Come far sopravvivere il libro? Devono essere gli editori a “salvare” i propri lettori

Il periodo d’oro dell'editoria di cultura è finito. Ma gli editori possono ancora darsi da fare per mantenere un’“ecosfera culturale sostenibile”. Il capolavoro “L’editore fuorilegge” di Barney Rosset (Il Saggiatore) ci fa riflettere su come dovrà essere l’editoria del futuro

«La ribellione scorre nel sangue di famiglia.» Inizia così, come un dardo scoccato contro il conformismo e insieme una rivendicazione genetica, l’autobiografia di Barney Rosset, uno degli editori più significativi del nostro tempo, colui che ha rivoluzionato l’editoria americana liberandola dagli oltraggi della censura e riplasmando il linguaggio, la letteratura, l’eros. In risposta al volto compassato e stolido del puritanesimo ha dato alle stampe Beckett, Genet, Che Guevara, gli scrittori della Beat Generation e l’Autobiografia di Malcolm X.

Barney Rosset (1922-2012) è stato l’editore di Grove Press, casa editrice statunitense che si è distinta per l’impegno contro la censura e in difesa della libertà di espressione. È inoltre l’autore di Dear Mr. Beckett – The Samuel Beckett File: Letters from the Publisher, pubblicato postumo nel 2016.

La prefazone di L’editore fuorilegge. Cinquant’anni di libri contro. Di Barney Rosset (Saggiatore)

Un mattino d’inverno di qualche anno fa mi trovavo a New York con un vecchio amico, John Oakes. Avevo appena fnito di leggere il manoscritto del libro che avete ora tra le mani, e di cui John era l’editore: l’autobiografa di uno dei più intelligenti e spericolati editori del Novecento, Barney Rossett, il fondatore di Grove Press.

Ci interrogammo con un certo rammarico sul perché non ci fosse toccato lo stesso destino riservato a Rossett, cioè di nascere nei primi decenni del secolo e poter essere editori tra il 1950 e il 1970, secondo molti l’età aurea della cosiddetta editoria di cultura. Se scorriamo le classifche di vendita americane e italiane del periodo, le vediamo dominate da titoli come Tropico del Cancro di Henry Miller, con 68 000 copie vendute solo nella prima settimana e di cui leggerete in queste pagine le strabilianti avventure giudiziarie, o di Ragazzi di Vita di Pier Paolo Pasolini (1955).

Poi vennero gli anni ottanta e con essi l’illusione della flosofia manageriale applicata all’editoria. Nel breve termine questo nuovo approccio avrà forse prodotto utili per grandi gruppi, ma – immettendo massicciamente nel mercato prodotti seriali – ha di certo contribuito alla desertifcazione progressiva del lettore

Che dobbiamo fare allora? Una prima considerazione è che compito degli editori è anche quello di agire per la sopravvivenza del lettore

Che dobbiamo fare allora? Qual è il possibile ruolo dell’editoria culturale? Una prima considerazione – per quanto paradossale possa apparire – è che compito degli editori è anche quello di agire per la sopravvivenza del lettore. In caso contrario, tutta l’editoria libraria è destinata a scomparire. In un paese come il nostro, dove i lettori forti sono pochi, il problema del futuro non è rappresentato dagli ebook, dall’avanzata (modesta) del digitale e dalle campagne di sconti, ma proprio dall’esistenza stessa dei lettori.

Si tratta allora di defnire il mestiere di editore adeguando la flosofa del lavoro a quella che chiamerei un’ecosfera culturale sostenibile, alla cui base stanno questi semplici principi:

1. Attenzione costante alla qualità del libro nei suoi aspetti materiali e intellettuali;

2. Politica editoriale fondata sul catalogo in senso ampio: scelta delle novità in base a un progetto unitario preciso e non alla logica del
titolo singolo;

3. Creazione del proprio pubblico e coerenza nelle proposte.

Certo, questo non ci riporterà alla gloriosa stagione degli anni cinquanta – alle battaglie contro la censura di Howl (Urlo) di Allen Ginsberg o alla determinazione dimostrata da Rossett nel pubblicare l’edizione integrale dell’Amante di Lady Chatterley – perché il mercato librario è destinato a diventare sempre più una nicchia. Ma il nostro compito dev’essere quello di preservarlo al meglio, farne appunto un’ecosfera culturale sostenibile, per offrirlo alle generazioni future, forse migliori della nostra. E per fare ciò è necessaria, ora come allora, una fede assoluta.

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