Ma quale moltiplicatore: con la manovra del popolo non cresceremo mai

Le folli idee nella manovra economica del Governo Conte. Fare più spesa dovrebbe agire da “moltiplicatore” sul Pil (ed è una proposta che non funziona). E non ci farebbe bene rinchiuderci in un sovranismo monetario ridicolo e pericoloso

Una settimana è trascorsa dall’annuncio che la coalizione rosso-brunata aveva raggiunto un accordo sul testo della legge di stabilità finanziaria (Def): il deficit per il 2019 sarebbe stato pari al 2,4% del PIL, il bilancio dello stato avrebbe contenuto una serie di provvedimenti destinati a soddisfare (almeno in via di principio) alcune delle promesse elettorali di Lega e M5S. Ad oggi il Def – nel senso proprio del termine – non esiste e parlarne con un minimo di serietà è praticamente quasi impossibile (il lettore interessato troverà qui un tentativo apprezzabile). L’incommentabile sceneggiata del Ministro del Tesoro – che si presenta all’Ecofin, non sa cosa dire ai propri colleghi europei e quindi se ne scappa – altro non fa che confermare la natura pagliaccesca di quanto sta accadendo.

In attesa, quindi, che il governo produca simulazioni e tabelle tali da rendere comprensibile cosa intende fare durante il 2019 e gli anni seguenti, facciamo un passo indietro (o di lato) e proviamo a riflettere sull’impostazione di politica economica che sottende le misure annunciate. Le quali consistono, come abbiamo visto, in una serie di operazioni di trasferimento fiscale – alleggerendo il carico sui gruppi sociali da cui il governo riceve appoggio per scaricarlo su quelli ritenuti ostili – e di trasferimento assistenziale – aumenti di spesa a favore di gruppi sociali affini ai partiti di governo. Il tutto ci viene presentato come il primo passo sulla strada di un’autentica rivoluzione nella politica economica italiana, rivoluzione che porterà anzitutto ad una drastica riduzione delle disuguaglianze economiche (Di Maio ha dichiarato che questo DEF “abolisce la povertà in Italia”) seguita da una ripresa della crescita economica del paese (altri ministri hanno dato cifre roboanti a questo riguardo).

L’intero “stimolo alla crescita” si fonda sull’idea che – per fare un paio di ovvi esempi – dare reddito ai neo-pensionati e toglierlo ai giovani lavoratori possa creare un “moltiplicatore” maggiore

Che cosa giustifica queste roboanti affermazioni e meravigliose promesse? Qual è il modello di funzionamento del sistema economico che questo governo ha in mente e cosa suggerisce questo modello sui modi attraverso cui l’intervento dello stato potrebbe migliorare tale funzionamento? La risposta, ironicamente, la trovate su questo stesso quotidiano in un lungo articolo apparso un paio di giorni fa, articolo che riporta stralci dall’ultimo libro, appena tradotto in italiano, di Joseph Stiglitz. Il libro, o perlomeno gli stralci pubblicati, meriterebbero una disamina più articolata di quella che le prossime 500 parole permettono, ma alcune cose molto sintetiche possono essere comunque dette.

L’idea di fondo di Joe Stiglitz è che maggiori sono le disuguaglianze economiche minore sia la crescita economica. Tralasciamo gli errori fattuali (sia storici che statistici) e le incongruenze logiche su cui fonda questo suo ragionamento e prendiamolo per vero. Capisco risulti difficile farlo sia perché le disuguaglianze economiche sono diminuite, dopo la crisi del 2008, in molti paesi, sia perché sarebbe sufficiente dare un’occhiata ai dati su disuguaglianza e crescita nei vari paesi e regioni europee per capire che il semplice nesso che JS vuole stabilire non esiste e la relazione fra crescita e disuguaglianza è molto più complessa di quanto lui la faccia. Ma, ripeto, facciamo finta sia vero quel che JS predica.

Egli sostiene che solo riducendo la disuguaglianza potremmo ottenere crescita economica e che la disuguaglianza va ridotta non solo con politiche redistributive ma anche, e soprattutto, redistribuendo potere da “patrimoni finanziari” a “il resto”. Come si faccia (altro che aumentando imposte sul reddito da capitale) JS non lo dice ma gli ascoltatori non disattenti delle teorizzazioni televisive dei nuovi guru rosso-brunati riconosceranno in esse gli echi delle confuse affermazioni stiglitziane. Il Def annunciato sembra costituire un esperimento, in quella direzione, lungo gli assi della redistribuzione e della roulette russa finanziaria. Il terzo asse, ovvero l’avvio di nazionalizzazioni e la ripresa di un intervento statale diretto nell’economia, seppur annunciato, si limita per ora all’ennesimo salvataggio di Alitalia.

Altro aspetto di questa manovra: la sfida alle regole più elementari della finanza e del credito nel nome di un “sovranismo monetario” tanto ridicolo quanto pericoloso

Il trasferimento di reddito da un gruppo sociale all’altro farebbe ripartire la crescita grazie al magico moltiplicatore. Ora, poiché (per la parte non a debito) tali trasferimenti si finanziano con tagli di altre spese, l’intero “stimolo alla crescita” si fonda sull’idea che – per fare un paio di ovvi esempi – dare reddito ai neo-pensionati e toglierlo ai giovani lavoratori possa creare un “moltiplicatore” maggiore. O che la propensione al consumo dei titolari di piccole partite IVA sia maggiore e più benefica alla crescita di quella dei dipendenti delle medio-grandi aziende industriali. O che tagliare ulteriormente i finanziamenti che vanno agli enti locali per scuola e sanità usandoli per nazionalizzare Alitalia ed altre imprese decotte aumenti la produttività aggregata e l’occupazione redditizia. Questa la prima scommessa “stiglitziana” che sorregge la finanziaria 2019 dell’Italia rosso-brunata.

Ve ne è poi una seconda, meno trasparente ma nondimeno importante, anzi forse più cruciale. Essa consiste nella sfida alle regole più elementari della finanza e del credito nel nome di un “sovranismo monetario” tanto ridicolo quanto pericoloso. Abbiamo assistito, in questi anni, a dozzine di “teorici monetari” che dagli schermi delle televisioni italiane hanno predicato cazzate d’ogni sorta, regolarmente applauditi da conduttori televisivi compiacenti. Abbiamo così scoperto che non vi sono limiti economici al rapporto fra debito pubblico e reddito nazionale, che la monetizzazione del debito pubblico è operazione indolore e che permette di aumentare la spesa pubblica a piacere, che i differenziali sui tassi d’interesse sono artificiali invenzioni dei poteri finanziari e che i debito emessi da stati differenti dovrebbero pagare lo stesso tasso d’interesse nominale … e così via. Detto altrimenti: spendete a debito e non ponetevi il problema dei costi futuri del suo servizio. La teoria stiglitziana dice che possiamo emettere strumenti monetari “fiat” per ripagare, in modo indolore, tali costi in futuro.

Bene, come è già oggi apparente ed i prossimi giorni certificheranno, il governo italiano ha deciso di testare alcune di queste ipotesi e, con l’andare dei mesi, son certo che altre ne seguiranno. Avremmo quindi modo di verificare sulla nostra pelle se le “nuove” teorie economiche di Joseph Stiglitz (elaborate con il supporto cruciale della Fondazione Soros) saranno capaci di produrre il miracolo promesso, oppure no. Basta aspettare.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter