Rassegnamoci, viviamo nell’epoca degli attacchi di panico

Una patologia sempre più diffusa, tanto che sembra legata indissolubilmente alla condizione contemporanea. Morto il dio Pan ci resta il panico. Che possiamo affrontare o subire. Dipende da noi

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Il panico è un sintomo, un’emozione, uno stato mentale o una condizione dell’anima o qualcosa di tutto questo assieme. Dipende da esperienze precoci di separazione e di perdita oppure si tratta di una valutazione -a suo modo razionale- fatta dalla mente nel qui e ora del presente. Possiamo gestirla controllandola razionalmente o accettandola saggiamente, oppure subirla in uno stato di completa impotenza emotiva. Impotenza che è diminuita nel corso delle epoche storiche man mano che ci si liberava di vecchi modi di pensare magici e religiosi, ma che va incontro a inevitabili ricadute nell’irrazionale anche nella modernità. L’umanità ha progredito nella sua evoluzione da una condizione di scarso controllo degli istinti e degli stati mentali emotivi e impulsivi a forme di autocontrollo psicologico, sociale e culturale sempre più estese. Il fenomeno non è recente: il grande Pan è morto, scrisse una volta Plutarco in una delle sue prose più note, Sul tramonto degli oracoli.

Così scriveva Plutarco: “(Epiterse) mi raccontò che una volta, navigando verso l’Italia, si era imbarcato su una nave che trasportava merci con molti passeggeri a bordo. Di sera, quando già si trovavano presso le isole Echinadi, il vento cadde di colpo, e la nave, trascinata dalla corrente, giunse nei pressi di Paxos (*); la maggior parte dei passeggeri era sveglia, e molti, terminata la cena, stavano ancora bevendo. All’improvviso si sentì una voce dall’isola di Paxos, come di uno che chiamasse a gran voce Thamus, tanto che restarono sbalorditi. Thamus era un pilota egiziano, ma a molti dei passeggeri non era noto per nome. Chiamato per due volte, dunque, lui stette zitto, ma alla terza rispose a chi chiamava; e quello, alzando il tono di voce, disse: “Quando sarai a Palodes, annuncia che Pan il grande è morto”

La morte del dio Pan andava insieme alla crescente incredulità degli antichi verso gli oracoli, i miti, le credenze magiche, le feste pagane, e così via. La storia di Plutarco avvenne durante il regno di Tiberio imperatore, tra il 14 e il 37 dopo Cristo. Un’epoca di crescente scetticismo filosofico? D’illuminismo culturale? Certo, ma anche di conversione degli animi verso nuove fedi, nuovi timori e nuove forme di panico. Secondo Eusebio di Cesarea, la morte di Pan era la fine di un’oscura era pagana, che cedeva all’inizio di un nuovo mondo sotto la luce di Cristo, morto appunto sotto l’impero di Tiberio. Forse lo stesso avviene in questi tempi di crescente scetticismo in cui però questa incredulità sembra colorarsi d’irrazionalità. La perdita di fede nella scienza, per esempio nel caso dei vaccini, non avviene in nome di una fede irrazionale ma nel nome di una forma estrema di scetticismo che somiglia a una caricatura della scienza stessa. In fondo non si tratta altro che di una applicazione del principio del dubbio: puoi garantirmi che i vaccini …? E chi lo ha detto che i vaccini …? E così via. Il principio del dubbio divora se stesso e ci rende più consapevoli che non possiamo passare il nostro tempo a dubitare di tutto e che un minimo fede ci tocca, se non altro per vaccinarci.

E poi pare che tutto questo abbia un’origine molto emotiva. Gli studi di psicologia dello sviluppo infantile correlano sempre più la suscettibilità al panico alle esperienze precoci di separazione dai genitori, soprattutto dalla madre. Un elegante esperimento condotto dall’equipe scientifica del prof. Marco Battaglia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ha trovato un interessante risultato. Ha dimostrato un rapporto tra panico e ansia da separazione, ovvero l’ansia eccessiva che coglie alcune persone al momento di lasciare la propria casa o di separarsi da persone a cui è particolarmente attaccato: genitori, parenti, educatori, perfino amici.

Conta ancora di più l’eleganza dell’esperimento di Battaglia e quel che ci racconta. Battaglia e i suoi ricercatori hanno lavorato su cucciolate di roditori, sapendo che questi animali mostrano un livello di cura per la prole paragonabile a quello dell’uomo: la femmina del roditore non solo nutre ma coccola all’inverosimile i propri cuccioli. Il colpo di genio dei ricercatori è stato fare qualcosa di diverso dai soliti esperimenti di separazione, così dolorosi per i poveri animali. Si sono limitati a sostituire ogni 24 ore le madri di ogni cucciolata. Nel primo giorno c’era la madre biologica, dal secondo giorno in poi prendevano il suo posto una serie di madri adottive, una al giorno per un po’ fino alla ricomparsa della madre biologica. Il colpo di genio dell’esperimento risiede nel fatto che queste madri adottive, per la natura intensamente affettiva del comportamento genitoriale dei roditori, erano altrettanto affettuose della madre biologica del primo giorno.

Ebbene, l’affettività delle madri adottive non bastava. I cuccioli trattati a questa maniera manifestavano comportamenti animali in qualche modo associabili a una reazione umana di panico: più vocalizzazioni ultrasoniche, risposte iperventilatorie più pronunciate (maggiore volume corrente e incrementi di volume minuto) all’esposizione all’aria arricchita di CO2 e maggiore avversione verso gli ambienti arricchiti di CO2 rispetto agli individui normalmente allevati. Insomma, almeno in questi roditori non bastava l’affetto delle madri adottive, i cuccioli “volevano” la madre biologica. Risultato interessante. Ci dice forse qualcosa per questi nostri tempi così pieni di timor panico (in questi giorni le cronache giornalistiche sembrano interessate al problema) e al tempo stesso così pieni di scetticismo e incredulità? Forse che si, forse che no. Forse abbiamo bisogno di maggiore conforto in qualcosa di radicato e di incontrovertibile come l’origine biologica oppure forse no, ormai non ne abbiamo più bisogno e ce la caviamo così, non attaccati a nulla e affezionati a tutto, e con qualche attacco di panico in più col quale convivere.

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