In fondo per la Lega, che è stata dall’inizio il principale sponsor della flat tax, è un po’ un ritorno alle origini. A quegli anni ‘90 in cui assieme a Forza Italia, e forse più di lei, era la voce del “popolo delle partite IVA”. Quel vastissimo segmento di lavoratori poco visibile, ancor meno rappresentato, ma molto ben definito, che era fatto sia di piccoli artigiani e imprenditori, commercianti, idraulici, elettricisti, che di professionisti come avvocati, commercialisti, dentisti, ecc, tutti arrabbiati per l’eccessivo peso fiscale e delusi da una politica e da un sindacato che parlavano solo di contratti collettivi, di dipendenti, di pensionati. Premiarono in massa il centrodestra, poi qualcosa cambiò, molte partita IVA, soprattutto artigiani e commercianti, sparirono stritolati dalla crisi, altre ne arrivarono, ma erano diverse, più giovani, più povere, erano neo-laureati con professionalità, architetti, ingegneri, medici, fisioterapisti, farmacisti, costretti ad accettare di cominciare a lavorare come autonomi invece che essere assunti.
Non vi era più tanto l’orgoglio di essere una partita IVA quanto il rammarico. Ed è qui che è probabilmente entrato in gioco il Movimento 5 Stelle, che ha assorbito anche molti dei voti di questi giovani. E’ anche per questo, oltre che per esigenze di bilancio, che oggi la maggioranza giallo-verde si è trovata d’accordo nel cominciare proprio da loro, dalle partite IVA, per applicare una sorta di flat tax,
Non vi era più tanto l’orgoglio di essere una partita IVA quanto il rammarico. Ed è qui che è probabilmente entrato in gioco il Movimento 5 Stelle, che ha assorbito anche molti dei voti di questi giovani. E’ anche per questo, oltre che per esigenze di bilancio, che oggi la maggioranza giallo-verde si è trovata d’accordo nel cominciare proprio da loro, dalle partite IVA, per applicare una sorta di flat tax, che consisterà nello spostare a 65 mila euro il limite al di sotto del quale applicare una tassazione forfettaria (si parla dell’IRPEF) del 15%, ora appannaggio di chi arriva in media a 30 mila euro di fatturato. L’intenzione è quella di aiutare questi lavoratori autonomi, ora piuttosto oberati dal fisco e dalla burocrazia.
Le massime aspirazioni di un giovane non sono più come un tempo diventare imprenditori di se stessi, ma essere dipendenti di una grande azienda, se non dello Stato. E questa mossa governativa non li aiuta, anzi. Negli anni successivi alla crisi nel complesso il numero di partite IVA è calato, oggi sono circa il 10% in meno che nel 2008
Il problema è che come in altri casi anche questo provvedimento fotografa una situazione senza cercare di farla evolvere. Il cruccio di molte partite IVA, infatti, non è solo e tanto il guadagno e il fisco, ma esattamente essere una partita IVA invece che un dipendente. Nei sondaggi le massime aspirazioni di un giovane non sono più come un tempo diventare imprenditori di se stessi, ma essere dipendenti di una grande azienda, se non dello Stato. E questa mossa governativa non li aiuta, anzi. Negli anni successivi alla crisi nel complesso il numero di partite IVA è calato, oggi sono circa il 10% in meno che nel 2008. A fronte di una sostanziale stabilità a livello europeo, frutto di un grande aumento francese e dei cali analoghi ai nostri in Spagna e Germania. Rimaniamo comunque tra i primissimi Paesi per proporzione di lavoratori autonomi, ma certo, almeno fino al 2015 da un lato la scure della crisi, dall’altro gli incentivi all’assunzione di dipendenti hanno inferto duri colpi.
Il punto è che da circa 3 anni, anche per la fine delle decontribuzioni, questo calo si è di fatto fermato, e soprattutto per alcune categorie si è addirittura trasformato in crescita. Si tratta dei lavoratori autonomi nel settore finanziario (+21,9% nel secondo trimestre 2018 rispetto al 2016), sanitario (+13,7%), delle professioni scientifiche e tecniche (+6,4%), e soprattutto in tutti quegli ambiti della new economy genericamente rientranti nella categoria “Altri” (+21%). Questo a fronte di un aumento nazionale solo dell’1%, e di quelli registrati in media nella Ue, molto più modesti.
E secondo i dati del Ministero delle Finanze, che si fermano alla fine del 2017, è proprio tra gli under 35 che queste tendenze sono più accentuate. In questi stessi settori l’anno scorso rispetto a quello precedente le aperture di nuove partite IVA di giovani sono cresciute più di quanto non abbiano fatto quelle degli autonomi di tutte le età.
E’ evidente che se finora vi è già una tendenza da parte del sistema a preferire l’impiego di architetti, medici, spesso anche ingegneri, come autonomi piuttosto che come dipendenti, quando questi sono ancora giovani e poco esperti, per risparmiare, per essere più flessibili, approfittando anche della tassazione forfettaria, a maggior ragione questo trend vedrà un grande aumento se questa sarà allargata a chi guadagna di più. Non saranno forse solo i giovani, solo chi abita in aree più lontane dai motori economici del Paese, ad essere invitati ad aprire una partite IVA invece che alla firma di un contratto. Sarà una tentazione anche per le imprese più grandi, una prospettiva che coinvolgerà anche i professionisti più esperti.
Perchè si dovrebbe assumere quel fisioterapista esperto pagando 20 punti in più e oltre di tassazione se posso chiedergli di fare il collaboratore, con un beneficio fiscale che è anche il suo? Magari pagandolo un po’ meno di prima, visto che potrà poi rivalersi con un fisco più leggero. Senza contare che oggi con il decreto Dignità e la sentenza della Consulta sui risarcimenti in caso di licenziamento i costi per separarsi dall’eventuale nuovo dipendente aumentano e diventano più incerti, perchè non approfittare allora della flat tax? Così si andrà in direzione esattamente opposta ai tentativi, pur se timidi, fatti finora nella direzione di incentivare all’assunzione con un contratto da dipendente. Sarà ancora più favorito il nanismo aziendale, con le imprese anche medie, non solo piccole, che assumeranno solo quei pochi lavoratori strettamente necessari affidandosi a collaboratori esterni il più possibile.
L’insicurezza e la precarietà cresceranno invece di diminuire, oltre alla disuguaglianza e l’apartheid lavorativo che separa i già assunti a tempo indeterminato e i nuovi lavoratori costretti a una partita IVA che eviterebbero volentieri. Ma era questo cambiamento che voleva il governo del cambiamento?