Non me l’aspettavo così, lo confesso. Non che pensassi a qualcosa di necessariamente epico, anche se un po’ ci speravo, ma sicuramente non era una fine così che mi aspettavo. Perché in fondo il cinema, la letteratura, certe serie Tv, ci hanno fregato. Il colpo di scena dovrebbe sempre essere in agguato, gli effetti speciali ancora di più. Non dico addirittura una colonna sonora adeguata, con archi che incedono ansiogeni, ma sicuramente non questo finale qui.
Passi quattro anni, gli ultimi quattro anni, a cercare di lanciare l’allarme, come un Chicken Little cui è caduto un pezzo di cielo in testa. Ti incateni a un lampione minacciando di darti alle fiamme, vieni indicato da molti come una sorta di mix tra Cassandra e Savonarola. Stai sul cazzo a così tanta gente che hai addirittura rinunciato a tenere il conto, e anche rispondere alle migliaia di fan che ciclicamente vengono a dirti che sei una merda sui social ha perso quel minimo di interesse, anche perché la frase “tanti nemici, tanto onore” la lasci serenamente la prossimo tweet di Salvini. Insomma, hai predetto con voce chiara e urlata che la fine del mondo era imminente, e ora che il mondo sta in effetti finendo rimani deluso. Perché il vero colpo di scena è che non succede un cazzo. Tutti muoiono, è vero. I palazzi crollano come nella scena finale di Fight Club. Ma senza clamori. Addirittura senza un Plinio il Giovane (o il Vecchio, non ricordi bene), che si prenda briga di raccontarlo. Al punto che, contravvenendo a una regola non scritta che ti sei dato ti ritrovi qui, di nuovo a vestire i panni del mix tra Cassandra e Savonarola, a dire a tutti: ve l’avevo detto, merde.
Il fatto è che la fine del mondo della musica per come lo conoscevamo era qualcosa che chiunque avrebbe dovuto saper decifrare. I segni erano chiari, e non sto certo parlando di donne che schiacciano serpenti o di cavalieri che solcano i cieli. I dischi si sono cominciati a non vendere più, a causa della rete, certo, ma soprattutto della miopia di chi non ha riconosciuto nella rete un pericolo per un mercato che si era talmente adeguato alla scarsa qualità che la rete stava iniziando a imporre da non essere più allettante per nessuno. Il download, che ha sostituito il cd, ha presto lasciato spazio allo streaming, vera e propria tomba della discografia. Perché non prestate attenzione alle cazzate che vi dicono quando vi parlano di un mercato di nuovo fiorente, la realtà sta altrove. E l’altrove è un luogo in cui ci sono solo macerie e cadaveri putrescenti, ma talmente putrescenti da non essere neanche zombie vogliosi di mangiarsi il nostro cuore, solo morti e macerie.
Perché le discografiche, gestite da gente che ha l’acume di un marcipiedi, hanno ceduto in blocco i cataloghi alle piattaforme di streaming, dentro le quali per altro sono ampiamente presenti, riportando sì un po’ di ossigeno nei polmoni, ma con la consapevolezza, tenuta nascosta per non allarmare la popolazione, che di ultima boccata di ossigeno si tratta. Pensateci, è come se vendeste casa vostra con tutto quello che avete dentro. Ovvio che per un po’ di tempo potreste anche vivere senza lavorare, di rendita, ma i soldi, ahivoi, prima o poi finiranno, e allora saranno i tradizionali cazzi in culo. Così è se cedi un catalogo. Generi economia, ma è momentanea. Perché i nuovi cataloghi, cioè le nuove canzoni, di economia non ne generano. Voi che pensate che i Fedez e J-Ax del momento che riempiono le proprie canzoni e video di marchi siano avidi non avete capito un cazzo. Stanno facendo la sola cosa che possono, fanno cassa direttamente con i brand, sapendo che non sarà certo la Siae o Soundreef a farli diventare ricchi.
I dischi si sono cominciati a non vendere più, a causa della rete, certo, ma soprattutto della miopia di chi non ha riconosciuto nella rete un pericolo per un mercato che si era talmente adeguato alla scarsa qualità che la rete stava iniziando a imporre da non essere più allettante per nessuno
Quindi non c’è più mercato. E a guardare le classifiche ben lo si capisce. Ci sono i trapper che spopolano, per di più con produzioni che non costano un cazzo, ma non generano economie, perché fanno solo streaming. Ci sono i vecchi che ormai si mettono insieme come i sopravvissuti di The Walking Dead, nella speranza di sfangarla anche stavolta. E in mezzo ci sono i poppettari, che stanno capendo non solo che la fine è ormai arrivata, ma che sono proprio loro quelli che se la prenderanno più nel culo di tutti. Fino all’elsa, per dirla alla Henry Miller.
Del resto, l’aver inseguito il flusso non ha certo giovano a nessuno. La musica hanno cominciato a sentirla a cazzo coi cellulari, e così tutti hanno iniziato a fare musichetta che col cellulare si sente bene. Due accordi, tre note, dieci parole. A fanculo la qualità. Solo che c’è un problema di fondo. A un ragazzino di dodici anni un vecchio, e a quarant’anni sei vecchio per un ragazzino di dodici anni, sei vecchio anche a trenta, a un ragazzino di dodici anni di un vecchio che scimmiotta un giovane non frega nulla.
Faccio un esempio. Escono Ramazzotti e Mengoni. Il primo con un singolo molto alla sua maniera, solo molto più brutto (ma stiamo parlando di sfumature, perché il brutto è brutto), il secondo con due brani che, quando sono stati presentati come trailer, potevano anche far ben sperare, ma che in realtà sono due cagatelle di canzoni senza senso. Bene, i due scompaiono presto dalle classifiche di iTunes, sempre che a qualcuno interessino le classifiche di iTunes oggi, e non compaiono proprio in quelle di Spotify. Viaggiano solo in radio, e mica è un caso che agli ultimi rilevamenti le radio abbiano nel complesso perso tutte milioni di ascoltatori. Perché se sei uno come Mengoni, che per un paio di anni sei sempre stato presente in tutti i luoghi e in tutti i laghi, pubblicando album su album, facendo tweet e post su tweet e post, andando costantemente in tour (e chi se ne frega se i tuoi concerti sono una sorta di cocktail che prevede un terzo di Tiziano Ferro, un terzo di Cremonini e un po’ di quel che capita), non puoi poi scomparire nel nulla e tornare convinto di essere ancora a due anni fa. Perché nel mentre è successo che Ernia è uscito e si è piazzato al primo posto nella stessa settimana in cui Paul McCartney entrava al quinto posto, questo è il mondo nel 2018, baby. E quindi al ragazzino di Mengoni non frega un cazzo, anche e soprattutto se poi tira fuori un video che è la versione annacquata di This is America di Childish Gambino. È stato bello, arrivederci, amore, ciao.
Ci sono i live, certo, anche se pure lì andrebbe aperto un discorso. Perché un tempo c’era un percorso canonico. Partivi dai localini, poi ti facevi il giro dei locali medi, quelli da poco più di mille spettatori, poi passavi ai palasport, e forse alla fine agli stadi. Adesso anche stocazzo va al Forum a fare un tour di un solo concerto
Idem per Elisa, che le prova tutte, la canzone imbarazzante con De Gregori, quella scritta di Calcutta che sembra (è) in tutto e per tutto una canzone di Calcutta cantata da Elisa (che ahilei non è Calcutta), poi esci con l’album e per la prima volta da oltre un decennio non ti piazzi al primo posto, fregata dai Maneskin. I Maneskin, ci siamo capiti?
Ci sono i repackaging, certo, perché i dischi, lasciatemi usare questo termine vintage, ormai durano due settimane (nel caso di Love di Thegiornalisti, per dire, neanche quelle). Li rimpinzano di inediti, ma anche quelli non se li incula nessuno, e allora ecco l’idea, facciamo il diario di bordo. Così a distanza di un giorno vengono annunciati Boom di Emma e Fatti sentire ancora. Stessa identica idea. Da una parte a accompagnarlo 4 inediti, tra i quali l’orribile Mondiale, forse la peggiore canzone incisa da Emma (che ha il suo punto di forza nell’utilizzo della parola “palle” nell’inciso), dall’altra dell’aggiunta del live tratto dell’ultimo tour, quello fortunatissimo partito dal finto sold out al Circo Massimo. Anche loro faranno la solita fine, non venderanno nulla, non faranno streaming, saranno in vetta a iTunes per qualche ora e se ne vanteranno sui social. Il tutto mentre Salmo, che esce con un album che si intitola, mica a caso, Playlist, li devasterà sui canali di streaming, anche lì, senza andare però a generare mercato.
Questo è il quadro che abbiamo di fronte. Escono canzoni e dischi di cui a nessuno frega nulla, si pensi all’ultima di Fedez, che a parte aver scatenato l’ira di Mario Adinolfi, che l’ha giustamente considerata una sorta di istigazione all’aborto, ha lasciato giustamente il tempo che trova. Le produzioni di un tempo, quelle che portavano via tempo, soldi, turnisti, produttori, arrangiatori, sono chimere, perché arriverà il trapper del caso, diciotto anni e un tablet neanche di marca a far loro scarpe.
Ci sono i live, certo, anche se pure lì andrebbe aperto un discorso. Perché un tempo c’era un percorso canonico. Partivi dai localini, poi ti facevi il giro dei locali medi, quelli da poco più di mille spettatori, poi passavi ai palasport, e forse alla fine agli stadi. Adesso anche stocazzo va al Forum a fare un tour di un solo concerto. Tanto poi paga la tv che trasmette il concerto, concerto che anche in tv non si vedrà nessuno. Pochi i nomi che funzionano, anche perché l’idea di funzionare, oggi, piace poco alla gente. Fare i cazzoni che invadono le città con gigantografie delle proprie facce appese ai palazzi non è una buona idea, perché la gente è incazzata, vota M5S e Lega mica a caso. Meglio chiamarsi Ultimo e apparire sempre depresso. Mica si chiama Primo, per dire.
Tutto è morte e distruzione. I cantanti di colpo si trovano di fronte a un mondo che non li riconosce. Se gli intellettuali sono il corrispettivo umano della merda, gli artisti non sono da meno. Tanto vale essere sciatti e approssimativi, vedi alla voce indie e trap, così almeno la gente ci si riconosce.
Chiaramente, i film catastrofici degli anni settanta e ottanta qualcosa ci hanno insegnato, un giusto finale dovrebbe mostrare me che vi indico una via di salvezza, anche se poi, proprio all’ultimo, la scena si dovrebbe chiudere con l’avviso della vera fine, inesorabile. Potrei quindi citarvi artisti che del mercato, giustamente, se ne infischiano, e puntano sulla sola cosa cui un artista dovrebbe puntare, l’arte e la qualità, la bellezza e la verità. Potrei quindi dirvi che finché esce un album come C’è qualcosa che ti riguarda di Patrizia Laquidara, o Hurrah di Mimosa, esiste ancora una speranza. Perché lì, tra le macerie e i cadaveri, c’è un neonato che darà seguito alla nostra stirpe. Sperando solo che poi non arrivi Fedez a dirgli di cercarsi nei testi di De Andrè, perché allora sarebbe davvero il caso di invocare il famoso meteorite e farla finita una volta per tutte.