Gli incentivi di Industria 4.0 sono stati dimezzati. Nel Documento programmatico di Bilancio 2019 “una manina” ha infatti fatto scendere il super ammortamento per chi investe in nuove tecnologie esattamente della metà. Fino ad oggi un’impresa che compra un macchinario per 10 mila euro può scrivere a bilancio di averlo pagato 25 mila euro, con un conseguente cospicuo risparmio fiscale: quei 15 mila euro in più vanno ad abbassare gli utili su cui l’imprenditore paga le tasse. Dal prossimo anno potrà invece scrivere di averlo pagato 17 mila 500 euro: con un vantaggio che passa da 15 mila euro a 7,5 mila, la metà. La stessa cosa vale per chi investe in software o in ricerca e sviluppo: se fino ad oggi 10 mila euro potevano valere come se ne fossero state spese 14 mila, dal 2019 saranno contate solo per 12 mila.
È una decisione che lascia perplessi. Proprio questa settimana il World Economic Forum ha stilato la classifica delle economie più competitive e, pur restando la nostra tra le ultime dei paesi sviluppati, abbiamo letto con soddisfazione di essere passati dal 43° posto al 31°, trainati soprattutto dall’innovazione: è qui che abbiamo fatto il balzo più notevole, con i distretti industriali che conquistano addirittura il 4° posto su 140 paesi.
Proprio questa settimana il World Economic Forum ha stilato la classifica delle economie più competitive e, pur restando la nostra tra le ultime dei paesi sviluppati, abbiamo letto con soddisfazione di essere passati dal 43° posto al 31°, trainati soprattutto dall’innovazione. Ed è questo il settore che, con gli ultimi provvedimenti del Governo, soffrirà di più
Non c’è dubbio che il super ammortamento consentito dal pacchetto Industria 4.0 sia stato un grande incentivo alle aziende e anche un grande sforzo per il paese ma dati alla mano possiamo dire che ha prodotto risultati. A differenza di altre misure dagli effetti più controversi (vedi gli 80 euro di Renzi) questi incentivi hanno funzionato. E allora perché dimezzarli? Al di là delle parole, l’innovazione è davvero in cima alle priorità di questo governo o è ancora vista con il sospetto di chi pensa che più tecnologia significhi meno occupazione?
Conte, Salvini e Di Maio si stanno giocando tutto sulla convinzione che mandando in pensione con quota 100 400 mila sessantenni, si libereranno posti per i giovani. La loro speranza è che il tasso di sostituzione sia di 1 a 1, ma questa speranza non è certa, anzi, è una scommessa che rischia di scontrarsi con la possibilità che gli imprenditori preferiscano destinare buona parte delle risorse risparmiate per riorganizzarsi, migliorare la propria efficienza e accrescere la propria tecnologia. In altre parole, al posto di un giovane alcune imprese potrebbero preferire un robot.
È di questo che ha paura il governo? È per questo che ha dimezzato gli incentivi?
Se così fosse sarebbe un ragionamento sbagliato: promuovere l’occupazione a scapito della tecnologia significa sedersi dalla parte sbagliata della storia, significa condannarsi alla subalternità. Le imprese italiane che in questi ultimi anni hanno assunto di più sono quelle che hanno anche investito di più in innovazione: il tasso di occupazione nei distretti industriali che hanno brillato nella classifica del World Economic Forum è cresciuto al ritmo del 3% contro una media nazionale dello 0,2%. È questa l’unica garanzia per il futuro dei nostri posti di lavoro: un’industria ad alto tasso tecnologico. Ostacolare l’innovazione e spostare le risorse per sostenere lavori poco qualificati può anche avere successo nel breve periodo, può anche aumentare il tasso di occupazione nell’immediato ma è come fare un fuoco di soli fiammiferi. Quando poi sono finiti i fiammiferi, che si fa?