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La battuta è scontata: “Bello è bello, ovvio, però quando è uscito, quando è stato pubblicato, quando hanno iniziato ad ascoltarlo, io non ero ancora nato, quindi non sarei potuto intervenire”. Funziona sempre, ovviamente non è mia, e in ogni occasione, e ti mette al riparo da ogni ulteriore tentativo di “attaccar bottone”. Il “bello” del caso è un vinile che è anche un film, “Imagine” (1972), e anche gli scarafaggi sanno che è di John Lennon. Furbescamente i cinema italiani – anche se stai a ciurlare nel manico per ore, alla fine è un’azione di marketing – lo hanno riproposto in versione restaurata proprio a cavallo tra la pubblicazione del vinile (8 ottobre) e il compleanno dell’artista (9 ottobre). Occasione ghiotta per rivederlo, ascoltarlo, tornare indietro nel tempo. Nonostante il maquillage, alla fine non è stata tolta quella patina del tempo, quel “rumore” che emerge nelle scene notturne o di scarsa luce mentre il lavoro di “pulitura” fatto sugli audio è davvero eccellente.
Premessa doverosa: è tra i migliori album da “finto solista” (la mano di Yoko Ono è ben presente) di Lennon e “Imagine” non è il pezzo più bello. In merito alla qualità del long playing, la rivista “Rolling Stone” lo recensì abbastanza freddamente: “Contiene una sostanziale porzione di buona musica, ma, se lo paragoniamo all’album precedente (di molto superiore), ci sono avvisaglie della possibilità che i suoi messaggi sembreranno presto non solo noiosi ma anche irrilevanti”. Severi, troppo severi, anche se va detto che sempre nel 1971 i Led Zeppelin uscirono con disco che contiene “Staiway to heaven”. “Imagine”, assieme a “John Lennon/Plastic Ono Band”, sono i vertici della sua produzione post Beatles. In “JLPOB” ben quattro pezzi, seppur diversi per poetica e musica, sono capolavori (“Mother”, “Working class hero”, “Love” e “God”) mentre gli altri, per esempio “I found out” e soprattutto “Isolation”, sono comunque meravigliosi.
“Imagine” non è solo “Imagine” anche se “Imagine” è un pezzo che ti rimane più inchiodato nella testa, una canzone che una volta si chiamava “lento” (anche “Jealous guy” lo è, ed è sempre nello stesso album: bellissimo, per venire al film, il videoclip girato dall’elicottero) e che si ballava alle feste del liceo nella modalità “mezzo metro quadrato”, guancia a guancia, micromovimenti dei piedi, mani di lei attorno al tuo collo, le tue sui suoi fianchi, piccole parole sussurrate nell’orecchio (che tanto lei non sentiva e per non farti sembrare uno sciocco, faceva finta di sorridere) e la possibilità di ballare anche se si aveva la grazia di un manico di scopa o di un tagliaboschi. Poi la serata, immancabilmente, terminava alla maniera di Lucio Dalla, facendo le scale tre alla volta. A 15 anni, nella fantasia comune, la passerina è una caverna platonica, buia, inesplorata (da te) e misteriosa. Solo più tardi scopri che in realtà è una villa e che, per entrare in maniera educata, devi prima – e sempre – suonare il campanellino.
Ai tempi del liceo, quindi alla fine anni Ottanta, Lennon era un must. Era uno di quei tre o quattro che non mancavano mai: alle feste private – a Venezia non c’erano discoteche e quindi il sabato sera si andava sempre nelle case degli altri anche non eri invitato, tanto qualcuno che conoscevi e ti faceva entrare lo trovavi sempre – il Lennon “lento” c’era sempre, così come “Another brick in the wall ” dei Pink Floyd, con l’elicottero che “entrava” e la traduzione liberissima del ritornello, “All in all, you’re just another brick in the wall” che diventava sempre “ore e ore a ciavar par far un fìo goldòn”. C’era il Bob Marley “da sfascio” (“One love” ma soprattutto “Redemption song” e “No woman no cry”, con le prime birrette e le prime sigarette “farcite”), e c’erano i Doors, quelli più psichedelici, quelli da “pogo” in cui ti dimenavi ad occhi chiusi e pensavi ai viaggi acidi nel deserto, alla nave di cristallo, a Jim Morrison che si muoveva ciondolando. E c’erano i Pitura Freska, quelli del primo album, con la critica aspra e comunista al concertone dei Pink Floyd e qualche lentuccio che serviva sempre. Si chiamavano “revival”, ed erano i pezzi che ti permettevano di avvicinarti alle “fìe” (ragazze, in veneziano). Il giorno dopo, di solito il compagno di banco, ti ricordava quello che avevi combinato con Tizia, Caia o Sempronia. E non sempre erano belle cose. E così ripensavi a “Imagine”, e che sopra di te non può che esserci che il cielo, e che dopo il sole arriva sempre la notte, e che la notte, se è una buona notte, cancella i ricordi. A 15 anni, alla fine degli anni Ottanta, il cielo era ancora in alto. Oggi, a 15 anni, il cielo viene cercato abbassando gli occhi sullo schermo di uno smartphone. Puoi trovare l’origine del mondo in diverse sfumature, ben più di 50 probabilmente, ma il cielo no.
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