Per mesi editoriali e opinion maker ci hanno spiegato che l’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti sarebbe stata nefasta, soprattutto in ambito economico e per la politica estera. Le dichiarazioni provocatorie dell’inquilino della Casa Bianca, l’attacco continuo ai media, il ricorso al protezionismo e la predilezione degli accordi bilaterali rispetto al multilateralismo, non hanno certo favorito un’analisi più serena. Ma le cose stanno davvero così? Prima di rispondere a questa domanda ce n’è un’altra che ci interessa: qual è la percezione che gli americani e i non americani hanno di Trump. Ora mentre è facile comprendere che all’estero la propensione a mettere gli interessi dell’America prima non generi entusiasmo, ma che succede in America? Il Pew Research Center ha esaminato entrambi gli aspetti. Nella primavera di quest’anno ha effettuato uno studio per verificare qual è la valutazione che gli altri Paesi, per l’esattezza venticinque, danno degli Stati Uniti d’America. Tra il 18 e il 24 settembre 1754 adulti hanno risposto a un questionario per esprimere un’opinione sulla presidenza Trump. Partendo dal primo studio, si va dai pareri favorevoli di Israele, Filippine e Corea del Sud a quelli meno positivi di Messico, Russia e Germania. In quattordici casi non vi è stata una variazione rilevante rispetto al passato, mentre in cinque Stati i giudizi positivi sono aumentati. In Italia e Regno Unito più della metà del campione giudica positivamente gli Usa e dunque indirettamente la presidenza Trump, in Polonia la percentuale arriva addirittura al 70% e in Ungheria al 63%. Oltre la metà di francesi, greci, olandesi e tedeschi non valutano con favore gli Stati Uniti. Il Pew Research Center fa notare che in sette Stati europei le opinioni positive sono diminuite in maniera rilevante rispetto all’epoca della presidenza di Barack Obama, ad esempio in Olanda si è passati dal 65% al 34%. Anche in Russia e Canada prevale lo scetticismo. L’istituto di ricerca ha esaminato le valutazioni date in base all’ideologia, al genere e all’età. Emerge, in maniera prevedibile, che nella maggior parte dei casi, l’elettorato maschile e chi si riconosce a destra dello spettro politico sono più propensi a giudicare positivamente gli Usa. In dieci Stati invece, e in maniera forse in parte meno pronosticabile, i giovani tra 18 e 29 anni sono più favorevoli nei confronti degli Stati Uniti rispetto a coloro che hanno almeno cinquanta anni. Ma cosa pensano gli americani di Trump? Dal secondo studio richiamato emerge che l’attuale inquilino della Casa Bianca risulta essere meno affidabile, empatico e informato rispetto ai predecessori Barack Obama, George W. Bush e Bill Clinton. La metà del campione ritiene tuttavia che sia capace di fare le cose e di mantenere le promesse e addirittura il 68% sostiene che difende ciò in cui crede. Il 55% delle persone coinvolte esprime un giudizio non positivo sul suo lavoro, contro il 38% che ne approva l’operato.
Basterannno i risultati economici a far vincere al Partito Repubblicano le elezioni di MidTerm e a lanciare Trump nella corsa per il secondo mandato? The Donald crede di sì, visto che lo slogan che sta ripetendo ossessivamente (già usato nel 2012 dal governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo) è Promises made, promises kept.
Adesso però ritorniamo al punto di partenza, le previsioni catastrofiche di fini economisti e scienziati della politica si sono avverate? Pare proprio di no, anzi meno di un mese dalle elezioni di metà mandato Trump porta a casa un risultato storico. A settembre i nuovi posti di lavoro sono stati 134mila, un numero inferiore rispetto a quello atteso ma la disoccupazione si è fermata al 3,7%, ovvero al livello più basso dal 1969. Ad annunciarlo lo scorso 5 ottobre è stato lo stesso Trump usando, neanche a dirlo, Twitter. L’ultima domanda che ci resta è questa: basterannno i risultati economici a far vincere al Partito Repubblicano le elezioni di MidTerm e a lanciare Trump nella corsa per il secondo mandato? The Donald crede di sì, visto che lo slogan che sta ripetendo ossessivamente (già usato nel 2012 dal governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo) è Promises made, promises kept. L’ex presidente Clinton avrebbe concordato, dicendo «it’s the economy, stupid!», intendendo che le persone votano sulle tasse sul lavoro e sull’economia. Eppure proprio Trump dovrebbe sapere che questo schema non funziona più, e sicuramente non basta da solo, altrimenti oggi un’altra Clinton sarebbe presindente. Chissà se Alexandria Ocasio-Cortez, Beto O’Rourke e la nuova onda democratica avranno imparato la lezione del 2016, in un mese scopriremo chi avrà ragione e chi no.