Chi l’avrebbe detto che, dopo tanta attesa, l’occasione sarebbe arrivata all’età di 82 anni appena compiuti. Ma il ministro degli Affari Europei Paolo Savona sembra pronto per la battaglia. Dopo una lunga carriera che lo ha visto passare per la Banca d’Italia (tra gli allievi preferiti del governatore Guido Carli) lungo i consigli di amministrazione di importanti società pubbliche e private (Impregilo, Gemina, Aeroporti di Roma, Consorzio della Nuova Venezia), fino alla poltrona di ministro dell’Industria durante il governo Ciampi nel ’93-94 – l’ultimo governo della Prima Repubblica – adesso ha una nuova missione: cambiare l’Europa.
Lui, ospite a un incontro a Roma organizzato dal giornalista Mario Sechi per la sua newsletter List, preferisce usare altre formule, meno ostili. Serve «riprendere un discorso serio con l’Europa», dice. E lo ripete «da 30 anni», almeno da quando seppe che al suo mentore Guido Carli «tremava la mano» al momento della firma dei Trattati di Maastricht. Allora l’Italia non era pronta: soprattutto, «non era pronta per consegnarsi al vincolo gestito dalle burocrazie europee», tutt’altra cosa rispetto al vincolo dei mercati. «Ne avevamo discusso tanto, e io allora non capivo. Solo oggi vedo quanto avesse ragione Carli a essere preoccupato».
Adesso, però, si può (ri)cominciare a discutere. Savona – completo blu impeccabile e cravatta amaranto con raffigurati cani gialli – rifiuta l’etichetta di populista («Io sono un riformatore moderato»), respinge la definizione “governo Frankenstein” e ricorda, mentre parla di spread, mercati e finanza, che «il popolo alla fine vince sempre». Non è propaganda: bensì un avvertimento. Le emozioni della gente non vanno sottovalutate perché «possono portare al disastro». Serve invece, «come diceva Spinoza, che sto rileggendo, saperle disciplinare con la ragione». E la ragione secondo Savona conduce, alla fine dei calcoli e delle misure, a una revisione dell’intera struttura europea. «Il sistema così come è non funziona. L’ho detto anche a Oettinger, che essendo commissario europeo per il Bilancio, non poteva certo smentirmi». Risate.
Dietro allo scontro tra ragione ed emozione, se ne staglia un altro, quello tra europeisti e sovranisti, che «in realtà è tra riformatori e conservatori», o meglio «tra chi vuole cambiare e chi vuole mantenere», in un braccio di ferro di poteri che non risparmia nessuno, nemmeno «la stampa: che è conservatrice» e per questo nemica del “suo” governo. In gioco c’è molto. «La mia proposta è di europeizzare il cambiamento», cioè addirittura estendere il progetto europeo (è noto che da tempo propone di creare programmi scolastici comuni, condividere il sistema bancario e trasformare la Bce in una Banca Centrale reale) assecondando le necessità della gente, anche aumentando i livelli di spesa. Altrimenti, dice, «si sovranizza la conservazione». Ogni Paese va per conto suo e le frizioni aumenteranno.
Le emozioni della gente non vanno sottovalutate perché «possono portare al disastro»
Tutto razionale, tutto calcolato. Di passo in passo, la sua rete autorevole si stende leggera. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla fine «mi ha nominato ministro», per cui non ha ostilità nei miei confronti. Il governatore della Bce Mario Draghi, invece, «lo ho incontrato, e abbiamo parlato a lungo con estrema cortesia. Lui capisce tutto», anche se alla fine dissentono su questioni di fondo. E alla fine il ministro Savona, che sfoggia ai polsi gemelli a forma di tartaruga, difende le decisioni contenute nel Def del governo. «Sono l’ultimo ottimista rimasto», dice.
È sicuro che la manovra farà aumentare la crescita, anche «se è moderata – ci vuole molto di più, ho detto io – è cauta e soprattutto concreta, perché segue una logica economica ferrea». E se le previsioni parlano di eventuali problemi che verranno fuori dopo il 2019, «questo per me vuol dire che c’è tempo». Tradotto, «tempo per riflettere, visto che l’anno prossimo si vota e ci sarà un nuovo Parlamento europeo, con una nuova Commissione e anche una nuova Bce». Forse allora la battaglia sarà finita. O appena cominciata. Savona non ha fretta: ha aspettato tanto, aspetterà ancora. Lui, sardo doc, appartiene alla stirpe dei centenari.