Imprenditori, una caldarrosta vi seppellirà. Ribellatevi!

A Mede, in provincia di Pavia, una legge antica e mai abolita vieta di vendere le caldarroste. È solo una delle tante leggi inutili e insensate che non sono mai state abolite, e che rendono aprire qualsiasi attività commerciale un ginepraio. La politica non fa nulla. Ed è ora che ci si muova

Non risulta che nessuno sia mai stato arrestato. Nè che qualcuno abbia assistito a scene alla americana, in stile “hai il diritto di rimanere in silenzio”, con il castagnaro trascinato in manette. Ma resta il fatto che a Mede, in provincia di Pavia, cuocere le caldarroste è proibito. Il divieto risale al 1881, quando la giunta comunale, in quell’Italia appena ventenne sotto re Umberto I, bandì le castagne a causa del fumo e, come rilevato dall’attuale sindaco Giorgio Guardamagna, è ancora in vigore, dal momento che in questi 137 anni nessuno si è preso la briga di abrogarlo.

L’intento del sindaco è probabilmente da riferire solo a una passione archivistica, ma la ripubblicazione del decreto sulla sua pagina social ha scatenato una rabbia e un’indignazione che devono pure dir qualcosa di noi e del nostro rapporto con le leggi. Innanzitutto preoccupa che così tanti abbiano potuto pensare che il sindaco intendesse davvero far rispettare un divieto dimenticato. Preoccupa perché significa che ormai ci aspettiamo di tutto dalle nostre amministrazioni e che vedere il buon senso soccombere di fronte alla legge è un’esperienza abituale per noi cittadini italiani. In secondo luogo preoccupa che in effetti, dal punto di vista tecnico, il divieto sia ancora in vigore. Se un sindaco matto decidesse di sanzionare un caldarrostaio, avrebbe la legge dalla sua parte e questo pone i caldarrostai di Mede nella condizione di non sapere con certezza se hanno il diritto o meno di esercitare la loro attività economica.

È un problema solo dei caldarrostai di Mede? Chiedetelo agli imprenditori, chiedetelo a chi ha affrontato 65 adempimenti per aprire un salone di bellezza, 72 per aprire un bar, 78 per aprire una falegnameria

È un problema solo dei caldarrostai di Mede? Chiedetelo agli imprenditori, chiedetelo a chi ha affrontato 65 adempimenti per aprire un salone di bellezza, 72 per aprire un bar, 78 per aprire una falegnameria. Chiedetelo a chi ha avuto il coraggio di aprire un’autofficina: 86 adempimenti richiesti, 30 enti coinvolti, da contattare 48 volte. Non c’è nessuno in Italia che non si senta un po’ come il caldarrostaio di Mede: possiamo davvero essere certi al 100% di rispettare ogni richiesta, ogni regolamento, ogni norma della nostra tumorale burocrazia?

Ai tempi della campagna elettorale Lega e 5 Stelle promettevano (come tutti gli altri contendenti) di snellire la macchina dello Stato. Luigi Di Maio si proponeva di abolire 400 leggi dannose nei primi giorni di governo e per ricevere segnalazioni da parte dei cittadini aveva anche creato il portale leggidaabolire.it.

Oggi quel portale langue inascoltato. Dalle appena 137 segnalazioni giunte si direbbe essere stato un fiasco. E soprattutto si direbbero dimenticati i propositi elettorali: che cosa è stato abrogato? Che fine ha fatto lo snellimento proposto? Lega e 5 Stelle, che in questo momento si stanno litigando soldi inesistenti per creare nuove misure e nuove leggi, perché non agiscono concordi nell’abolirne?

Dall’Unità d’Italia ad oggi l’oppressione regolatoria non ha fatto che crescere. Fra leggi, decreti-legge, decreti legislativi, decreti luogotenenziali e regi decreti sono in vigore 110 mila norme: una spirale incontrollata che ricorda quella del nostro debito pubblico. Non c’è stato un solo anno della nostra storia in cui le leggi non siano aumentate: tra leggi abrogate e leggi promulgate il saldo è sempre stato in positivo. L’ammontare delle leggi e del debito pubblico segue curve sorprendentemente simili. Forse vale la pena tentare un approccio nuovo: diminuire le prime per abbattere il secondo.

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