Se qualcuno ha seguito le vicende recenti del Centro Europa, non avrà mancato di notare le difficoltà sia del governo Orbàn in Ungheria che di quello polacco. Si tratta di due situazioni molto diverse ma che potrebbero evidenziare il limite delle spinte populiste che tendono a tentativi, per usare una frase dello stesso Orbàn, di un ordine basato su una democrazia illiberale. In Ungheria scarseggia la manodopera e il governo è notoriamente contrario all’immigrazione: ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia negli anni scorsi, ottenendo anche per questo molti voti.
La soluzione del governo? La possibilità per i datori di lavoro di obbligare i dipendenti a 400 ore di straordinario l’anno con pagamento differito fino a 3 anni. Essenzialmente si tratta di qualcosa di simile alla servitù della gleba. E qui gli ungheresi, che finché si è trattato di attaccare immigrati che per altro in Ungheria non ci sono neanche hanno taciuto, si sono arrabbiati.
E la protesta sta scappando di mano al governo, che adesso viene anche accusato di comportamenti autoritari e corruzione. Insomma Orbàn stavolta ha fatto un errore strategico: ha colpito gli ungheresi che votano e non gli stranieri, che intanto in Ungheria come detto sono ben pochi, e in ogni caso non votano.
Quando finiscono i nemici esterni e si iniziano a toccare i diritti dei cittadini, è molto probabile che questi si rivoltino, e a quel punto la popolarità può svanire velocemente
In Polonia la questione è diversa: il partito Legge e Giustizia aveva abbassato improvvisamente l’età pensionabile per i giudici della Corte Suprema che ha il potere di porre il veto sulle riforme del potere giudiziario che il governo vuole passare e che metterebbero i giudici sotto il controllo della stesso governo. Si tratterebbe di un passo, secondo i critici, verso uno stato totalitario in cui si perde la separazione dei poteri che mantengono l’equilibrio democratico. L’intento era quello di sostituire una ventina di giudici, circa un terzo del totale, con persone nominate dal partito di governo, rendendo improbabili sentenze contrarie ai progetti di legge. La presidente della Corte polacca ha rifiutato di andare in pensione e i polacchi hanno iniziato a protestare, tanto che il governo aveva già annunciato che avrebbe accettato la decisione della Corte di Giustizia Europea. Quest’ultima ha dato ragione ai giudici, infliggendo al governo polacco una sconfitta pesante.
I due episodi sono quindi molto diversi tra loro ma si potrebbe leggerci una matrice comune che tutti coloro che cavalcano l’ondata populista dovrebbero tenere bene a mente: quando finiscono i nemici esterni e si iniziano a toccare i diritti dei cittadini, è molto probabile che questi si rivoltino, e a quel punto la popolarità può svanire velocemente. In un sistema europeo, inoltre, il raffreddore di Budapest può anche diventare febbre a Varsavia e forse provocare la tosse a Roma.
Quindi attenzione: chi non protesta oggi non vuol dire che sia d’accordo e il popolo può essere distratto con la minaccia di nemici esterni, più o meno veri. D’altronde Lincoln lo disse molto chiaramente: puoi fregare alcuni per sempre o tutti per poco, ma non tutti per sempre. Gli spin doctors prendano nota in vista delle ormai vicine elezioni europee.