Ecco i cinque libri perfetti per riscoprire il piacere della solitudine

Da Dostoevskij a Emily Dickinson passando per Thoreau, ecco alcuni romanzi più o meno classici per riscoprire questo strumento di equilibrio essenziale

Viviamo in un mondo talmente sovraesposto, talmente onnipresente, talmente condiviso che a volte ci è quasi impensabile immaginarci senza gli altri. Senza lo sguardo degli altri che ci osservano attraverso i social, senza i commenti degli altri che ci convalidano o criticano, senza la presenza degli altri che ci accompagna – nella realtà e nella virtualità – in ogni luogo. Sembra quasi che la solitudine sia diventata una dimensione del tutto estranea al vivere contemporaneo e digitale, perfino una prospettiva tragica da rifuggire con gravità e terrore.

Ma, come diceva la scrittrice francese Marguerite Yourcenar, “on ne trouve pas la solitude, on la fait”: non ci si ritrova da soli per caso, anzi è una cosa che si costruisce con impegno. Appunto una dimensione solitaria può essere oggigiorno più utile che mai, da cercare con impegno e dedizione: per rompere l’entropia del rumore di fondo, per ristabilire delle priorità e dei ritmi nella frenesia del costantemente nuovo che ci circonda, per soffermarci a ritrovare dettagli del mondo che spesso ci sfuggono. E quale attività più solitaria e riflessiva della lettura? Ecco alcuni romanzi più o meno classici per riscoprire questo strumento di equilibrio essenziale.

1) Henry David Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi

Volevo vivere la vita profondamente, succhiarne tutto il midollo, volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici”: non si può parlare di solitudine in letteratura senza prescindere da questo che è uno dei capolavori della letteratura americana dell’Ottocento. Prima di pubblicarlo nel 1854, Thoreau (uno dei massimi esponenti di quella corrente chiamata trascendentalismo) ha passato due anni, due mesi e due giorni abitando in solitaria in una casetta di legno immersa nei boschi del Massachusetts. Il risultato è una personalissima dichiarazione di indipendenza e scoperta del proprio sé spirituale ma anche uno sguardo rinnovato sulle dinamiche sociali, soprattutto grazie a un’osservazione spassionata e suggestiva della potenza della natura. Riflettendo sui difetti fondamentali della socialità, l’autore ne riscopre il valore di base, che si può però apprezzare solo prendendosi anche la giusta distanza.

Continua a leggere su Centodieci