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Che gran fortuna l’invenzione dell’opera a stampa! Ha consentito alla critica il privilegio del ripensamento. Chissà quanti grandi lavori – o almeno che noi col senno di poi avremmo giudicato tali – sono andati irrimediabilmente perduti nei meandri del tempo. Qualcuno ha giudicato in nostra vece cosa fosse degno di essere consegnato alla storia e cosa no. Al contrario, oggi, ci si può permettere di accumulare e accumulare, addirittura di lasciare ai posteri l’ardua sentenza. Esiste sempre più oramai la possibilità di un ripescaggio – la famosa gloria postuma. Certo questa è quella che Silvio Raffo, il più noto traduttore italiano di Emily Dickinson, vorrebbe dare a Lord Alfred Douglas, il poeta conosciuto ai più per essere stato, in gioventù, l’amante di Oscar Wilde.
Controverso personaggio Douglas – per gli amici Bosie –, affamato di vita e nevrastenico, autodistruttivo e a suo modo geniale, è rimasto terribilmente in ombra rispetto al suo ben più famoso compagno ed è stato mal visto a causa delle vicissitudini esistenziali e amorose che ha fatto patire a quest’ultimo. Ma l’incorreggibile Raffo, da sempre scopritore per il nostro paese di poeti stranieri da noi ingiustamente trascurati, ha deciso di confrontarsi con l’opera poetica dell’autore in questione e, anche questa volta, con L’amore che non osa. Poesie per Oscar Wilde (Elliot, 2018) è stato il primo a presentarlo ai lettori dello Stivale. Siamo andati a sentirlo, per farci raccontare l’intrigante vita di Bosie e soprattutto delle sue doti poetiche fino a oggi rimaste ignote al grande pubblico.
La vita di Lord Alfred Douglas è interessante perché si intreccia con quella di Wilde e, come dice lei nell’introduzione, in parte tende a ripetere, in una strana forma, le sventure capitate al suo maestro.
Dalla morte di Wilde, nel 1900, al 1945, quando anche Douglas passerà a miglior vita, trascorrono quarantacinque anni. Bosie, quindi, sopravvive per un lasso di tempo pari a quello vissuto da Wilde. In gioventù, è un ragazzino molto viziato. La madre, una donna che odia il marito, adora invece il suo bambino ed è con lui particolarmente permissiva. Il padre, John Sholto Douglas, è un uomo orrendo, volgare, però di grande potere. Il giovane è, insomma, molto coccolato, ma anche particolarmente dotato. Quello che nessuno mai mette in rilievo, raccontando sempre e solo del suo rapporto con l’autore di Il ritratto di Dorian Gray, è che questo ragazzo scrive molto bene. Del resto, Wilde dice di lui che è il più bravo dei giovani poeti inglesi del suo tempo, anche se questa considerazione può risultare influenzata dall’affetto. Abbiamo però, a riprova di questa tesi, anche il giudizio di Bernard Shaw che lo definirà il migliore compositore di sonetti dopo Shakespeare. Di fatto, Douglas aveva idee molto chiare sull’estetica, anche in contrasto con quelle di Wilde. Si prenda per esempio il suo saggio The Good Poetry, lì dove dice che non è né l’eccesso di estetica, né l’eccesso di ideologia che deve viziare la poesia. Sfortunatamente, noi lo ricordiamo solo per la vicenda del rapporto con Wilde e le cose brutte che ha fatto. In realtà è facile immaginare che da una simile relazione non potesse che scaturire una specie di esplosione atomica. Bosie ha la consapevolezza di essere un grande artista. Non è solo una viperetta. È una persona con una notevole cultura – che poi sia uno scioperato, che dissipa volentieri il patrimonio di famiglia, è tutto un altro paio di maniche. Non possiamo valutare il lavoro di uno scrittore pensando alla sua vita. Quello che è incredibile, infatti, è che la sua opera sia passata assolutamente sotto silenzio, perché gravava su di lui l’etichetta di serpente. L’opera di Lord Douglas è in realtà squisita e rivela grande conoscenza e perizia metrica, che nulla ha da invidiare a quella di poeti anche molto celebri. Venendo alla seconda parte della sua esistenza, è interessante sottolineare le strane coincidenze che ricordano le vicissitudini a cui era andato incontro il suo mentore. Penso per esempio al suo matrimonio con Olive Custance, una poetessa di tendenze chiaramente lesbiche, appartenente alla cerchia di Natalie Barney, quelle donne molto amazzoni che frequentavano Parigi all’inizio del ’900 come Colette e Gertrude Stein. Quello con Bosie è un matrimonio d’amicizia, di grande affinità, tra due che si volevano bene come un fratello e una sorella, similmente a quello di Wilde con sua moglie. Naturalmente, dal punto di vista sessuale, c’era molto poco. Da questa unione nascerà un figlio schizofrenico. Per Bosie si riproporrà la stessa situazione che era toccata a Wilde, a cui era stato proibito di vedere i suoi figli, perché ritenuto un personaggio moralmente riprovevole. Penso sia lecito affermare che il poeta inglese, nel periodo in cui è sopravvissuto a Wilde, non sia mai stato abbandonato dal suo fantasma e abbia vissuto come entro un inconscio desiderio di espiazione. In effetti, ne ha fatte proprio di tutti i colori per ricevere le punizioni a cui è stato sottoposto: ha sperperato tutto il patrimonio della madre, non ha concluso niente dal punto di vista letterario, si è fatto mettere in prigione per una balzana accusa a Churchill.Anche lui, però, come Wilde, ha incontrato degli angeli. Durante gli ultimi mesi, il più famoso autore irlandese era circondato da questi ragazzi che lo coccolavano e gli volevano molto bene. Il nostro Bosie trovò invece questa incredibile coppia, Sheila Colman e suo marito, che viveva in una fattoria, allevava animali e che si prendeva cura di lui alla stregua di figure genitoriali, o fratelli maggiori. Morirà infatti accudito da Sheila, che organizzerà anche premi ed eventi culturali in suo nome. Purtroppo i film che hanno girato su Wilde, in cui c’è anche Bosie, sono tutti concordi nell’inquadrarlo unicamente come il piccolo isterico viziato, carogna, che vuole vendicarsi dei soprusi del padre e usa Oscar come pedina per questa vendetta. Il che è vero, ma non esaurisce il discorso sull’uomo. È il letterato che non dobbiamo perdere di vista.
Veniamo ai suoi scritti. Le affinità e divergenze con l’opera di Wilde.
È chiaro che la propensione all’estetismo esiste in entrambi. Con la differenza che in Wilde traspare una punta di moralismo. In fondo Il ritratto di Dorian Gray è un romanzo edificante, con questo protagonista che non è per niente un vincente. L’opera, contrariamente a quel che si crede, non dimostra che l’estetica vince su tutto. C’è appunto, semmai, una forza morale diffusa. Pensiamo anche, per esempio, alle sue favole. Si tratta chiaramente di parabole del sacrificio, profonde testimonianze del Verbo di Gesù. Lui, in realtà, è un animo di una bontà infinita, tanto quanto superficiale e un po’ immaturo in questo suo narcisismo. I messaggi che vuole trasmettere con le sue opere sono: in quelle teatrali, la critica alla piccineria dell’aristocrazia e della borghesia; nelle favole i valori evangelici – come la rondine a cui il principe dice “toglimi gli occhi, tutto l’oro che ho e dallo ai poveri”. Lui ha questo, si direbbe, ingenuo e innato spirito evangelico. Le favole in particolare, contenutisticamente parlando, sono delle letture che si potrebbero fare in chiesa. Questa componente in Bosie non c’è. Affiora piuttosto il suo sdegno nei confronti dell’ipocrisia borghese e, sotto la cura formale ed estetica – a volte molto vittoriana –, c’è un materiale umano rovente. Una su tutte è la più famosa, Due amori: un capolavoro dal punto di vista formale e dai contenuti molto coraggiosi.