L’ Europa Centrale sembra aver trovato l’antidoto ai populismi anti europei di destra estrema: in Germania, i Verdi hanno fermato i populisti anti europei di Alternative fur Deutschland. In Repubblica Ceca avanza il Partito Pirata – il primo al mondo che ha eletto un suo rappresentante in parlamento – che veleggia attorno al 10% dei consensi e che ha da poco eletto il sindaco di Praga, seppur in coalizione con altri partiti. Si tratta di una forza con idee fresche, europeiste, che mette una vera democrazia diretta al centro della propria azione. Per ora hanno fermato i populisti anti europei di estrema destra dell’SPD, che hanno poco spazio ma che rischiano di finire al governo nazionale, appoggiato anche dai comunisti, a causa dei malumori dei socialdemocratici verso le accuse di uso improprio dei fondi europei da parte del premier Babiš.
Per cercare di capire il segreto del successo dei pirati in vista anche delle elezioni europee del prossimo anno, abbiamo parlato con Mikulaš Peksa il vice presidente del partito Pirata che si occupa dei rapporti europei nel Parlamento ceco. L’intervista si è svolta in inglese, che l’Onorevole parla benissimo e questa è la prima differenza con molti parlamentari italiani.
Partiamo dalla politica interna: pensa che il governo accetterà l’ingresso nella maggioranza dell’estrema destra in caso di uscita dei socialdemocratici? Alla fine Babiš non è antieuropeo…
Penso di sì: Babiš in effetti non è motivato da questioni ideologiche ma ha interesse a rimanere al potere.
Perché non lo appoggiate voi? Sempre meglio dell’estrema destra.
La nostra strategia post elettorale era stata pubblicata e votata dai nostri iscritti prima delle elezioni: non potevamo accettare alleanze né con incompetenti né con che è implicato in questioni di corruzione. Su questo non possiamo transigere.
Nella giunta di Praga il vostro sindaco, Zdeněk Hřib, è appoggiato da una coalizione di diverse forze politiche: la vedete possibile in caso di elezioni anticipate?
Il Parlamento ha un sistema elettorale con soglia al 5% e diversi partiti sono intorno alla soglia, quindi è difficile dire con chi potremmo fare un’alleanza. Comunque come partito noi siamo contrarti allo sbarramento: vorremmo un sistema proporzionale puro.
Qual è la vostra visione dell’Unione Europea e del ruolo che il V4 (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia) dovrebbe svolgere al suo interno?
L’Europa non ha una politica europea comune. Pensiamo che la dovrebbe avere. Pensiamo che sia necessaria una politica estera comune che implica anche un esercito comune per difendere i nostri confini e i nostri interessi. Dovremmo avere una risposta sola come europei a questione come l’immigrazione e alle relazioni con la Russia, dalla quale i Paesi baltici e del Centro Europa si sentono ancora minacciati. Quando gli Stati Uniti affermano che l’Estonia non verrebbe difesa non è certo un bel segno. Per questo dobbiamo cercare si essere in grado di difenderci da soli, se necessario.
Pensa che un esercito europeo dovrebbe avere capacità di proiezione fuori dei nostri confini? Anche senza mandato ONU (ad esempio in caso di veto da parte di un componente del Consiglio di Sicurezza)?
Uscire dal mandato Onu dovrebbe essere un caso estremo ed un’ultima risorsa. Comunque il sistema dei veti da parte di pochi Paesi è antiquato e andrebbe riformato.
La libertà di parola su internet deve essere garantita senza limiti. Ci sono due approcci: la libertà, che mette al centro l’individuo, contrapposta al collettivismo, che lo subordina a qualcos’altro. L’Europa dovrebbe appoggiare i diritti e le libertà individuali.
L’Europa è rimasta indietro sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale, delle infrastrutture internet e dell’uso dei dati. Cosa dovremo fare?
Anche qui c’è bisogno di risposte comuni. Non abbiamo un’infrastruttura europea di dati e reti. Dobbiamo far sì che le aziende europee siano in grado di competere con quelle americane, che al momento dominano il nostro mercato. Questo finora non è successo anche per la poca iniziativa della Commissione Europea, che si sta muovendo troppo tardi. Non è un caso che è composta da persone di età avanzata, e non è un caso che sia scelta dai governi nazionali: la Commissione dovrebbe rispondere al Parlamento europeo, non ai governi nazionali. Ad esempio su questo tema specifico abbiamo perso un’occasione quando è uscita la direttiva sul roaming, che ha armonizzato le tariffe telefoniche ma non il mercato dei dati. I dati in alcuni Paesi costano molto più che in altri, e anche per questo non abbiamo giganti internet europei. Anche la direttiva sul copyright, che permette ad alcune aziende di richiedere diritti anche sulla musica di Mozart e Bach, è un errore. La libertà di parola su internet deve essere garantita senza limiti. Ci sono due approcci: la libertà, che mette al centro l’individuo, contrapposta al collettivismo, che lo subordina a qualcos’altro. L’Europa dovrebbe appoggiare i diritti e le libertà individuali.Riguardo ai temi di innovazione, l’istruzione è la chiave di molte cose: dovremmo avere un’istruzione europea comune?
Non nei primi gradi della scuola: i Paesi europei hanno ancora delle specificità. Per sopravvivere nel ventunesimo secolo abbiamo bisogno di comprensione e spirito critico: tutti dovrebbero saper distinguere quello che è vero da quello che è falso sin da bambini. Sono già possibili manipolazioni di prove video in cui una persona viene fatta dire cose che non ha mai detto, e questo è pericoloso se i cittadini non capiscono cosa è vero o falso. L’istruzione deve diventare continua perché la società cambia molto rapidamente. Non possiamo fare a meno di aggiornarci per tutta la vita, soprattutto in un mondo in cui i lavori di base vengono sostituiti dalle macchine. Anche chi rimane senza lavoro dovrebbe poter vivere felice.Certo ma sia l’istruzione continua che un livello di reddito di case costano: in Europa abbiamo i mezzi per farlo, ma in Africa no: intanto il loro livello di istruzione è più basso, e poi le risorse non sono allocate al meglio. Questo rischia di aumentare gli incentivi per gli africani a migrare verso l’Europa, nella quale poi non trovano spesso spazio perché non hanno competenze adeguate. Che facciamo?
Un piano di sviluppo per l’Africa deve essere una parte importante della nostra politica estera comune. Il piano Juncker è una partenza, ma avremmo dovuto iniziare a pensarci qualche decina di anni fa. D’altronde, di nuovo, la Commissione ha un’età media molto avanzata.Avete alcuni attributi in comune con il Movimento 5 Stelle italiano. Li conoscete?
Li abbiamo incontrati: hanno posizioni talvolta contraddittorie ma hanno potenziale. Il Partito Pirata ha probabilmente iniziato prima il suo percorso e ha risolto le contraddizioni.Come la mettiamo con la democrazia interna e con la mancanza di competenza di molti dei loro esponenti? Alla fine il loro partito è in mano ad una società privata che decide chi lo capeggia.
Non conosco i loro processi interni: nel nostro partito la leadership è contendibile e votano tutti gli iscritti.Nota finale: alla fine l’antidoto al populismo sembra essere un partito europeista che rifiutala corruzione ma anche l’incompetenza e in cui la leadership sia contendibile da chiunque. Ne avremo mai uno in Italia?