Reddito di cittadinanza, d’accordo. Ma quando? Questa domanda non è irrilevante per valutare le stime di crescita previste dal governo per il 2019. Supponiamo di superare ogni perplessità relativa alla “manovra del popolo” con un balzo, anzi un grande balzo, di fiducia. Supponiamo di accettare le assunzioni economiche che stanno alla base della finanziaria, convinciamoci che il reddito di cittadinanza non sia un provvedimento assistenzialistico, che non abbia ripercussioni negative sul piano della produttività, che non sia un disincentivo alla ricerca del lavoro, che non dia un colpo mortale alla già fragile meritocrazia del paese e che sia invece una misura equa ed espansionistica. Accettiamo tutto questo: i conti non tornano lo stesso. C’è prima di tutto un tema di logistica, un problema di organizzazione e distribuzione del reddito per il quale sarà molto difficile vedere elargito anche solo un assegno di cittadinanza entro il 2019.
Il Def firmato dal governo ha finora stabilito le risorse da dedicare a questa misura: 9 miliardi + 1 per la riforma dei centri d’impiego. Ma ha rimandato a una legge collegata una serie di dettagli operativi che andranno stabiliti prima di procedere: per esempio, come sarà erogato il reddito? Attraverso un bancomat? Ci saranno davvero spese consentite e spese non consentite? Ci saranno quote di reddito prestabilite per ogni regione d’Italia? Oppure sarà solo su base nazionale? E poi ancora: chi ne ha diritto esattamente? Chi è disoccupato da più tempo avrà la precedenza? E quanti lavori potrò rifiutare prima di perderlo? Lavori vicini o lontani da casa? Questa legge collegata dovrà essere votata nei primi mesi del 2019 ma come si intuisce dal tenore delle domande non sarà facile trovare una sintesi politica. Prendiamo il tema della distribuzione regionale: se vale il principio secondo cui chi ha più bisogno ne ha più diritto, è evidente che la maggior parte dei fondi saranno dirottati a sud (con buona pace della Lega), se invece vale una distribuzione regionale, si indebolisce un presupposto di equità che sta alla base della misura stessa. Insomma, per arrivare a un accordo ci vorrà qualche mese e non stupirebbe che questo accordo si trovasse al fotofinish giusto prima delle elezioni europee di maggio.
Supponiamo di accettare le assunzioni economiche alla base della finanziaria, convinciamoci che il reddito di cittadinanza non sia un provvedimento assistenzialistico, che non abbia ripercussioni negative sul piano della produttività, che non sia un disincentivo alla ricerca del lavoro, che non dia un colpo mortale alla già fragile meritocrazia del paese e che sia invece una misura equa ed espansionistica: i conti non tornano lo stesso
Ma siamo ottimisti: immaginiamo che a marzo siano pronti tutti i dettagli, compresi quelli che servono per riformare i centri per l’impiego. Perché c’è da fare anche questo, giusto? A meno che non si voglia cominciare a distribuire soldi senza aver nemmeno tentato di migliorare le fin qui impietose performance dei Cpi, cosa che lascerebbe perplessa buona parte di un elettorato disposto ad accettare l’idea di dare una mano ai concittadini in difficoltà, ma solo nella prospettiva realistica di trovare loro un lavoro. Sarà necessario sì o no verificare che ognuno dei 556 centri per l’impiego del paese abbia almeno un computer sul quale gestire domande e offerte? Sarà necessario sì o no organizzare qualche corso di formazione per un personale che con una media di 56 anni di età è più vicino all’uscita dal mercato del lavoro che all’ingresso?
A settembre dunque si comincerà a gestire le pratiche di quei 2 milioni di famiglie che in Italia si trovano al di sotto della soglia di povertà e che verosimilmente avanzeranno la loro richiesta
I tempi visti con il decreto d’urgenza per Genova non lasciano essere ottimisti. Ma quando anche si riuscisse ad adeguare questi uffici in 4 mesi (roba da standing ovation), i Cpi non sarebbero pronti a gestire le richieste di reddito di cittadinanza prima dell’estate, anzi, prima di settembre dato che la sacralità di agosto difficilmente sarà scalfita. A settembre dunque si comincerà a gestire le pratiche di quei 2 milioni di famiglie che in Italia si trovano al di sotto della soglia di povertà e che verosimilmente avanzeranno la loro richiesta.
Ecco perché è difficile che si possa vedere distribuito un solo reddito di cittadinanza prima del 2020: cosa che non è di per se una critica alla misura. Se la misura è ritenuta corretta, la si porti avanti: meglio tardi che mai, nel caso. Il problema è se le stime di crescita del Pil per il 2019 fanno affidamento, come più volte dichiarato dal governo, sull’erogazione di quel reddito? La nostra economia come potrebbe mai beneficiare nel 2019 di un reddito che nel 2019 nessuno riceverà?