, tra Aldo Fabrizi e il suo segretario infedele che “quelli” sono tutti ladri, che quelli vogliono da te “solo li quatrini”, dunque se n’annassero a morì ammazzati… Dove “quelli” sono, appunto, per estensione, i “vampiri” di Strasburgo, i maledetti che vollero l’euro…
Nella situazione data, per definizione grave, ma non seria, Antonio Maria Rinaldi va immaginato come il San Girolamo di Antonello da Messina nello studio, alle sue spalle i dorsi dei codici in austera mostra, la scrivania dalle zampe di leone, come era un tempo d’obbligo anche negli studi di notai e medici, forse anche la bottiglia di cognac alloggiata nel suo classico affusto, il cesto natalizio rimasto incellofanato, il cd di Califano.
D’altronde, si sa, in prossimità dei ministeri, le lenti bifocali portate a metà naso conferiscono autorità, l’idea della “competenza” finalmente affermata da signori professionisti giunti per dire “prima gli Italiani”. E infatti Rinaldi ammicca verso chi gli è accanto, fosse anche Maurizio Gasparri, con complicità da comune caffè “al vetro” consumato magari alla torrefazione di piazza Sant’Eustachio, proprio dietro Palazzo Madama, in attesa di sicuri consensi ammicca poi alla “gente”, a quelli che “non arrivano alla fine del mese”, lui, il “tributarista del popolo”, e un attimo dopo si schernisce quando gli fanno notare, sempre più “papale papale”, che da un momento all’altro sempre per lui potrebbe aprirsi le porte di un ministero, sì, Antonio Maria Rinaldi, ministro che “parla come mangia”.
Di sicuro però lui adesso è lì per rassicurare, dicendo, appunto, come nell’amara querelle, metti, tra Aldo Fabrizi e il suo segretario infedele che “quelli” sono tutti ladri, che quelli vogliono da te “solo li quatrini”, dunque se n’annassero a morì ammazzati
Già, mentre il suo interlocutore del Pd lo placca e gli dice “… ma lei oggi è un importante suggeritore del governo, lo ammetta, avanti…”, lui si impone la faccia che riassume modestia, spirito di servizio, pratiche ancora inevase sugli scaffali del Caf, “… no, a me interessa come sta la ggente, mi interessano i problemi della ggente”, e come dice “gente” lui, probabilmente neppure nei più rinomati locali della Collina Fleming.
L’uomo, il prof, il sovranista così pronuncia e allora resta davvero da immaginarlo sul trono ministeriale. D’altronde, non è forse vero che certe pubbliche fortune giungono in modo inaspettato? Se non gli Italiani, in questa storia meravigliosamente capitolina certamente sarà presto il caso di sentir dire, come davanti a un sesterzio di Commodo, “Prima Rinaldi!”.