Che fine farà l’alternanza scuola lavoro? Alcuni giornali l’hanno già data per chiusa, cancellata. In realtà non è così – ma la volontà del governo è senza dubbio quella di ridimensionarla. Si capisce subito fin dal titolo dell’articolo della bozza di legge di Bilancio che la cita: “Misure di razionalizzazione della spesa pubblica”. E se l’alternanza diventa uno dei capitoli a cui sottrarre risorse per destinarle altrove, si capisce bene che l’intenzione sia quella di non investirci granché. Anzi.
In particolare, l’articolo 57 della bozza di legge di Bilancio 2019 nella versione “bollinata” più recente, datata 30 ottobre, ha quattro commi che riguardano l’alternanza. Il primo di questi abbatte con forza il monte ore minimo obbligatorio di questi percorsi: si passa da 400 a 180 ore per triennio negli istituti professionali, da 400 a 150 negli istituti tecnici, da 200 a 90 nei licei. Un secondo comma promette delle linee guida entro due mesi, ma sono il terzo e il quarto comma a destare le maggiori preoccupazioni.
Uno dice che le risorse d’ora in poi verranno “assegnate alle scuole nei limiti necessari allo svolgimento del numero di ore minimo”. Il che sembra voler dire: se prima vi davamo tot per fare 400 ore obbligatorie, adesso che abbiamo abbassato il monte orario a 180, sappiate che anche la dotazione economica verrà ribassata di conseguenza. L’articolo non dice quanti soldi di preciso verranno sottratti, ma lascia intendere che il taglio sarà proporzionale. Si può dunque ipotizzare un taglio nell’ordine del 60%: e dato che la legge cosiddetta “Buona Scuola” aveva messo a disposizione, a regime a partire dal primo gennaio 2016, uno stanziamento fisso per l’alternanza scuola lavoro pari a 100 milioni di euro all’anno, la domanda è: lo stanziamento scenderà a 40 milioni di euro a partire dal 2019?
L’altro comma preoccupante è quello che ammette il problema dell’ “in-corso-d’opera”. L’anno scolastico è cominciato già da due mesi, le scuole hanno già da tempo predisposto i piani didattici e programmato le ore di alternanza sulla base della vecchia legge. Cosa succederà se tra qualche settimana, con l’approvazione della legge di bilancio, cambieranno le carte in tavola? Ciascun istituto scolastico dovrà provvedere a “una rimodulazione delle attività sulla base delle risorse finanziarie occorrenti e disponibili”. Le risorse così come saranno state tagliate, cioè. Con effetto retroattivo.
I tagli sull’alternanza contenuti nella finanziaria in realtà non arrivano a sorpresa. Il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio li aveva già anticipati a a metà ottobre su Facebook, in un video in cui assicurava che il governo non avrebbe tagliato risorse alla scuola: “L’unica cosa che facciamo sulla scuola” diceva testuale in quel video Di Maio “è che siccome c’erano dei soldi che non si spendevano per l’alternanza scuola-lavoro, perché molti dirigenti e docenti si rifiutavano ormai di mandare i propri studenti a friggere le patatine da McDonald’s fingendo di fare alternanza scuola-lavoro, abbiamo preso una parte di quei soldi che non si spendevano e abbiamo scongiurato l’abbassamento degli stipendi agli insegnanti”.
L’abbassamento a cui Di Maio si riferisce riguarda il finanziamento dell’elemento perequativo dello stipendio di docenti e dipendenti ATA (il personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole), al momento coperto solo fino a fine 2018. Si tratta di una frazione della retribuzione, tra i 15 e i 40 euro al mese più o meno, che chi lavora negli istituti di istruzione primaria e secondaria perderebbe a partire dal 1° gennaio 2019 se la misura non venisse rifinanziata. E per rifinanziarla il governo ha deciso di attingere… alla borsa dell’alternanza. Almeno in parte: perché per l’intera misura dell’elemento perequativo servono – stando ai dati del sindacato Aniaf – più o meno 300 milioni di euro all’anno, mentre dalle risorse finora destinate all’alternanza può esser tratto a dir tanto un quarto di quella cifra.
Perplessità verso l’intenzione di “smontare” quanto costruito negli ultimi tre anni con l’alternanza scuola lavoro sono emerse anche all’interessante evento “A scuola di azienda in azienda”, sottotitolo “Quando l’orientamento tra scuola e impresa funziona”, organizzato l’altroieri a Milano da Nestlé e GiGroup in collaborazione con Enel, Eni e Allianz. Rossella Riccò, responsabile dell’ufficio Studi e ricerche della Fondazione GiGroup, ha sottolineato come con i nuovi monte-ore ribassati l’alternanza – o meglio, i “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” come il testo in Finanziaria si propone di ribattezzarli – “sarà pari solamente al 3% del monte ore annuo per i licei, al 5% per gli istituti tecnici e al 6% per gli istituti professionali”. Un peso insomma più che dimezzato rispetto a quello attuale.
Secondo Di Maio la “modifica del sistema di alternanza scuola-lavoro recepisce alcune richieste degli studenti”: il riferimento, postato su Facebook, è alle rappresentanze di associazioni studentesche da lui ricevute di recente. In effetti una delle richieste più frequenti dei giovani più critici verso lo strumento dell’alternanza è sempre stata quella di ridurre il numero di ore da dedicare a questa attività.
Il problema però è che l’alternanza scuola-lavoro non si può fare senza la collaborazione dei territori, e delle realtà produttive – imprese private, pubbliche amministrazioni, realtà del terzo settore – vicine alle scuole. “L’alternanza ha bisogno di una forte coesione sul territorio” conferma anche Carmela Palumbo, a capo del dipartimento Sistema educativo di istruzione e formazione del Miur: “Non ha funzionato, infatti, là dove la scuola è isolata e il tessuto produttivo è debole”.
I dati ufficiali sul numero di aziende coinvolte nell’alternanza sono ancora molto bassi. La Fondazione GiGroup sottolinea che nell’anno scolastico 2016-2017 hanno accolto studenti solamente 132mila imprese, meno del 3% di tutte quelle attive in Italia. In realtà poi se si contano solo le aziende con più di dieci dipendenti, le più strutturate e dunque potenzialmente adatte a ospitare studenti in alternanza, la percentuale sale al 35% (132mila su poco più di 400mila); ma il margine di miglioramento è evidentemente ancora enorme.
Per molte aziende aprire le porte agli studenti in alternanza è difficile. Paola Amodeo della Camera di commercio di Milano Monza Brianza e Lodi ha raccontato come “sopratutto le micro e piccole imprese, che non hanno un sistema strutturato al loro interno” vadano incontro “a costi e debbano affrontare ostacoli di tipo formale e burocratico”. Per loro la Camera di commercio ha attivato un sostegno, con un investimento di “oltre un milione di euro nel 2018 per aiutare le pmi ad aprirsi all’alternanza” attraverso un sistema di “voucher per sostenere i percorsi di formazione dei tutor aziendali e rimborsare in parte i costi che le aziende affrontano quando ospitano dei ragazzi”. Ma si tratta di un progetto limitato al territorio di Milano, Monza Brianza e Lodi: non abbastanza.
Ma diminuire le ore obbligatorie di alternanza aiuterebbe le scuole a trovare più imprese disponibili? Purtroppo è più probabile il contrario: a frenare le aziende già oggi spesso è proprio il respiro cortissimo, “mordi-e-fuggi”, dell’alternanza – accogliere uno, due, dieci ragazzi e poi vederli andar via dopo soltanto due o tre settimane, senza avere avuto il tempo di approfondire e di trasmettere loro competenze. Ci vuole tempo per “acclimatarsi” all’interno di un luogo di lavoro, orientarsi, capire che attività si svolge in quell’ufficio, come e perché. Vi sono realtà che hanno difficoltà ad accogliere i giovanissimi proprio perché i percorsi di alternanza in azienda sono così brevi. E con “sono” si intende: con il quadro normativo vigente, 200 o 400 ore a triennio. Figuriamoci cosa succederebbe se queste aziende si sentissero proporre di accogliere i ragazzi per 90 ore! Lo “stage” in alternanza scuola lavoro diventerebbe un impegno di una settimana all’anno, in alcuni casi addirittura meno: un respiro ancor più che cortissimo, addirittura fulmineo. Una dimensione temporale che potrà legittimamente far obiettare: “Ma cosa mai si può imparare in così poco tempo?”.
Quante aziende saranno allora disponibili a mettere a disposizione le loro risorse, affrontare l’iter burocratico per accogliere i ragazzi, per un tempo così esiguo? Il timore, condiviso da parecchi addetti ai lavori, è che il numero di aziende disponibili a prendere i ragazzi per questo tipo di attività calerebbe ulteriormente. Mettendo ancor di più in difficoltà le scuole: un vero e proprio paradosso.
Perché l’obbligatorietà rimane, per un milione e mezzo di ragazzi tra i 16 e i 19 anni ogni anno. Il che è un bene sotto un certo punto di vista. Palumbo ne è convinta: “Io preferisco cogliere l’elemento di continuità rispetto a quello di discontinuità. E l’elemento introdotto dalla legge 107 che non è stato modificato dalla legge di bilancio è quello di curricolarità della alternanza, che invece prima per le scuole era opzionale”. Il governo avrebbe potuto renderla di nuovo facoltativa, invece non l’ha fatto: l’alternanza scuola lavoro resta obbligatoria. “Si vuole solo ridurre il monte ore minimo” ha continuato Palumbo: “Sono sicura che le scuole che possono e che hanno già una forte rete di collegamenti con le aziende non butteranno via tutto questo, e manterranno un monte ore più elevato”. Scegliendo cioè di far fare ai propri studenti più ore rispetto ai nuovi minimi previsti per legge: una prospettiva forse ottimistica. Secondo Palumbo la riduzione del monte ore obbligatorio ha un senso perché permetterà di “concentrarsi sulla qualità dei percorsi, il loro essere significativi per la formazione dello studente, e la coerenza col percorso di studi. Si chiederà alle istituzioni scolastiche, con le linee guida, di elaborare percorsi intimamente collegati alla natura del percorso di istruzione svolto dai ragazzi, per avere quel carattere orientativo forte”. Anche se non si capisce bene perché tutto questo non potesse essere perseguito lasciando immutate le durate complessive.
Dunque, per riassumere. Il primo problema è che all’alternanza scuola lavoro verranno tagliate risorse finanziarie. Quanto, non si sa: ma presumibilmente tanto. Il secondo è che verranno accorciate le durate di questi percorsi, con la conseguenza che un certo numero di aziende si sentiranno disincentivate a partecipare, ritenendo che l’orizzonte temporale sia troppo breve per poter riuscire a insegnare davvero qualcosa – in sostanza, che la spesa non valga l’impresa. Il terzo problema è che, sebbene il monte ore indicato per legge non sia fisso bensì sia solamente una soglia minima, è più che probabile che la maggior parte delle scuole si attesterà su quei minimi, anche per evitare contestazioni da parte di studenti e docenti avversi all’alternanza. Il quarto problema, relativo solamente a quest’anno, è che vengano cambiate le regole in corso d’opera. Su quest’ultimo punto Carmela Palumbo lancia un appello: “Noi tecnici abbiamo cercato di proporre di far scattare tutto questo dal prossimo anno scolastico, in modo da mantenere almeno per questo tutta la programmazione del piano formativo già approntata dalle scuole. Ma sono dinamiche che ci passano sopra la testa” ammette: “In Finanziaria le cifre passano di qua e di là fino all’ultimo momento”.
Niente in effetti è ancora stabilito con certezza, fino a quando la legge di Bilancio 2019 non verrà approvata in via definitiva.