Moneta e migrazioneSì, il franco Cfa in Africa è un problema. Ma non per i motivi che dice Di Maio

È quello che gli economisti chiamano “il trilemma di Mundell”: la moneta francese garantisce cambi fissi e movimenti di capitale, ma la crescita demografica alla lunga imporrà di aumentare i posti di lavoro, o spingerà alla migrazione. Per questo l'Europa dovrebbe vedere l'Africa come un partner

Alberto PIZZOLI / AFP

In questi giorni di Africa si parla non solo per i migranti, ma anche per la moneta adottata da 14 paesi dell’Africa Subsahariana, il Franco Cfa. I due temi sono stati fatti convergere in un dibattito che richiederebbe di essere più basato su fatti e improntato a un maggiore approfondimento.

Quando si trattano temi che hanno a che fare non solo con la vita presente di milioni di esseri umani, ma anche con le prospettive future di interi popoli, è bene non cedere a due tentazioni: quella di semplificare, trasformando le analisi in pacchetti di slogan; e quella di rifarsi alla “complessità” della situazione, tralasciando di mettere in evidenza elementi di realtà che, se ben visti, possono concorrere a ridurre la complessità attraverso azioni politiche mirate.

Per evitarle entrambe dobbiamo guardare al funzionamento del Franco Cfa. Questa moneta ha un tasso di cambio fisso con l’euro, che la Francia si è formalmente impegnata a garantire senza limitazioni. Al tasso di cambio fisso si aggiunge una mobilità dei capitali in entrata e in uscita. Sia quelli di eventuali investitori esteri in Africa, sia quelli di elites africane che spesso “investono” in beni rifugio in Occidente.

Cambi fissi e movimenti di capitali, che di per sé non sono un male, implicano però forti limitazioni alla politica monetaria: una politica espansiva che volesse sostenere gli investimenti interni attraverso una riduzione del tasso d’interesse porterebbe a pressioni ribassiste sul tasso di cambio, poiché i capitali sarebbero indotti a cercare più alti rendimenti all’estero.

Questo è l’effetto di quello che gli economisti chiamano il trilemma di Mundell: fra tre cose buone che si vorrebbero avere, se ne possono avere solo due, rinunciando alla terza.

Tutte le combinazioni sono egualmente “buone” dal punto di vista teorico, ma non hanno tutte gli stessi effetti. In particolare la combinazione alla base del franco Cfa è funzionale all’attuale modello economico africano, fondato sulle materie prime e sulla rendita che ne deriva, innanzitutto per le elites al potere.

Quando si trattano temi che hanno a che fare non solo con la vita presente di milioni di esseri umani, ma anche con le prospettive future di interi popoli, è bene non cedere a due tentazioni: quella di semplificare, trasformando le analisi in pacchetti di slogan; e quella di rifarsi alla “complessità” della situazione, tralasciando di mettere in evidenza elementi di realtà che, se ben visti, possono concorrere a ridurre la complessità attraverso azioni politiche mirate

Questo modello, di chiara ascendenza coloniale, si è mantenuto dopo la decolonizzazione, grazie anche alla compiacente collaborazione di elites africane postcoloniali e all’attivo sostegno di queste ultime da parte delle potenze occidentali, e ultimamente non solo (Cina e Russia).

La questione che dobbiamo però porci è non solo se questo sia un modello che è bene mantenere (bene, dico, innanzitutto e in ultima analisi per i popoli africani); ma se sia alla lunga anche solo sostenibile.

Ora, le dinamiche demografiche ci dicono di no: un continente che vedrà in breve tempo raddoppiare una popolazione formata maggioritariamente da persone in età da lavoro, non ha scelta: o aumenta i posti di lavoro all’interno o aumenta la disoccupazione strutturale, rafforzando la spinta all’emigrazione.

Il legame fra moneta e migrazioni è indiretto, e si declina più al futuro che al presente. Ma forse proprio perché c’è ancora un po’ di tempo (anche se non molto), vale la pena provare a cercare soluzioni che passino anche per un cambiamento concertato dell’ordine monetario.

Queste soluzioni imporranno oneri a tutti. Alla Francia, che pur non ritraendo grandi vantaggi strettamente economici dal franco Cfa, ha un vantaggio geopolitico evidente, giacché surroga la sovranità monetaria di una zona nevralgica del mondo. Alle elites africane, che dovranno rinunciare ai privilegi del modello estrattivo e confrontarsi con i compiti della gestione di politiche interne di sviluppo, che passano in Africa anche per una più marcata democratizzazione dei processi decisionali.

In questa prospettiva, un’Europa attiva nel sostegno al cambiamento potrebbe scoprire nell’Africa non un continente di disoccupati “da aiutare” ma un partner commerciale alla pari, e strategico per il nostro futuro. Un’opportunità, e non un problema.

X