A parte il richiamo linguistico alla raffinata lingua francese, tanto prossima a Torino e alle Alpi che i grillini, a nome dei No Tav, appunto non vogliono attraversare, l’appellativo “Madamine” ai cervelli della manifestazione più grande degli ultimi tempi contro le istituzioni che governano la ex capitale industriale del nord richiama uno stereotipo della donna che più antico non si può.
Art director, avvocatessa, copywriter, architetta, Pr, cacciatrice di teste, informatica: sono queste le prime parole che appaiono sui curricula delle Madamine sabaude così tanto coraggiose da sfidare il potere costituito con gli strumenti delle tecnologie ed in grado di riempire – fino a farla traboccare – una delle piazze simbolo della città di Torino, dove si affacciano le monumentali opere del Regno sabaudo e del governo attuale della Regione Piemonte. Una piazza di una bellezza sconvolgente per la sua sfida alla discrezione sabauda, sempre sotto tono perché è volgare, appunto, strafare con le parole e con i gesti. La città delle grandi invenzioni della modernità, in cui nelle strade e nei caffè, ancora straordinariamente intatti, non si parla ad alta voce, non si ostenta la ricchezza, il sapere, il lusso.
La città dalle geometrie perfette, di una chiarezza indiscussa, attraverso la forza delle donne ha saputo raccogliere un fiume di persone stanche di essere così mal governate da una sindaca priva di qualunque autonomia decisionale ed inserita nel circuito di un partito-azienda in cui l’esercizio e la pratica del pensiero dei loro amministratori è una libertà che i Capi non si sentono di concedere.
Ci arrivano segnali inequivocabili sul fatto che è arrivato per le donne il momento di prendere in mano la situazione e di cambiare ciò che non è più sopportabile
E allora, per sbeffeggiare la potenza di questo mantello arancione vestito dalle sette professioniste della protesta si è scelto addirittura di “declassarle” al ruolo di Madamine. Un appellativo che semmai racconta di un modo di stare nella società in cui il rispetto delle regole è principio fondativo della convivenza ed in cui, semmai l’operosità come modo di essere prevale su quello del rimandare a domani, con il tratto gentile al quale, una civiltà evoluta non può rinunciare.
Ha atteso anche tanto la mia, la nostra Torino, a reagire a questa indolenza mai vissuta nella città e spezzata da una ribellione, sempre in stile sabaudo, delle donne. È chiaro che dall’America, passando per Roma (dove le sei promotrici di “Roma dice basta” sono state bollate dalla sindaca Virginia Raggi, altra voce del maschilismo grillino, come “signore con borse firmate da mille euro, indossate come fossero magliette di Che Guevara e i barboncini al guinzaglio”… lei poi che viene dalla opulenta Roma Nord!) salendo ai piedi delle Alpi, ci arrivano segnali inequivocabili sul fatto che è arrivato per le donne il momento di prendere in mano la situazione e di cambiare ciò che non è più sopportabile, ovvero l’assenza di una strategia politica che disegni il futuro del Paese, delle città, della società in ogni aspetto.
E solo le donne possono capire a fondo la società perché ne sono state sempre profondamente e completamente parte. Solo la forza femminile può oggi contrastare il grottesco e continuo tentativo di offenderci quando ci occupiamo anche delle cose non di “casa” con nomiglioli che richiamano ad un modello di società vecchio e superato e che, oltretutto, neanche gli uomini vorrebbero più. Sullo sfondo poi, come se non bastasse, c’è il tentativo stucchevole di chi al potere oggi ci sta comodamente infischiandosene delle regole, di volersi chiamare fuori dall’establishment del denaro o del sapere per farsi autentici interpreti del popolo perché costola di quello stesso popolo sofferente ed incompreso dalle élite.
Così si consuma nelle file del “cinquestellismo” d’accatto il tentativo, questa volta non riuscito, di conquistare il consenso a qualunque costo sui detriti della scomposizione delle fondamenta della democrazia alimentando un bieco e distruttivo odio di classe. È il momento delle donne questo – anche delle madamine e delle signore con borse firmate o dei mercatini dell’usato, tanto derise dal machismo maschilista degli uomini al governo – così come è successo sotto la pioggia incessante di un cielo implacabile in un bel sabato di novembre nella città più triste e che , come cantato da un gruppo musicale visionario, affonda sempre di più.
È il momento delle donne, facciamoci largo.