LatitantiCesare Battisti, il “regalo” di Bolsonaro a Salvini è l’umiliazione delle vittime del terrorismo

Chiamare “regalo” Cesare Battisti significa umiliare la giustizia italiana, e soprattutto mancare di rispetto alle vittime e ai loro familiari, che non vogliono regali, ma solo la fine di una beffa durata troppi anni

«In Italia mi aspetta la morte». Così parlava dal Brasile Cesare Battisti un anno fa, quando a palazzo Chigi c’era il gentilomista Gentiloni. Cosa dirà ora che rischia di essere riconsegnato dalle mani dal nuovo presidente Jair Bolsonaro alla ferina Italia di Salvini, come pegno della corrispondenza transatlantica di amorosi sensi fra sovranisti, anzi, fra cispadani, un milanese e un veneto-reggiano)? Nei dintorni di San Paolo, dove Battisti risiede, girano voci che si sia già dato preventivamente alla macchia, arte di cui non deve aver dimenticato i fondamentali e grazie alla quale da decenni riesce a sfuggire alla giustizia come una saponetta bagnata.

E, accidenti, anche se stiamo parlando del Franti del terrorismo italiano, un’altra declinazione somatica e politica del sinistro tipo fisiognomico alla Angelo Izzo (biondiccio, lineamenti regolari, labbra sottili, occhi chiari spiritati e, soprattutto, sorrisetto che renderebbe idrofobo un monaco zen), anche lui con diversi ergastoli sul groppone, non possiamo fare a meno di sperare che almeno dia un altro po’ di filo da torcere ai suoi cacciatori bianchi, e che passi un po’ di tempo prima che Salvini possa appendersi in salotto la testa impagliata di Cesare Battisti. Mica perché tifiamo per lui, sia chiaro.

Chiamare «regalo» l’estradizione di Battisti significa umiliare la giustizia italiana, e soprattutto mancare di rispetto alle vittime e ai loro familiari

La sua aura di perseguitato politico si esaurisce nell’omonimia con il patriota trentino martirizzato dagli austriaci dietro il Castello del Buon Consiglio. E anche se come giallista valesse come Raymond Chandler, Patricia Highsmith e Stig Larsson messi insieme, solo nelle teste balzane e romanticamente prevenute di certi intellettuali francesi i suoi meriti letterari potrebbero compensare la scia di sangue – vero, non cartaceo – che ha seminato in Italia. Il fatto è che Cesare Battisti da anni non è più un uomo ricercato perché giudicato colpevole di gravissimi delitti. È diventato una specie di termometro dell’atteggiamento verso l’Italia, e non solo quella degli anni di piombo. La Francia ci ha sempre considerato un paese cripto-fascistoide, e per di più ignorante, dunque non poteva non difendere a spada tratta il capo dei Proletari Armati per il Comunismo convertitosi alla letteratura, chiudendo un occhio sui suoi limiti di romanziere, e tutti e due sulle sue responsabilità di omicida. Così pure il Brasile di Lula, che l’ha accolto e protetto: se nel 2012 non l’abbiamo visto ballare la samba nel Carnevale di Rio, cui era stato invitato, non è stato per un sussulto di pudore dell’interessato, ma solo perché il suo gruppo, il Cordao da Bola Preta, non ha potuto sfilare causa improvviso sciopero della polizia locale e dei pompieri.

E così Battisti diventa un «regalo in arrivo per Salvini», come lo ha definito in un tweet Eduardo Bolsonaro, figlio di Jair. Un souvenir do Brasil gentilmente offerto da un presidente di ultradestra

Ora l’Italia è diventata davvero un paese fascistoide e nemmeno tanto cripto, e da qualche giorno lo è pure il Brasile. E così Battisti diventa un «regalo in arrivo per Salvini», come lo ha definito in un tweet Eduardo Bolsonaro, figlio di Jair. Un souvenir do Brasil gentilmente offerto da un presidente di ultradestra, fan della tortura e della pena di morte e deciso a «estirpare il comunismo nel suo paese», al politico che considera la sua anima gemella nel Vecchio continente, e con cui evidentemente ha un rapporto privilegiato: non si vuole tanto ristabilire il diritto, quanto suggellare con un rito barbarico l’intesa fra capitribù vincenti.

In quella parola, «regalo», spesa sui social nell’ebbrezza di un trionfo elettorale, traspare lo stesso ghigno che ci inorridiva sul viso di Battisti quando le richieste di estradizione italiane venivano rifiutate. E così anche chi non ha mai provato alcuna simpatia per la farabutta Primula rossa dei Pac e avrebbe voluto vederla da tempo nelle «patrie galere» si ritrova ad arricciare il naso. Chiamare «regalo» l’estradizione di Battisti significa umiliare la giustizia italiana, e soprattutto mancare di rispetto alle vittime e ai loro familiari, che non vogliono regali, ma solo la fine di una beffa durata troppi anni. Il vero, imprevisto «regalo», in questo clima forsennato, lo riceverebbe paradossalmente lui, l’ex terrorista, ormai anziano e malaticcio. Oggetto di un ripugnante scambio di convenevoli fra caporioni populisti intercontinentali, Battisti potrebbe recuperare, almeno in certi settori, un po’ del credito di perseguitato che ormai nemmeno gli scrittori francesi erano più disposti a riconoscergli. Forse ci sta pensando anche lui. E probabilmente sorride.

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