Guardate “Imagine” e capirete che Joko Ono non è stata la stronza che ha rovinato Lennon

La versione in questi giorni al cinema, che arriva in occasione di quello che sarebbe stato il 78esimo compleanno di John Lennon, nato il 9 ottobre 1940, è stata restaurata, remixata e interamente rimasterizzata agli Abbey Road Studios

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La battuta è scontata: “Bello è bello, ovvio, però quando è uscito, quando è stato pubblicato, quando hanno iniziato ad ascoltarlo, io non ero ancora nato, quindi non sarei potuto intervenire”. Funziona sempre, ovviamente non è mia, e in ogni occasione, e ti mette al riparo da ogni ulteriore tentativo di “attaccar bottone”. Il “bello” del caso è un vinile che è anche un film, “Imagine” (1972), e anche gli scarafaggi sanno che è di John Lennon. Furbescamente i cinema italiani – anche se stai a ciurlare nel manico per ore, alla fine è un’azione di marketing – lo hanno riproposto in versione restaurata proprio a cavallo tra la pubblicazione del vinile (8 ottobre) e il compleanno dell’artista (9 ottobre). Occasione ghiotta per rivederlo, ascoltarlo, tornare indietro nel tempo. Nonostante il maquillage, alla fine non è stata tolta quella patina del tempo, quel “rumore” che emerge nelle scene notturne o di scarsa luce mentre il lavoro di “pulitura” fatto sugli audio è davvero eccellente.

Premessa doverosa: è tra i migliori album da “finto solista” (la mano di Yoko Ono è ben presente) di Lennon e “Imagine” non è il pezzo più bello. In merito alla qualità del long playing, la rivista “Rolling Stone” lo recensì abbastanza freddamente: “Contiene una sostanziale porzione di buona musica, ma, se lo paragoniamo all’album precedente (di molto superiore), ci sono avvisaglie della possibilità che i suoi messaggi sembreranno presto non solo noiosi ma anche irrilevanti”. Severi, troppo severi, anche se va detto che sempre nel 1971 i Led Zeppelin uscirono con disco che contiene “Staiway to heaven”. “Imagine”, assieme a “John Lennon/Plastic Ono Band”, sono i vertici della sua produzione post Beatles. In “JLPOB” ben quattro pezzi, seppur diversi per poetica e musica, sono capolavori (“Mother”, “Working class hero”, “Love” e “God”) mentre gli altri, per esempio “I found out” e soprattutto “Isolation”, sono comunque meravigliosi.

“Imagine” non è solo “Imagine” anche se “Imagine” è un pezzo che ti rimane più inchiodato nella testa, una canzone che una volta si chiamava “lento” (anche “Jealous guy” lo è, ed è sempre nello stesso album: bellissimo, per venire al film, il videoclip girato dall’elicottero) e che si ballava alle feste del liceo nella modalità “mezzo metro quadrato”, guancia a guancia, micromovimenti dei piedi, mani di lei attorno al tuo collo, le tue sui suoi fianchi, piccole parole sussurrate nell’orecchio (che tanto lei non sentiva e per non farti sembrare uno sciocco, faceva finta di sorridere) e la possibilità di ballare anche se si aveva la grazia di un manico di scopa o di un tagliaboschi. Poi la serata, immancabilmente, terminava alla maniera di Lucio Dalla, facendo le scale tre alla volta. A 15 anni, nella fantasia comune, la passerina è una caverna platonica, buia, inesplorata (da te) e misteriosa. Solo più tardi scopri che in realtà è una villa e che, per entrare in maniera educata, devi prima – e sempre – suonare il campanellino.

Ai tempi del liceo, quindi alla fine anni Ottanta, Lennon era un must. Era uno di quei tre o quattro che non mancavano mai: alle feste private – a Venezia non c’erano discoteche e quindi il sabato sera si andava sempre nelle case degli altri anche non eri invitato, tanto qualcuno che conoscevi e ti faceva entrare lo trovavi sempre – il Lennon “lento” c’era sempre, così come “Another brick in the wall ” dei Pink Floyd, con l’elicottero che “entrava” e la traduzione liberissima del ritornello, “All in all, you’re just another brick in the wall” che diventava sempre “ore e ore a ciavar par far un fìo goldòn”. C’era il Bob Marley “da sfascio” (“One love” ma soprattutto “Redemption song” e “No woman no cry”, con le prime birrette e le prime sigarette “farcite”), e c’erano i Doors, quelli più psichedelici, quelli da “pogo” in cui ti dimenavi ad occhi chiusi e pensavi ai viaggi acidi nel deserto, alla nave di cristallo, a Jim Morrison che si muoveva ciondolando. E c’erano i Pitura Freska, quelli del primo album, con la critica aspra e comunista al concertone dei Pink Floyd e qualche lentuccio che serviva sempre. Si chiamavano “revival”, ed erano i pezzi che ti permettevano di avvicinarti alle “fìe” (ragazze, in veneziano). Il giorno dopo, di solito il compagno di banco, ti ricordava quello che avevi combinato con Tizia, Caia o Sempronia. E non sempre erano belle cose. E così ripensavi a “Imagine”, e che sopra di te non può che esserci che il cielo, e che dopo il sole arriva sempre la notte, e che la notte, se è una buona notte, cancella i ricordi. A 15 anni, alla fine degli anni Ottanta, il cielo era ancora in alto. Oggi, a 15 anni, il cielo viene cercato abbassando gli occhi sullo schermo di uno smartphone. Puoi trovare l’origine del mondo in diverse sfumature, ben più di 50 probabilmente, ma il cielo no.

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